Inaugurata in questi giorni nella prestigiosa sede del Circolo degli Esteri di Roma, la mostra “Aspetti della Metarazionalità” di Beppe Bonetti, nell’ambito del Progetto artistico Internazionale “Storie”. La mostra è visitabile fino al 16 novembre 2024.   Il progetto fa seguito ad un primo progetto che aveva per titolo “Mondi” che si è tenuto dal 2020 al 2024. Ora, “STORIE” è un progetto appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel quadro della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea. Esso vive nobilmente sulle arti che riprogrammano il mondo, si campiona ad essere uno spettacolare archivio decentralizzato ove le diverse discipline si nutrono di arte-mondo, mira a rappresentare come si abita la cultura globale, ovvero l’altramodernità, che altro non è che una sorta di costellazione, una specie di arcipelago di singoli mondi e singoli artisti le cui isole interconnesse non costituiscono un continente unico di pensiero, ma lo specchio di un’arte postproduttiva e frontaliera, mobile, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. E’ con questo progetto, ideato e diretto da me, che si vuole indicare e sorreggere un’Europa Creativa Festival e, dunque, protagonisti e bandiere, bandendo ogni culto del transitorio per porgere a tutti il culto dell’eterno. Il terzo millennio che fa vivere i processi creativi nel clima di abitare stili e forme storicizzate, perchè il futuro è ora, fra rappresentazioni e interpretazioni, ci porta a cogliere il nuovo destino della bellezza. Con l’arte vogliamo aprire finestre sul mondo, con l’arte vogliamo aprire stagioni eroiche, con l’arte vogliamo inaugurare una nuova civiltà. Con “STORIE” (2024-2026) si porgono dodici mostre personali di dodici artisti contemporanei, taluni di chiara fama. Questa mostra dal titolo “Aspetti della metarazionalità” è la prima del nuovo percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano a Roma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione è stata da me curata e ho firmato anche il testo in catalogo dal titolo “Aspetti della metarazionalità”, e riunisce una serie di opere dell’artista Beppe Bonetti, già apparso agli occhi della critica italiana e internazionale come una figura delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, ed ancor oggi nella memoria di tutti ricordato come chiaro e significante interprete.

All’inaugurazione, davanti a un parterre d’eccezione con intellettuali, artisti, collezionisti, diplomatici fra i tanti, unitamente al Professor Carlo Franza, ideatore della rassegna che ha presentato l’artista e le sue opere, sono intervenuti gli illustrissimi Ambasciatori Umberto Vattani e Gaetano Cortese, e l’Ambasciatore Lucio Alberto Savoia. L’Ambasciatore Gaetano Cortese ha sottolineato nel suo intervento la significante cultura di piano internazionale  che movimenterà il Circolo degli  Esteri di Roma con questo ciclo di mostre; sicchè il prezioso avamposto della diplomazia culturale diverrà con questo Progetto, luogo propulsivo di quel seme che è stata  ed è la Collezione Farnesina.  Ha scritto  Carlo Franza nel testo: “Poesia, filosofia e pensiero sono poli in cui si coniuga il linguaggio visivo di Beppe Bonetti, profondo, elementare, iniziale, infinitamente vibrante in tutta la sua estensione. L’intero suo lavoro e percorso artistico, pur senza irrigidirsi in schemi e scuole, appartenenze, è parso subito alla critica internazionale innovativo e capace di scompaginare la diaphora iniziale che secondo Platone era già “una rivalità antica”, quella visione costituita da miti e favole, e legata all’infanzia dell’umanità. La sua è divenuta una lettura e una rappresentazione del mondo, -da lui fin dal 1982 chiamata “metarazionale”- un perpetuum, un’arte in stretto rapporto con la filosofia, forse ossessiva. La poesia è irrazionale, emozione, sentimento, immaginazione, rivelazione. Il pensiero è rappresentazione, razionalità, logica. Si sa che i decostruzionisti sono giunti a ipotizzare che poesia e filosofia sono la stessa cosa, e si diversificano solo nei segni e nelle forme che utilizzano. Nell’elegia, per la filosofia delle origini (i presocratici), traspare una nostalgia dell’unità del sapere, del saper dire e del saper fare (arte). L’originalità del mondo greco -ha scritto Joe Bousquet- “consiste, grazie a un fenomeno mirabile e unico, nell’afferrare l’idea tra il momento in cui essa è concepita e quello in cui nelle palpitazioni dello spirito essa cerca la propria espressione”. Il loro dissidio, nell’inseparabilità, ha ritmato la cultura occidentale fino all’epoca attuale. Da qui l’interesse di Beppe Bonetti per il pensiero filosofico di Parmenide di Elea, filosofo greco vissuto intorno al 515 a.c. e autore di “Sulla natura” e considerato tra i più importanti presocratici. Bonetti da sempre lavora sul mondo, sullo spazio, sulle costruzioni e sulle disgregazioni, sulle intermittenze, sulle rotture, sulle implosioni ed esplosioni, sullo spazio aperto e chiuso, e altro; un linguaggio e un alfabeto magico, quasi segni dello yin e dello yang nello spiritualismo taoista, dove la linea spezzata e la linea intera hanno in sé “un discorso silenzioso”. Bonetti elogia superficie e profondità incrociando una bellezza errante e sfuggevole, mostrando ordine e disordine, un mondo o più mondi che si mostrano ancorati alla triade modulo, segno, linea, una geometria aggregativa e disgregativa che talvolta precipita nel caos. Mondi sotto un cielo monocromo, che va dai grigi ai neri, dai gialli ai bianchi; la sua ci pare una “poetica del limite”, perché come già osservavo, sotto lo stesso cielo, la sua ricerca vive fra meditazione e contemplazione, per quel suo porsi osservativo dinanzi a un orizzonte fra visibile e invisibile, quasi a voler scoprire un altro luogo, un altro spazio, un luogo “altro” ove poter far navigare la mente. Un luogo che va oltre la materia, la geografia, la storia, una sorta di limbo paradisiaco, senza barriere. Questi mondi e queste spazialità, con varianti e variabili, vivono per volontà di Beppe Bonetti un processo esemplato da un lavoro quasi scultoreo di addizione e sottrazione, di ricerca di nuove forme casuali, forme-informi, svelate come campo aperto di potenziale significato. Bonetti si muove nel cerchio di un pensiero, dopo essersi fermato a pensare, anche solo un momento, a qualcosa di immanente, mostrando come la costruzione di quel pensiero è una forma d’arte, quel suo stringersi attorno a poesia, filosofia e pensiero, da richiamare per quei pensieri dati in forma, le parole di una poetessa: “la casa della poesia non avrà mai porte”, o ancora: “nel cerchio di un pensiero a volte mi riposo sognando”.

