BUILDING presenta, dal 4 aprile al 20 luglio 2024, Hidetoshi Nagasawa. 1969-2018, una grande retrospettiva a cura di Giorgio Verzotti, dedicata a uno dei più grandi artisti operanti in Italia dalla fine degli anni Sessanta, dislocata in tre sedi espositive della città di Milano: BUILDING, Galleria Moshe Tabibnia, Casa degli Artisti. Quest’ultima sede ospita, dall’8 maggio al 4 giugno 2024, un ulteriore approfondimento del progetto espositivo, aprendo le porte di quello che fu lo studio di Nagasawa dal 1978 al 2007.

In occasione dell’inaugurazione, mercoledì 8 maggio 2024 dalle ore 19.00, Casa degli Artisti intitolerà l’atelier al primo piano alla memoria dell’artista con una cerimonia ufficiale aperta al pubblico.

Dal 1978, dando nuovo slancio all’attività della Casa, Hidetoshi Nagasawa, Luciano Fabro, Jole De Sanna ed altri artisti, come Paola Brusati e Giuseppe Spagnulo, occuparono la palazzina – a quel tempo abbandonata – e la restituirono all’originaria funzione di centro cittadino di promozione dell’arte contemporanea, così come l’avevano concepita nel 1909 i Fratelli Bogani. Con questo obiettivo, nel corso degli anni si sono susseguite mostre di giovani artisti di fama internazionale, così come momenti di dibattito di teoria dell’arte, che hanno reso la Casa degli Artisti un punto di riferimento irrinunciabile sulla scena artistica dell’epoca – basti pensare all’importante iniziativa di restauro dei Bagni Misteriosi di Giorgio De Chirico (1994), oggi visibili nel giardino del Palazzo della Triennale di Milano.

Al primo piano dell’edificio di Corso Garibaldi, Hidetoshi Nagasawa, come Fabro e altri artisti, ebbe uno studio per circa trent’anni. Proprio in questo spazio BUILDING, in collaborazione con l’attuale gestione di Casa degli Artisti, inaugura la terza sede dell’esposizione Hidetoshi Nagasawa. 1969-2018, proponendo una piccola raccolta di opere che intendono restituire la dimensione più progettuale del lavoro quotidiano dell’artista.

Tra i lavori presenti in mostra, un’importate scultura, Compasso di Archimede (1991), ben illustra la poetica di Nagasawa, tesa allo svelamento di rapporti di tensione ed equilibrio nel corpo stesso della scultura. A quest’opera si aggiunge una selezione di disegni, maquettes e calchi preparatori – come quelli per Albero (1983), Lampo (1989) e Casa del Poeta (1999) –, che rendono l’idea del processo ideativo e creativo dell’artista e che per la maggior parte sono presentati al pubblico per la prima volta.

La mostra presso Casa degli Artisti si inserisce così nel più ampio progetto espositivo Hidetoshi Nagasawa. 1969-2018 promosso da BUILDING, dove una selezione di 33 opere, documenta in sintesi l’intero arco dell’attività dell’artista: dai video che testimoniano le sue performances degli inizi (per certi versi affini alle operazioni delle coeve Land e Body Art), passando per le prime sculture, dove il gesto è sempre implicato come prima matrice, fino ad approdare alle sculture di grandi dimensioni spesso giocate su equilibri arditi – che sono state la cifra più tipica di Nagasawa.

Hidetoshi Nagasawa (1940-2018), giapponese di origine benché nato in Manciuria (Repubblica Popolare Cinese) ma italiano d’adozione, visse nel nostro Paese per più di cinquant’anni, arrivando a Milano nel 1967. Entrò in contatto con artisti quali Enrico Castellani, Antonio Trotta, Mario Nigro e soprattutto Luciano Fabro, con cui fondò a Milano la Casa degli Artisti.

In quei primi anni partecipò alle ricerche più radicali dell’epoca, per poi dedicarsi al linguaggio specificamente scultoreo, ma sempre con un intento innovativo. Il maggior contributo di Nagasawa ai linguaggi dell’arte occidentale è stato il tentativo di fusione fra la nostra cultura e quella orientale, tentativo assolutamente riuscito e produttivo di opere di grande valore formale.

