Allo Studio Lattuada di Milano (Via dell’Annunciata 31), galleria storica e di punta dell’arte italiana contemporanea, con sedi anche a New York e a Lugano, diretta da Flavio Lattuada giovane gallerista che da sempre dà impulso allo spazio con scelte mirate per un’arte  che si fa presenza amata e rispettata, accompagnando i collezionisti verso un’arte non di moda ma rigorosa e sicura; ebbene qui espone tra settembre e ottobre 2013 un’eccellenza dell’arte italiana, Giuseppe Amadio(Todi 1944), artista tra i più veri, colti, innovativi e sicuri della contemporaneità. Tra i linguaggi visivi della contemporaneità quello di Giuseppe Amadio è tra i più affascinanti, risultandone un grande inventore, essendo stato capace di organizzare inedite soluzioni dimensionali, compositive, cromatiche e spaziali. Una continuità inventiva e conoscitiva che attraversa  il suo operare artistico  con una ricerca estetica che accoglie sentimento e ragione, emozione e razionalità. Con rigore, unitamente a perfezione e imperfezione, tracciati e sagomati, limite e illimitatezza, gli spazi ritagliati da Giuseppe Amadio   restituiscono una potenza energetica incredibile grazie a un progettare  e prevedere, a un “costruire”  ritenuto sempre “possibile”, da quel segno impresso che  movimenta lo spazio tra concavi e convessi, con un’istanza di libertà geniale, che porta a far vibrare  il movimento originario  in una grammatica che esperisce com’è il mondo, lo spazio circoscritto o infinito, la geografia dello spazio, di uno spazio  placcatico  svelato da un perpetual inventory, declinando una sorta di cartografia dinamica, capace di non sottrarsi a sommovimenti, a dune di colore e impunturate  che svelano l’estroflessione del telero, estroflessioni  monocrome che raccontano un universo che si accende di  toni, di materia pulsante, di dilatazioni , svelandoci persino oltre l’ossatura anche una sorta di respiro sincopato. C’è un tempo totale dentro questo  spazio totale in cui percepisce non solo il respiro dell’esistenza, ma anche il pensiero dilatato, tanto che colore e pittura entrano ed escono dal telero in un proliferare ritmato e crescente di luoghi, di morfologie e geografie, di spazi che crescono e danno esiti incredibili, misurando
un’alternanza anche di immagini geometriche che giocano in contrapposizione contrappuntistica di linee e di sfondo, restituendo alla fine uno spazio densamente emozionale, capace di filtrare in questo rigore e in questa spiritualità congiunta, una sorta di novello alfabeto. Lungo il percorso trans-dimensionale  che apre e chiude lo spazio dipinto e lo esplora  dall’alto in basso e da destra a sinistra e ne misura i giusti ritmi, il loro confine immaginario, Giuseppe Amadio vive ancor di più con ritmi  d’interazione e connessioni di energie del probabile, quel segmento leggero e inconsapevole di un presagio oggi arrivato a destinazione, visibile nel suo esserci in quell’inconfondibile sigillo della vita infinita.
Con lui rivive il “canone” che è linguaggio greco, ovvero regola, proporzione, rigore visivo, raffinatezza stilistica; tutto ciò entra prima e si anima poi nello spazio di Amadio  ed anche la superficie si esaurisce nella sua funzione primaria, ne diventa nuovo oggetto, si piega, si configura campione fino a divenire territorio nuovo, geometria nuova, nuova prospettiva. Questi spazi colorati  si confermano esercizio di libertà, di ramificata espressione complessa di un alfabeto che è testimonianza radicale di Giuseppe Amadio, artista capace, intellettuale colto, raffinato  filosofo del fare, come è stato e com’è ancora oggi, di muoversi in una nuova visione delle spazio e del tempo, ma anche della società e della storia contemporanea, intessendo  strutture e tensostrutture  che sono divenute ritratti del mondo, ritratti del corrugamento terrestre, iterazioni tensive come ritmi cosmici  che contengono un respiro dinamico e un valore infinito.Giuseppe Amadio con il suo alfabeto, personalissimo, pur rientrando in quell’area che muovendosi da Lucio Fontana porta ad autori come Castellani  e Bonalumi, offre possibili possibilità, in cui il lessico visivo movimenta punti, linee, curve, angoli, quadrati, cerchi, ovvero quella geometria simbolica e rigeneratrice, vera geometria dell’universo, mossa dalla sua creatività del sapere, da un ritmo elementare che imprime alla sua produzione il labirinto dell’esistere, la prova cartografica di un vivere infinito. La pittura di questo spazio, di questi campi colorati(color field) e un colore monocromo (azzurro, rosso, giallo, bianco, nero, ecc.) disposto in modo omogeneo, uniforme, rotto solamente da cedimenti  e avvallamenti spaziali, come soluzioni tra cielo e terra, portano ad
approfondire miraggi filosofici, il mondo, la relazione con il sublime, genere emozionale, spirituale, che supera la potenzialità dei sensi. I colori di Amadio, nella loro luminosità si compenetrano con lo spazio, vivono l’aspetto del bagliore, della luce assoluta, assumono il carattere di un varco metafisico. La pittura transita nell’azione e dall’azione prende corpo. Il ritmo incalzante delle colline spaziali coinvolge l’intera superficie che trova il proprio equilibrio nel susseguirsi  dei movimenti. Ogni tela racchiude quella capacità di apparire e scomparire della pittura, su cui si fonda il lavoro recente, quel farsi a un tempo corpo e assenza. Lo spazio “accade”, provocando un diverso accadere, una diversa immagine. Il luogo dei movimenti è impregnato di fisicità ed affascinato dai vuoti. Tale pittura in questi teleri si costruisce, ci sorprende, ci affascina per il suo esserci, e si offre con un linguaggio che trova la propria origine nel gesto che la esegue. Il colore sembra distendersi  secondo un principio temporale. Le estroflessioni  danno un fondo  ritmico e la superficie crea una spazialità tutta inventata, costruita sulla possibilità dell’assenza di luogo.
Giuseppe Amadio raggiunge il massimo della semplicità  accanto al massimo della grandezza, lasciando che siano i colori, i suoi toni, a sancire il passaggio luminoso, quella luce che è l’elemento fondante di una spiritualità che connette l’astrazione sua agli spazialisti  storici che hanno interrogato la natura della visione, maturando un’ascesi assolutamente strutturale che vive una sorta di spasmo dinamico, un codice nobile, un universo mentale.

 Carlo Franza

 

 

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