Frammenti, Meta-strutture, Variazioni, Variazioni su un errore di Parmenide, Variazioni sul 7, Metarazionalità, tutto si muove sotto un cielo, un firmamento apparentemente vuoto, statico, e fissando un punto di questo firmamento, volta dopo volta, questo comincia a rivelarsi. E’ valido per Bonetti l’assioma di Paul Klee nel voler significare il suo lavoro come “una pratica con i mezzi formali”, sollevando così una serie di problemi fisico-matematici avviati naturalmente verso la più pura poesia. Negli spazi fondali di Bonetti, in quei cieli monocromi che ci invitano a riflettere su un’idea di altro, -quasi un paradosso- un cielo contiene dentro di sé un altro cielo, e a distogliere lo sguardo da linee, segni e moduli, l’attenzione cade sull’immateriale, lasciandoci percepire la presenza di ciò che non possiamo vedere. E’ così che si spiega che ogni ciclo di opere rivisita e riattraversa questo orizzonte tra il visibile e l’invisibile, mostrando una visione che ci trasporta proprio al margine del “finito”; ci chiama al limite del piano visibilmente intellegibile e noi, su questa linea, oscilliamo oltre il confine, verso l’infinito. Pensare di ridurre il lavoro di Bonetti a un capitolo astratto-geometrico può essere fuorviante, perché il suo intero lavoro, pregno di poesia, è serie di simboli, perché i simboli non sono altro che un grido verso il cielo, un ponte fra cielo e terra, indice di una loro perfetta corrispondenza. Simboli multidimensionali, simboli di ritmi temporali o di figure spaziali in cui si succedono i moti celesti o in cui si raggruppa l’universo. Punti di luce, traiettorie stellari, moti di stelle, configurazioni, terre-moti, co-stellazioni, ideogrammi, composizioni non umane, perché il cielo è la poesia originaria, e le sue tracce si ritrovano anche sulla terra; il poema originario è il mondo, è il mondo che a noi si rivela. Lo svelamento artistico e poetico di Beppe Bonetti ha dato vita alla restaurazione del poema del mondo, perché l’artista è stato capace di andare oltre le apparenze di un reale. Nel Dialogo di Luciano di Samosata il tardosofista, mette in scena una coppia di opposti, vale a dire che se Democrito ride perché nelle opere degli umani tutto è poco serio, Eraclito piange perché vede bene che niente è stabile, tutto si mescola e si confonde (“di dolce e amaro /saper e non saper / picciolo e grande / e come un ciceòn / tutto si porta e si trasporta, or sopra or sotto / nel giogo dell’aiòn”). A ben osservare le opere di Bonetti le divagazioni o deviazioni privilegiate, da una direzione privilegiata, tracciano un’antologia pittorica dell’instabilità universale, della relatività generalizzata, ponendo in essere l’idea del frammento puro legato a un tempo e a uno spazio in transizione che separano lo stato nascente dell’opera dalla sua compiuta architettura, come se l’inizio della costruzione dovesse cominciare dalle rovine e la sua conclusione differita. Senza dimenticare che la pittura -come dirà Cèzanne- è un “modulare” e non un modellare, capace di dare rilievo plastico all’immagine, lasciare che il concreto giunga ad apparire come uno stagliato. Preziosa questa pittura di Beppe Bonetti, una geografia di mondi aperti, pittura che mostra la sapienza dei linguaggi più antichi -punti / linee / moduli / strutture /faglie / e altro-, un percorso che esalta la fenomenologia delle forme elementari, il loro interagire, dove tutto vive nel ritmo della differenza, universi mentali esplorati perchè carichi di energia cosmica, forme costruttive e imprevedibili che sono spazio in bilico e si proiettano nella dimensione dell’indistinto, alla ricerca di possibili equilibri, per un’idea di arte totale. Il miracolo di questa pittura di Beppe Bonetti è di aver acceso uno spettacolo reale attraverso problemi assoluti, cercando quella “breve eternità” che si annida in ogni pretesto, e raggiungere quella configurazione globale di mirabile tensione”.

Carlo Franza

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