Le opere presentate da BUILDING sono state concepite e realizzate dall’artista in base al principio del “Ma”, un concetto che appartiene alla filosofia Zen e che si può identificare col nostro concetto di intervallo o di vuoto – un vuoto non inerte, bensì generativo di energia e di forma. È il caso di Colonna (1972), opera in marmo sviluppata a pavimento e costituita da segmenti di colore diverso, provenienti da luoghi diversi, inframmezzati da minimi ma visibili spazi vuoti. “In quel piccolo spazio” – ha scritto l’artista – “si chiude la distanza dei loro viaggi e la loro storia”.

Proprio in relazione al tema del viaggio, centrale nella poetica e nella vicenda biografica di Nagasawa – basti pensare che l’artista è arrivato nel nostro paese dal Giappone in bicicletta –, in BUILDING è proposta l’opera Barca (1980-1981), marmo, terra, albero), composta da una base monolitica in marmo bianco che accoglie al suo interno una pianta. L’opera affonda le sue radici nella tradizione shintoista secondo cui ogni elemento naturale, dalle pietre alle piante, possiede una dimensione sacra ed è tramite di preghiera agli dei.

Inoltre, l’esposizione comprende anche una scelta fra i numerosi lavori su carta dell’artista e due sculture inedite in marmo, esposte al pubblico per la prima volta in assoluto: Cubo e Nastro, entrambe datate 2012.

Attraverso questa selezione di opere, l’esposizione intende sottolineare in particolare due caratteristiche distintive di Nagasawa: la sua attenzione verso i rapporti fra l’opera e l’architettura e la sua visione quasi utopistica di una scultura apparentemente priva di peso, al punto da stare sospesa nello spazio e sembrare leggera anche quando raggiunge dimensioni monumentali.

Infine, Galleria Moshe Tabibnia, dal 4 aprile al 25 maggio 2024, ospita l’opera Barca (1983-1985, ottone e carta), costituita da un sottile tubo di ottone rivestito di carta giapponese che, in accordo con il luogo che di volta in volta la accoglie, sfrutta nuove dimensioni spaziali, salendo sui muri, sui soffitti o adagiandosi al suolo. Il profilo dell’imbarcazione, con una linea bianca e sottile, rivela una struttura immateriale e aperta che naviga con leggerezza nello spazio. La barca diventa così una metafora del viaggio vissuto e sognato, mitico e spirituale; così come nel mondo tessile, per le culture antiche e nell’immaginario, il tappeto diventa per eccellenza un veicolo in grado di trasportare in un’atmosfera sacra che esprime elevazione, purezza e unicità. L’opera trova dunque la sua naturale collocazione nella Sala Brera al piano terra di Galleria Moshe Tabibnia, dedicata allo straordinario allestimento di cinque tappeti Ushak a piccolo medaglione del XVI secolo, noti come “Tintoretto”, che deposti a terra per ospitare il fedele in preghiera, fungono da raccordo figurativo tra mondo sensibile e sovrasensibile.

Hidetoshi Nagasawa nasce il 30 ottobre 1940 a Tonei (Manciuria), dove il padre prestava servizio come ufficiale medico delle truppe dell’esercito imperiale. Gli anni dell’infanzia sono segnati dal conflitto mondiale, circostanza che inevitabilmente segnerà la sua poetica e la sua arte. Nel 1945, a seguito dell’invasione della Manciuria da parte dell’esercito sovietico, la famiglia Nagasawa è costretta a lasciare il paese, insieme agli altri civili giapponesi residenti. Solo dopo un travagliato viaggio di un anno e mezzo, i Nagasawa arrivano in Giappone. Il tema del viaggio segnerà profondamente il carattere dell’artista e buona parte della sua produzione futura, dandogli motivo di riflettere sul significato dell’esistenza nel tempo e nello spazio. Stabilitosi nella prefettura di Saitama, poco distante da Tokyo, il giovane Nagasawa inizia a frequentare le scuole superiori, dove mostra interesse per la matematica e la pittura; prosegue poi i suoi studi alla Tama Art University di Tokyo frequentando il corso di “Architettura e Interior Design”, conseguendo la laurea nel 1963. Durante gli anni dell’università, viene a conoscenza delle varie tendenze d’avanguardia come il Neo-Dada e si imbatte nel movimento artistico del Gruppo Gutaj, grazie a varie esposizioni indipendenti che venivano organizzate ogni anno dal giornale “Yomiuri” a Ueno (Tokyo). Il fascino che esercitano su di lui le novità delle avanguardie lo porta a riflettere e comprendere come l’essenza dell’arte sia da ricercare nell’azione e nell’anima, anche quando non si concretizza in un particolare oggetto.

