L’evento è di quelli oggi che hanno presa, parlano da sé, escono dalla mischia. E’ la mostra che un manipolo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, nei nomi di Arianna Agostinelli, Oana Bursucanu, Giorgio Dogadi Bratti, Marta Sabbadini (vincitrice), Sofia Samar,  con la supervisione del Professor Guido Pertusi, ha messo in piedi nell’Ex Studio di Piero Manzoni, luogo sacro dell’arte contemporanea. Una mostra che è nata da un legame, da una relazione tra il pensiero e il fare, portando l’arte non solo ad apparire come spesso oggi avviene, ma a legittimare un processo estetico che trova naturale sostanza nel quotidiano, nella vita, nell’essere. Un processo e un procedimento che si era già visto nella famosissima  Scuola della Bauhaus  e  nella prima Mostra Internazionale delle Arti Decorative, poi nota come Prima Biennale di Monza,    che si aperse il 19 maggio 1923 alla Villa Reale di Monza,  e di cui quest’anno ricorre il centenario. A porgere sostegno alla nobile e universitaria iniziativa che ha titolo “Polemos” (dopo aver guardato e studiato nientemeno che Eraclito) la storica sede del Laboratorio Orafo Porro che ha sede sempre in via Brera primo piano del civico dell’Ex Studio Piero Manzoni. Un luogo, quello delle sorelle Porro, che muove proprio dal progettare e   fare design, gioielli di altissimo livello, ormai bottega storica della Città di Milano.  In mostra i cinque studenti che hanno elaborato manufatti e progetti, disegni e appunti, vere e proprie sculture, in materiali diversi, partendo proprio dal pensiero di Eraclito. È ormai prassi abituale attribuire ad Eraclito la definizione di filosofo del divenire. Il famoso pànta rei (tutto scorre) viene considerato il carattere peculiare della filosofia eraclitea. Il filosofo invita gli uomini ad ascoltare il proprio logos, ovvero a seguire il proprio discorso,  ma comprendere il logos coincide con la comprensione del logos inteso come ragione, elemento che costituisce la vera realtà delle cose; e nei termini di proporzione il logos va recepito come ciò che incute armonia alle cose, con l’invito a superare la doxa, (l’opinione) per cogliere dietro la molteplicità delle cose, la verità. Ma il logos è anche e soprattutto l’intelligenza di afferrare ciò che coglie l’unità degli opposti, che non sono altro che espressione di un’unica unità di fondo. Ecco il senso del “Polemos” cui si sono ispirati gli studenti.

“Ciò che si oppone converge, e dai discordanti bellissima armonia”, questo frammento rappresenta l’enunciazione più limpida e sublime dell’unità degli opposti e dell’armonia che scaturisce anche dagli opposti. Un frammento famosissimo di Eraclito, breve ma straordinariamente evocativo. L’armonia e la connessione sono quindi comprensibili in base alla tensione e al conflitto che anima gli opposti. Gli opposti, in questa grandissima visione, esprimono l’unità di fondo che ha bisogno di essi in una continua trasformazione dell’uno nell’altro che genera quella discorde armonia.

Sofia Samar ha guardato alla natura, colei che agisce attraverso le sue mani, destra e sinistra, ha immaginato che la mano sinistra sia quella che crea non basandosi sulla perfezione ma sull’imperfezione e l’imprevedibilità, è una mano non perfetta ma rugata e modellata da tutti i quattro elementi naturali come l’acqua che cola e modella la materia; la scultura è stata realizzata in ceramica bianca per simboleggiare la vita che ha origine dalla luce, ma da cui nascono anche le ombre. Oana Bursucanu muove dalla bivalenza tra due termini come natura e costruzione, entrambi complici di un processo cumulativo che assicura l’impossibilità della loro separazione. La natura del materiale, e le scelte dei metalli sottolineano il forte legame tra la natura e la costruzione dando vita ad una specie di tettonica di forme e materiali in un unico blocco. Arianna Agostinelli  ha lavorato  su due movimenti all’interno dei corpi, potenza e atto, lo stesso  dinamismo della materia  ripreso da Umberto Boccioni, pittore e scultore interessato al moto e alla velocità dell’era moderna. Attraverso il suo pensiero, profondamente influenzato dalla fisica, dalla relatività e soprattutto dal pensiero di Bergson, si giunge alla definizione di una forma unica che ha in sé i movimenti di moto relativo e moto assoluto, quest’ultimo altrimenti chiamato dinamismo universale, una forza propria del corpo anche nello stato di quiete che influenza il mondo circostante. Anche una piccola foglia può, quindi, essere fonte di questa energia invisibile, che attraversa e trascende lo spazio visibile e limitato dell’occhio umano. Marta Sabbadini, la giovane artista di Vercelli, vincitrice del progetto, si è mossa guardando come nella mitologica figura di Atlante, condannato a portare sulle proprie spalle il peso dell’intera volta celeste, la cariatide è il corpo che si interpone tra gli elementi naturali di terra e aria. Da statua immobile la cariatide diventa simbolo di potenza e forza, in equilibrio tra l’architettura umana e l’architettura della natura celeste. Come un albero saldamente ancorato con le sue radici al suolo e con i rami e le fronde protesi verso l’alto, la verticalità dell’elemento divide in maniera ordinata gli ingarbugliati mondi di terra e di cielo. La struttura longitudinale suggerisce il passaggio tra le due realtà attraverso il corpo in questo caso femminile, tracciando una linea continua che trova sia nell’elemento naturale che in quello umane forze ed energie che si compensano, senza mai scontrarsi. Il cielo che secondo il racconto mitologico è peso e punizione ora diventa leggero e sorretto da mani forti. Le braccia e le mani nell’azione di sorreggere diventano trabeazioni, archi che sostengono in uno scambio continuo tra terra, cielo e ciò che li unisce. Infine, Giorgio Dogadi Bratti, bergamasco, che si è trovato a lavorare un blocco di marmo estrapolato a Carrara, di un bianco bellissimo e senza venature. Scavando nella roccia, l’uomo ha estratto la materia prima per costruire e erigere la sua storia. Da elemento grezzo a prodotto raffinato, la sua sostanza muta acquisisce forma e struttura e interagisce tridimensionalmente con lo spazio. La sua scultura  si movimenta giocando sull’alternanza di materia grezza e materia lavorata emerge dal marmo uno sviluppo spaziale della forma, evidenziando una reciprocità con l’ambiente circostante, espresso in una volontà di estrarre una costruzione dalla materia stessa, e dando voce alla forza che ha scolpito tale insieme.

Ora, si capirà come aver messo in piedi un progetto finalizzato al presente, all’attualità, con il coinvolgimento di cinque giovani eccellenze dell’arte italiana, lascia comprendere il valore finale dell’arte.

Carlo Franza

 

 

 

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