“[..] sballottati come un osso di seppia dalle ondate, svanire a poco a poco, diventare un albero rugoso o una pietra levigata dal mare, nei colori fondersi dei tramonti, sparir.” (Ossi di seppia, Eugenio Montale)
Il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano ETS, in collaborazione con l’Archivio Ugo Mulas, ospita, presso l’Abbazia di San Fruttuoso a Camogli (GE), la mostra Ossi di Seppia. Ugo Mulas, Eugenio Montale, un intenso e suggestivo dialogo tra due linguaggi artistici, la fotografia e la poesia, e tra due grandi maestri della cultura italiana, Ugo Mulas e Eugenio Montale, che verte sulla stessa materia: l’impressione e il concetto del paesaggio ligure. La mostra è visitabile fino al 16 febbraio 2025.

A cura di Guido Risicato e IL FAI ringrazia la Famiglia Montale e la Casa Editrice Mondadori S.p.A. Milano per avere concesso a titolo gratuito il permesso di riprodurre, nell’allestimento della mostra e nei materiali divulgativi, alcune liriche tratte da “Ossi di Seppia” di Eugenio Montale.
Il FAI ringrazia i Trasporti Marittimi Golfo Paradiso., 
la mostra, allestita in diversi ambienti dell’Abbazia, presenta venticinque fotografie in bianco e nero scattate da Ugo Mulas nel 1962 a Monterosso, nelle Cinque Terre, luogo dove Eugenio Montale ha trascorso la sua infanzia e che ha ispirato il poeta nella composizione della raccolta Ossi di Seppia.

Le foto esprimono, in maniera concettuale, il paesaggio descritto dal poeta in quel che egli stesso definiva il periodo del “proto-Montale”, ovvero il 1925 quando egli pubblicò una delle sue prime raccolte, Ossi di seppia appunto, dove la sua lingua, aspra e pietrosa, già mostrava il lato oscuro della condizione umana. Affascinato da sempre da quei versi, Ugo Mulas decide di illustrare per una rivista la Raccolta e si reca a Monterosso con l’intento di rendere su lastra quel sentimento, insieme di assoluto e di profonda solitudine, rappresentato dal mare, dal sole e dalle rocce. “Più che queste foto di documento che possono anche essere interessanti, quello che conta rendere, è il clima generale del luogo, cioè trovare quegli elementi generici, non specifici, che continuamente ritornano, come un leit-motiv in tutto il libro” scrive Ugo Mulas in merito al suo reportage. Il risultato è un’opera fotografica caratterizzata dalla scelta d’insoliti punti di vista e da un intenso lirismo completamente aderente all’opera del poeta, dove la parola trova una perfetta corrispondenza con l’immagine. Per Stefano Verdino, docente di letteratura italiana all’Università di Genova, “le qualità sia dell’inquadratura sia della luce di questi scatti hanno un che di perentorio, che calza mirabilmente non in termini illustrativi ma di sintonia espressiva con il verso sempre nitido e tagliente di questo primo Montale”.
Dopo la mostra, nel 2023, delle fotografie di Gianni Berengo Gardin dedicate al borgo di San Fruttuoso, il FAI accoglie una seconda iniziativa intitolata alla fotografia d’autore, mettendo in mostra gli scatti di un altro grande Maestro, anch’essi dedicati a questo tratto del paesaggio ligure. L’intenzione della Fondazione è offrire l’occasione di conoscere questo speciale lavoro di Ugo Mulas, che si articola nel suggestivo dialogo con le poesie di Eugenio Montale, ma anche di invitare il pubblico, attraverso queste visioni artistiche, a osservare con attenzione il paesaggio, a scoprirlo e conoscerlo in profondità e nei dettagli, per scoprirne il valore e il significato, la storia e lo spirito, che vanno oltre la bellezza da cartolina per cui è rinomato nel mondo. Anche in ciò il FAI persegue la sua missione, educando alla conoscenza dei luoghi come primo e fondamentale passo per promuovere, presso i cittadini di oggi e di domani, una cultura della tutela e del rispetto del patrimonio.

Ugo Mulas nasce a Pozzolengo (BS) nel 1928. Dopo il liceo classico si trasferisce a Milano, nel 1948, per intraprendere gli studi in Giurisprudenza che non terminerà. All’inizio degli anni Cinquanta frequenta il bar Jamaica, luogo di ritrovo di intellettuali e artisti. Milano nel dopoguerra, la sua periferia, il bar Jamaica e le sale d’aspetto della Stazione Centrale sono i soggetti delle prime fotografie dell’autore che verranno pubblicate nel 1955. Sarà la Biennale di Venezia del 1954 a segnare l’inizio della sua carriera di fotografo. In occasione di una tournée a Mosca con il Piccolo Teatro di Milano, realizza nel 1960 un reportage indipendente sulla Russia. La collaborazione con Giorgio Strehler lo porterà poi a elaborare una particolare modalità di documentazione della scena teatrale. Nel 1962, oltre alla produzione di “Ossi di seppia”, documenta il quinto Festival dei Due Mondi di Spoleto e qui incontra David Smith e Alexander Calder con i quali collaborerà in seguito per la realizzazione di servizi di moda. A fine anni Sessanta segue le manifestazioni artistiche più importanti: a Foligno “Lo spazio dell’immagine”, le contestazioni del 1968 alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia e a Kassel per “Documenta”. Negli anni Settanta intensifica la ricerca per le “Verifiche”: un insieme formato da quattordici opere, strutturato in immagini e testi; un lavoro volto a definire la materia fotografica e i suoi codici tecnici, linguistici e etici. Nel 1972 cura, con l’amico e storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle, una mostra sulla sua opera. Muore a Milano nella sua casa studio il 2 marzo 1973. Nel maggio dello stesso anno si inaugura a Parma, al Palazzo della Pilotta, la prima retrospettiva a lui dedicata dal titolo Ugo Mulas. Immagini e testi. Nello stesso anno Einaudi pubblica “La fotografia”, volume in cui Ugo Mulas consegna gli strumenti fondamentali per la comprensione della sua opera.

Carlo Franza

 

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