Dal 17 settembre al 31 ottobre 2024 la Galleria Fumagalli ospita la prima mostra personale in galleria dell’artista Nidaa Badwan (Abu Dhabi, 1987) artista palestinese con cittadinanza italiana, attualmente di stanza nelle Marche. Dal 2024 è rappresentata in esclusiva dalla Galleria Fumagalli, sicchè alla vernice inaugurale era presente l’artista.

Dopo il grido di dolore di Munch, mi è giunto il grido di questa giovane artista Nidaa Badwan (Abu Dhabi, 1987)  fuoriuscita dall’inferno di Gaza.   È stata arrestata Nidaa, nel campo profughi di Deir al-Balah, dove viveva con la famiglia, dai miliziani di Hamas: non indossava il velo, ma un berretto colorato; è con un gruppo di ragazzi. Ragioni valide per strattonarla, tenerla in cella tre giorni e farle firmare a forza l’impegno di mettersi il velo.

Ora l’intera l’intera  mostra  da Fumagalli a Milano trae il titolo dall’inedito corpus di opere fotografiche Rinascita, un progetto nato dalla necessità di oltrepassare una serie di soglie del proprio percorso artistico e personale (restituito iconograficamente dalle quattro serie precedenti presenti in mostraCento giorni di solitudine del 2016, Le Oscure Notti dell’Anima del 2020, The Game del 2021 e Love behind the Mashrabiya del 2023) per raggiungere una condizione di risveglio e rinascenza.

Nidaa Badwan mutua il pensiero filosofico di matrice induista – ripreso anche da Schopenhauer – per il quale la vera essenza delle cose, l’essenza immortale del mondo, è celata alla percezione dell’uomo che, quindi, vive in una condizione di ignoranza e sofferenza. Tale pensiero viene mutuato da Nidaa Badwan alla luce di una credenza tradizionale araba per cui ogni nascituro porta con sé una pesante eredità frutto del trascorso emotivo di sette generazioni di ascendenza matrilineare. Tale ereditarietà si mescola, inoltre, alle emozioni e stati d’animo trasmessi direttamente dalla madre al bambino durante il periodo di gestazione. Per ribellarsi a tali condizioni, per emanciparsi dalle tenebre della sofferenza e rompere la catena dell’ereditarietà, l’artista aspira alla propria rinascita.
L’inedita serie fotografica ripercorre l’esperienza intima dell’artista dal suo concepimento nel 1986 alla sua nascita nel 1987, ponendosi come metafora per una rinascenza universale.

«Il mio intento è quello di curare me e gli altri attraverso le immagini. L’arte, essendo espressione della profondità di pensiero è rifugio e catarsi al contempo. È terapia che ci permette di sconfessare le atrocità di una vita essenzialmente vocata all’individualismo.» spiega Nidaa Badwan.

La ricerca artistica di Nidaa Badwan è profondamente influenzata dall’esperienza di crescita nel territorio palestinese (a Deir Al-Balah, nel sud della Striscia di Gaza) nel clima di discriminazione e persecuzione femminile attuate dal regime di Hamas. Nel 2013, in seguito all’aggressione da parte di alcuni miliziani che le contestavano il mancato uso del velo per strada, sceglie di isolarsi per diversi mesi nella sua camera di 3×3 metri a Gaza, per perseguire attraverso una forzata clausura un’esperienza di libertà artistica, di resistenza e pacifica ribellione alla costante e violenta repressione. L’autoimposta reclusione le permette di concentrarsi sul proprio io, di dedicarsi alla profonda meditazione ed esprimere liberamente la propria femminilità. Da qui nasce la serie di scatti Cento giorni di solitudine del 2016, pubblicata, tra gli altri, sulla prima pagina del New York Times.

Seguono nel 2020 il ciclo Le Oscure Notti dell’Anima, che documenta l’esperienza di meditata introspezione attuata dall’artista per confrontarsi con i propri demoni e condizione di solitudine, e nel 2021 la serie The Game che omaggia il sommo poeta Dante Alighieri nel 700° anniversario della morte. Nel 2023 il Museo for Art in Wood di Philadelphia le commissiona un progetto dedicato alla Mashrabiya (nell’architettura islamica una griglia in legno che salvaguarda gli ambienti abitati dalle donne dagli occhi indiscreti): Nidaa Badwan sovverte la regola proponendo il ciclo Love behind the Mashrabiya in cui la griglia di legno facendosi più rada, non cela nulla, anzi diventa sfondo della vita operosa dei soggetti ritratti.

Nidaa Badwan è nata ventinove anni fa ad Abu Dhabi ma da sempre abita nella Striscia di Gaza dove ha lasciato la madre, il padre e due fratelli. Oggi abita a San Marino, perchè sulla propria pelle ha dovuto subire un feroce oscurantismo che ha bandito la cultura, l’arte, la musica, i luoghi di ritrovo, spegnendo ogni speranza negli occhi dei giovani. «Ecco perché ho deciso di segregarmi per mesi nella mia camera» racconta Nidaa. «Non può esserci un prezzo per la libertà: noi veniamo al mondo già liberi. E se mi è negata, la costruirò nel mio spazio, per quanto angusto sia». È stata arrestata Nidaa, nel campo profughi di Deir al-Balah, dove viveva con la famiglia, dai miliziani di Hamas: non indossava il velo, ma un berretto colorato; è con un gruppo di ragazzi. Ragioni valide per strattonarla, tenerla in cella tre giorni e farle firmare a forza l’impegno di mettersi il velo. Così lei inscena la sua personale rivolta e si auto-incarcera, affidando alla macchina fotografica i ritratti di un isolamento che è uno scalciare creativo e, insieme, un silenzio purificante dalla morte e dalla distruzione di cui Gaza odora.

Carlo Franza

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