observatory-of-light-fondation-louis-vuitton4Parigi è in festa, come lo è stata in special modo in questi giorni dedicati alla moda. E ha stupito proprio tutti il telero, la veste  che è stata calata, messa addosso alla Fondation Vuitton. La Fondation Vuitton a Parigi è un piccolo Guggenheim rovesciato, nel senso che  mentre il museo disegnato da Frank Gehry a Bilbao si estende, in tutta la sua grandezza, in un piano orizzontale,  quest’ultimo capolavoro architettonico  dell’architetto canadese ma americano d’adozione  si  alza  in verticale. E forse mima, non so quanto, certo molto,   con l’altro monumento  maggiore, e forse gemello,  di Bilbao, con  i suoi volumi eccentrici, con le sue forme che non possono non stupire,  lasciando tutti  mirabilmente sorpresi.fondation-louis-vuitton

Ecco  l’esterno di questa struttura, che è già di per sé fortemente  spettacolare ( sempre opera di Gehry) rivestita, tappezzata da una serie di pannelli colorati.  È l’intervento, ritualmente  “site specific”, di Daniel Buren, com’è suo uso fare da sempre. Visitatori tanti, parte a favore, parte contrari, e dunque  installazione in parte acclamata e in parte  criticata. Certo che l’abito di Buren alla Fondation Vuitton  da un tono forte, esemplare, unico. Cattura la vista più che il museo di Gehry. 2017-01-10-PHOTO-00000092Due creativi che qui si incontrano e si scontrano.  In realtà reggono entrambi.

 

Daniel Buren ,  pittore e scultore francese (n. Boulogne-Billancourt 1938). Si è formato a Parigi presso l’École nationale supérieure des métiers d’art e l’École des beaux-arts, esordendo (1967) al Salon de la jeune peinture con opere di tendenza minimalista. Sviluppando con coerenza il suo linguaggio espressivo, B. ha lavorato su una varietà di supporti (tela, carta, plastica, legno, ecc.) o direttamente su pareti, facciate, gradinate, utilizzando strisce colorate alternate al bianco quali strumenti visivi per definire lo spazio. 2017-01-10-PHOTO-00000091Ha realizzato opere di formato monumentale ed environment, come Les couleurs: sculptures 1975-77 (1977, drappi di tessuto bicolore fissati su tetti di edifici parigini) o Les deux plateaux (1986, installazione permanente di colonne di altezza diversa nel cortile del Palais Royal a Parigi). 2017-01-10-PHOTO-00000089Negli anni Novanta le sue installazioni si fanno più complesse nella strutturazione degli spazi e per l’importanza della luce: accanto alle strisce ha impiegato pannelli colorati e superfici specchianti che producono effetti trompe-l’oeil (Dominant-Dominé, 1991, Centre d’art contemporain, Bordeaux), caleidoscopici (Transparence de la lumière, 1996, Art Tower, Mito) e particolari rapporti tra interni ed esterni, architettura e paesaggio (A cielo aperto, 2000, S. Maria dello Spasimo, Palermo). Nel 2002 ha allestito al Centre Pompidou di Parigi la mostra Le musée qui n’existait pas, un labirinto di settanta celle con pareti colorate, grigie e a righe moltiplicate da fascinosi giochi di specchi. B. ha partecipato alle più importanti rassegne di arte contemporanea, tra le quali la Biennale di Venezia (1986, aggiudicandosi il Leone d’Oro) e nel 2010 è stata inaugurata la sua prima installazione permanente al Macro (Museo d’arte contemporanea di Roma ). Nel 2012, per l’edizione di Monumenta, ha realizzato l’installazione Excentrique(s), travail in situ trasformando la navata del Grand Palais di Parigi in una sorta di foresta formata da 377 dischi in plastica sospesi su steli d’acciaio; sono dello stesso anno le cinque installazioni ideate per il parco archeologico di Scolacium (Catanzaro) nell’ambito del progetto Costruire sulle vestigia: impermanenze. Opere in situ. Nel 2015 ha  messo in piedi una installazione al Mercato Centrale  di Firenze e nel 2017 ha dato un contributo di colori all’accensione della Focàra a Novoli-Lecce.

Carlo Franza

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