A cent’anni dalla morte, avvenuta il 18 marzo 1924, il Museo Ottocento Bologna celebra la figura del pittore simbolista Mario De Maria, noto anche come “Marius Pictor”.

La mostra Mario De Maria, “Marius Pictor” (1852-1924). Ombra cara, in programma dal 21 marzo al 30 giugno 2024 presenta 70 dipinti  tra capolavori, inediti e opere ritrovate e appositamente restaurate dal Museo Ottocento Bologna – provenienti da prestigiose istituzioni museali italiane (Gallerie degli Uffizi di Firenze, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Galleria d’Arte Moderna di Milano) e da collezioni private nazionali e internazionali.

Una mostra antologica significativa – la prima che tenta di organizzare una disamina della produzione di De Maria – per conoscere ed approfondire il singolare percorso dell’artista, uomo complesso e tormentato, sodale di Gabriele D’Annunzio, padre del “Simbolismo italiano” o “Naturalismo spiritualista”, e tra i pionieristici fondatori della Biennale di Venezia.

La mostra, a cura di Francesca Sinigaglia, è parte del progetto Bologna pittrice | Il Lungo Ottocento | 1796 – 1915, un’iniziativa promossa dal Settore Musei Civici Bologna che coinvolgerà quindici sedi espositive delineando un percorso nella pittura bolognese dall’età napoleonica all’inizio della Grande Guerra.

Ombra cara è strutturata in sette sezioni che ripercorrono la vita di De Maria dagli esordi fino alla morte. Il percorso si delinea come un “racconto” attraverso le parole dell’artista, al centro dei cambiamenti artistici di fine secolo. Le sue parole sono tratte dalle lettere manoscritte che inviò all’amico Vittore Grubicy de Dragon, oggi conservate presso l’archivio Grubicy del Mart di Rovereto e dell’archivio De Maria presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia. Attraverso esse, il visitatore potrà farsi un’idea della personalità dell’artista, sempre in conflitto con se stesso e con gli altri, ma al tempo stesso “raffinato e onesto critico della sua opera” (Sinigaglia).

Il percorso di mostra prende avvio dai primi anni della formazione a Bologna all’esperienza romana con D’Annunzio con l’illustrazione dell’Isaotta Guttadauro, all’analisi del suo personale apporto alla fondazione della Biennale di Venezia (di questo periodo sono esposti diversi capolavori, tra cui il grande dipinto La luna che torna sulla madre terra,1903, della Fondazione di Venezia): la sua presenza presso la Sala del Sogno e la grande personale del 1909, i legami con il Nord Europa e la pittura di Rembrandt. Una sezione particolare della mostra, la quarta, è dedicata alla morte della figlioletta Silvia, con l’opera Ombra cara (1911-1914) realizzata in ricordo dall’amico e collega Vittore Grubicy de Dragon. La mostra si conclude indagando il rapporto tra De Maria e le città di Asolo e Bologna, con la serie dedicata alla Putredine della Casa di Satana e alle narrazioni macabre della seconda metà degli anni dieci del Novecento.

Mario De Maria frequentò l’Accademia di Belle Arti di Bologna per poi trasferirsi a Roma, dove aprì uno studio in via Margutta. Fu tra gli animatori del gruppo In Arte Libertas, che vantava, tra i suoi membri, gli artisti più conosciuti in ambito internazionale del periodo: Giulio Aristide Sartorio, Dante Gabriel Rossetti, Arnold Böcklin. A Roma entrò in contatto anche con il più importante letterato del secolo: Gabriele D’Annunzio, a cui fu legato da una profonda amicizia e proficue collaborazioni, realizzando il suo capolavoro L’alunna (1886) intonato sui versi di Isaotta Guttadauro e Eliana, dai candidi pavoni, finalmente riuniti dopo più di un secolo. Oltre che da D’Annunzio, De Maria venne sostenuto anche dai critici d’arte Angelo Conti detto “Doctor Mysticus” e Diego Angeli, che lo riteneva il pittore più rilevante di fine secolo.

Nel 1891 si trasferì a Venezia assieme a l’élite culturale italiana del circolo dannunziano che sfociò nella creazione della Mostra Internazionale d’Arte di Venezia nel 1895, di cui De Maria realizzò il primo padiglione. Egli fu inoltre l’unico bolognese a far parte della prima commissione giudicatrice della Biennale.

Qui ebbe la possibilità di portare avanti le sue ricerche pittoriche legate al concetto di Simbolismo, spesso approfondito con narrazioni ed episodi della tradizione. Tra queste è degna di nota la Salomè (1890 ca.), opera di grandi dimensioni, recentemente ritrovata, in cui l’artista traspone, in maniera inedita, la storia biblica in una storia popolare, racchiudendo nell’ombra la chiave di lettura dell’intera opera.

De Maria si spostava spesso da Venezia a Brema, in Germania (la moglie Emilia Voigt era infatti tedesca), ebbe quindi l’occasione di approfondire la conoscenza dell’opera di Rembrandt, da cui rimase affascinato, realizzando opere fondamentali come Lilienthal (1901), che immortala uno scorcio di un fiume in un bosco rosso e giallo autunnale che fa da sfondo ad una processione di Cardinali. Da lui considerata uno dei suoi capolavori, l’opera viene ufficialmente presentata al pubblico, in questa mostra, anche in veste di nuova acquisizione del Museo Ottocento Bologna.

In questo periodo si colloca inoltre la triste vicenda familiare che portò l’artista sulla soglia della disperazione: la morte della figlia Silvia, di soli sei anni. De Maria non si riprenderà mai completamente dal lutto, arrivando a sperimentare, nelle sue opere, un Simbolismo dai risvolti sempre più macabri e drammatici.

Dopo la morte della bambina, l’artista realizzò significativi dipinti come la serie de La casa di Satana, di cui si conoscono varie versioni, in cui, seppur ambientate in luoghi reali come il cortile di una casa veneziana, gli ambienti sono trasfigurati e fanno emergere il senso del Male racchiuso nella realtà, oppure La monaca e il Diavolo (1922) che racconta la leggenda medievale dell’Arco dello Spavento a Firenze, dove per placare le voglie fameliche di un serpente diavolesco si costituì una comunità di religiose preposte a nutrire il mostro con degli innocenti conigli.

Il Simbolismo di Mario De Maria va comunque letto alla luce dell’ambiente culturale italiano proprio del periodo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, che vedeva nelle rievocazioni storiche e mitologiche contatti diretti con il divino.

De Maria morì a Bologna all’Ospedale Maggiore nel 1924. Si narra che il giorno prima di morire egli fuggì dall’ospedale per ammirare l’ultimo raggio di sole che colpiva la facciata della Basilica di San Petronio. Aveva fondato la Biennale di Venezia, partecipato a dieci edizioni della manifestazione e costruito la Casa dei Tre Oci che esiste ancora oggi, alla Giudecca. Nel 1909 Vittore Grubicy scrisse: «Gli artisti “a lui solo dedicati, anche con lustro di illustrazioni, si contano a decine con un accordo non solito nel nostro paese. Ne risulta in sostanza che al momento attuale dell’Arte Italiana non v’è nessun altro pittore che possa venir anteposto a Lui».

Carlo Franza

 

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