Nel maggio del 1966, in seguito alla decisione di allargare i suoi orizzonti, parte dal Giappone in bicicletta dirigendosi verso Ovest alla volta dell’Europa. Iniziando dalla Thailandia, attraversa la Malesia, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan, la Persia, l’lraq, la Giordania, il Libano, la Siria per giungere in Turchia, in un passaggio graduale da Oriente a Occidente che lo porta a contatto con culture e civiltà diverse. A Istanbul, si imbatte nelle note della musica di Mozart diffuse da una piccola radio, grazie alle quali realizza di trovarsi sulla soglia dell’Occidente. Decide quindi di proseguire il suo viaggio: passando dalla Grecia approda a Brindisi e da lì risale l’Italia visitando musei e città. Nell’agosto del 1967 arriva a Milano; la città lo affascina a tal punto che decide di stabilirsi a Sesto San Giovanni. Da questo momento inizia a lavorare al fianco di artisti come Enrico Castellani, Luciano Fabro, Mario Nigro e Antonio Trotta. A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta la sua ricerca risente dall’influenza dell’arte concettuale e trova delle prime occasioni espositive nel 1970 presso la galleria Françoise Lambert di Milano e il Solomon R. Guggenheim di New York, dove partecipa ad una mostra collettiva sull’arte giapponese contemporanea. A partire dal 1972 – anno della sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia – l’artista si lascia sedurre dalle sensazioni plastiche e avvia la sua riflessione sul senso della scultura, producendo opere di grandi dimensioni in materiali quali oro, marmo e bronzo. Nella produzione di questi anni affronta i temi dell’impronta del corpo e le categorie astratte di spazio e tempo. Affascinato inoltre dall’idea di metamorfosi l’artista trasforma anche la carta, tradizionalmente usata come supporto, in scultura. Nel 1979 co-fonda, insieme a Jole de Sanna e allo scultore Luciano Fabro, la Casa degli Artisti, uno spazio per mostre, eventi e residenze d’artista che ha avuto un ruolo fondamentale nella scena artistica milanese. Dal 1990 al 2002 Nagasawa è docente alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano; inoltre tiene corsi d’arte all’Accademia di Belle Arti di Brera e alla Tama Art University di Tokyo. L’artista muore, all’età di settantasette anni, nel 2018 a Ponderano (BI).

Nagasawa ha partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1976, 1982, 1988, 1993), a Documenta (1992), alla Biennale di Parigi (1973) e alla Biennale di Middelheim (1975).Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive tenutesi, tra l’altro, a Tramway, Glasgow; Yorkshire Sculpture Park, Wakefield; Municipal Museum of Fine Arts, Kyoto; The National Museum of Modern Art, Osaka; Metropolitan Art Museum, Tokyo; The Museum of Modern Art, Saitama; Städtische Kunsthalle, Düsseldorf; Louisiana Museum of Modern Art Culture Center,  Humlebaek; Museum Moderner Kunst, Vienna; Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca, Palma de Mallorca; Galleria Civica di Arte Contemporanea, Trento; Collezione Peggy Guggenheim, Venezia; PAC-Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano; Palazzo delle Esposizioni, Roma. Diversi suoi lavori sono conservati in collezioni istituzionali private a livello internazionale, tra cui il Museum of Modern Art Kamakura & Hayama, il National Museum of Modern Art Osaka, il Takamatsu City Museum of Art e l’Iwaki City Art Museum (Giappone); il CaMusAC – Museo d’Arte Contemporanea, Cassino e il MAMbo – Museo d’Arte Moderna, Bologna.

Carlo Franza

 

 

 

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