Non vi era migliore occasione, per celebrare il centenario della nascita che ricorrerà nel 2025, che mettere in piedi la mostra visitabile fino al 16 febbraio 2025, nella Casa Museo Licini a Monte Vidon Corrado per ricordare e ancor più indagare l’opera di Magdalo Mussio (Volterra, 1925 – Civitanova Marche, 2006), uno tra i più significativi esponenti della sperimentazione verbo-visuale, capace di elaborare una propria cifra stilistica, preziosa, intellettualmente colta e segnale di incisiva avanguardia. La sua opera pur rientrando nella grande cornice della poesia visiva apparsa in Italia negli anni Sessanta e Settanta in più centri (Roma, Milano, Firenze, Genova e Torino) si distingue da essa, facendoci spazio nei linguaggi verbo-visivi. Mussio non riduce l’ impaginazione  dei suoi lavori e delle sue composizioni a schemi rigidi  e geometrici,  usa con leggerezza  le immagini massmediatiche, carpite per essere usate in collage, senza mai alludere a impegno politico com’è stato ad esempio con Miccini e Pignotti; non insegue l’azzeramento dell’arte tipica espressione dei concettuali. E negli anni ha vissuto l’età delle neoavanguardie del secondo Novecento intersecando le ricerche artistiche, parola, immagine, la linguistica e la semiotica, recuperando anche esperienze d’inizio Novecento – e pure antecedenti – basti pensare ai futuristi per proporre la parola, la lettera alfabetica e il numero. Il movimento di Marinetti e le parole in libertà influenzarono i lavori dei primi modernisti, Max Weber, John Marin, Marsden Hartley, James Daugherty, ecc. fino all’Armory Show di New York del 1913 e il Panama- Pacific   International Exposition di San Francisco del 1915.

Il carattere grafico, il gesto e l’azione della scrittura, i caratteri, il segno  ricorrono in tutti i settori in cui Mussio ha operato (grafica, disegno, editoria, pittura, animazione); ma l’origine prima di questo suo impulso scritturale va ricercato nei suoi appunti, in quel coacervo di abbozzi, scritture, scarabocchi, disegni, tracce di movimenti, indicazioni.
Provate a immergervi nelle sue tavole, nelle sue opere caratterizzate da grafie illeggibili, spesso ermetiche come fossero destinate  a sacerdoti divinatori. Sono tracce di energie psichiche, scritture smarrite sulla pagina, flussi di coscienza e automatismi, germinazioni incontrollabili di una grafia privata, minuta fino all’indecifrabilità, accompagnata da cancellature che lasciano memoria di quel che è stato; sono grovigli di linee e sequenze di numeri, rari tocchi del cuore, vettori eccentrici di segni filiformi, per una spazialità pluridirezionale del segno. Il tutto è sospeso nella pagina bianca, nel vuoto di una superficie pulita e segnata in alto o in basso, a destra o a sinistra come fosse da colmare, e con accensioni e sovrapposizioni successive, memorie di un tempo, racconti a puntate. Quelle di Mussio sono tracce di un’origine che ritorna, quella di un’era remotissima, primitiva, in cui il segno precedeva ancora il significato delle parole.

Grazie allo studio di materiali di archivio, resi disponibili dalla famiglia dell’artista insieme a tutte le opere in esposizione, la mostra indaga la dimensione del margine, di una pagina che contiene, e non straripa, in cui il segno è stato al tempo stesso immagine e parola, l’una sconfinando sempre nell’altra, senza margine, appunto. Una vera e propria soglia tra il reale e l’Altrove è stato il margine, uno svolgere tuttovorrei aggiungere- tra il reale e il mentale, lungo il quale Mussio ha avvertito presagi contraddittori, sospesi tra una pressante inquietudine di esistere e improvvise speranze di riscatto, consapevole dell’inevitabilità del dolore e del male come pure della necessità di accettarlo. La percezione del degrado, della distruzione, dell’annullamento che esala dalle sue opere è presagio, però, di una verità, che lungo il margine, tutto ciò che sparisce si confonde sempre con quel che sta per apparire e tornare a essere. Tracce, racconti silenziosi, le parole ermetiche appese a un segno, tutto nel silenzio dell’attesa eppure tutto avvolto in quel clima di esperienza umana e poetica come già fu per Osvaldo Licini, visto che la mostra è qui raccolta a Monte Vidon Corrado. Anche Magdalo Mussio ha lasciato traccia di ciò, tutto si rapporta al suo essere stato uomo e artista discreto, a questo suo aprire il cuore e la mente per legare l’antico e il presente, e lasciar emergere il sapere ancestrale del mondo, come ha dettato a fondo la sua ricerca.

Carlo Franza  

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