Palazzo Boncompagni di Bologna ospita fino al 7 aprile 2024 la mostra “Mimmo Paladino nel Palazzo del Papa”, una rassegna che ancora una volta vede un grande artista contemporaneo esporre le sue opere negli splendidi spazi cinquecenteschi del Palazzo che fu la dimora di Papa Gregorio XIII. Organizzata dalla Fondazione Palazzo Boncompagni, la mostra celebra il 50esimo anniversario di Arte Fiera con un artista di fama internazionale che torna dopo moltissimi anni ad esporre a Bologna, città che ha sempre amato in modo particolare e con la quale ha avuto stretti legami, dalla fraterna amicizia con Lucio Dalla alla Laurea ad Honorem attribuitagli nel 2020 dall’Università Alma Mater.

Artista a tutto tondo, Paladino si è misurato con successo con molteplici linguaggi creativi, dalla pittura e scultura, dalla scrittura alla scenografia teatrale e alla regia cinematografica, portando in ogni ambito la sua particolare poetica. Famosissima la Montagna di sale che realizzò nel 1990 a Gibellina in occasione di uno spettacolo delle Orestiadi, e ricostruì nel 1995, in Piazza del Plebiscito a Napoli e poi, nel 2011 in Piazza Duomo a Milano.

Nel 50esimo anniversario di Arte Fiera l’artista di fama internazionale Mimmo Paladino torna dopo molti anni ad esporre a Bologna con dipinti e sculture di grandi dimensioni in un luogo particolarmente suggestivo che esalta e celebra la sua poetica creativa. Dopo Michelangelo Pistoletto, Marino Marini ed Aldo Mondino, a Palazzo Boncompagni ancora una volta una mostra che vede un grande artista contemporaneo esporre le sue opere negli splendidi spazi cinquecenteschi del Palazzo che fu la dimora di Papa Gregorio XIII. La mostra di Bologna, curata da Silvia Evangelisti in collaborazione con Mimmo Paladino, presenterà una ventina di importanti opere, dipinti e sculture di grandi dimensioni significative della poetica dell’artista, a documentare la sua ricerca negli ultimi vent’anni.

Artista a tutto tondo, Paladino si è misurato con successo con molteplici linguaggi creativi, dalla pittura alla scultura, dalla scrittura alla scenografia teatrale ed alla regia cinematografica, portando in ogni ambito la sua particolare poetica. La mostra di Bologna, curata da Silvia Evangelisti e realizzata con il sostegno di Emil Banca, presenterà una ventina di importanti opere, dipinti e sculture di grandi dimensioni significative della poetica dell’artista, a documentare la sua ricerca negli ultimi vent’anni.

Il percorso della mostra sarà particolarmente suggestivo e vedrà alternarsi interno ed esterno del Palazzo come scenari che invitano il pubblico ad un’esperienza immersiva e coinvolgente.
Fulcro dell’esposizione, la Sala delle Udienze Papali al cui centro sarà posta una monumentale installazione di tredici cavalli neri. Mentre due alte e ieratiche figure di Guerrieri accoglieranno i visitatori all’ingresso della Loggia coperta, che ospiterà anche la suggestiva installazione dei sette personaggi-ideogrammi di Respiro del 1995, e un grande Elmo di bronzo del 1998 solcato a rilievo da segni arcani – numeri, labirinti, lettere di un idioma sconosciuto. L’itinerario prosegue nelle sale interne del Palazzo, con dipinti, tra cui una nuova serie di sei Madonne nere e un grande d pinto che conclude il percorso. Nella rassegna di Palazzo Boncompagni la presenza dei cavalli – soggetti amatissimi dall’artista – richiama molti affreschi che caratterizzano l’iconografia del Palazzo. Nella cinquecentesca e sontuosa Sala delle udienze papali, i cavalli combattono per liberarsi ed emergere da un misterioso imprigionamento: la forza vitale e l’indomita energia nell’affrontare le difficoltà che l’artista dona alle loro figure dalle forme sintetiche e archetipiche, pare esaltare simbolicamente la condizione umana.

Non vedete il nero dei cavalli come un aspetto negativo – spiega Mimmo Paladino – ma bensì il nero è energia e poi chi meglio di un cavallo imbizzarrito può uscire da questa grande nebbia buia.” In particolare in questo caso, essendo l’opera collocata all’interno di una grande sala affrescata e fortemente connotata, l’artista riesce a “cambiare” la struttura architettonica del luogo e al tempo stesso dialoga con il soffitto affrescato e le Storie di Davide e Golia in esse raffigurate. Oriente e Occidente trovano nelle sue opere una congiunzione nella concezione del sacro, dai tempi antichissimi ad oggi, come mistero inconoscibile della natura e degli uomini, indicibile e impenetrabile se non con il linguaggio allusivo del sacerdote, dello sciamano, del visionario, dell’artista. Una poetica che torna
nei sei dipinti delle Madonne nere, esposti insieme in una sala dedicata a Boncompagni, più che immagini votive religiose, icone popolari come quelle poste, nei secoli, nelle edicole, sulle strade a protezione degli uomini.

Mimmo Paladino, artista del suo tempo, dialoga con il passato e i suoi archetipi, così come col presente evocando nelle sue opere la profonda necessità di cogliere il mistero della vita e della morte che unisce gli uomini di tutti i tempi e di oggi in particolare – dichiara la curatrice della mostra Silvia Evangelisti – C’è, nella sua opera, il richiamo ad una sorta di ritualità simbolica ancestrale che, pur reinserita nella viva contemporaneità, rimanda ad un tempo lontano, quasi mitico anche se nelle sue opere Paladino non intende raccontare storie di miti, come dichiara egli stesso, ma piuttosto aprire immateriali finestre su un mondo altro, un mondo di immagini e riti e figure che è seppellito dentro al nostro tempo e che forse ci è appartenuto ma che ora è perduto. Di questo parlano i suoi dipinti e gli arcani e imperscrutabili personaggi delle sue sculture”.

Un arcaismo che è dunque un ricongiungersi con le proprie radici culturali, proiettandole in un domani sconosciuto. “La mia cultura visiva – dichiara Mimmo Paladino – nasce da un’idea di stratificazione, con immagini figurative e non figurative, talvolta anche decorative e minime. È il paesaggio fisico e mentale del sud d’Italia, pieno di frammenti più che di immagini definite. Una storia frantumata e ricostruita, una storia di passaggi e di tracce dove un frammento di testa romana si incastra con un blocco di epoca precedente. Poi vengono i longobardi che aggiungono altro ancora e allora tutto diventa un collage di elementi astratti e figurativi, oppure irriconoscibilmente figurativi. Il mio punto di riferimento non cosciente lo ritrovo proprio nella cultura del meridione, in quelle architetture ed in quelle opere fatte di segni necessari e, tuttavia, anonimi. In quella regione quando si innalzava un muro lo si faceva con ruderi di altre epoche e con frammenti dissotterrati. È da qui che nasce il segno dell’uomo trasposto in un’opera funzionale alla spiritualità”.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Pendragon (immagine grafica di VIVA) con le immagini delle opere fotografate allestite, testi in italiano e in inglese della curatrice Silvia Evangelisti e dell’Ingegnere Paola Pizzighini Benelli.

Carlo Franza

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