Alla Primo Marella Gallery di Milano è proprio da vedere “Breakfast with my Enemy”, la prima personale europea dell’artista birmano Aung Ko (1980, Myanmar). Considerando il contenuto più importante della forma, Aung Ko utilizza linguaggi diversi in funzione dei temi che tratta. Dalla fotografia alla video-arte, dalla pittura alla scultura, l’artista si confronta con temi contemporanei che influenzano la sua vita e quella del suo popolo. Le sue narrazioni artistiche si rapportano alla storia, contemporanea e passata, ed al tempo che trascorre.

La serie di dipinti dal titolo “We are Moving” e “How Should We Do?” del 2013, raccontano un fatto di cronaca risalente al 15 maggio del 2010, quando tre ordigni esplosero in successione provocando la morte di alcuni manifestanti riunitisi per la festa buddhista dell’Acqua. Tale attentato pare sia stato organizzato dalle forze militari per mettere a tacere coloro che erano contrari e sostenevano Aung San Suu Kyi. In queste opere Aung Ko, quasi fosse un reporter, immortala i gesti di angoscia e paura dei manifestanti in fuga. Riprendendo il medesimo fatto di sangue, Aung Ko ha lavorato anche ad una serie di sculture, alcune bianche che raffigurano gli stessi personaggi dei suoi dipinti, altre rappresentano lo stesso artista a grandezza naturale in periodi ed età diverse. Altre sculture sono dipinte color oro, tono che rimanda all’identità della Birmania, detta anche “terra dell’oro”. Lo stesso artista afferma: «La maggior parte dei birmani che lavorano e vivono all’estero si chiamano tra loro Mister Gold, ma queste persone non sono in grado di realizzare i propri sogni dorati. Emigrano con la speranza di fare grandi cose e si ritrovano invece a fare i lavori più umili e rischiosi. La mia stessa condizione di artista, che potrebbe apparire privilegiata, mi porta giornalmente ad affrontare momenti di amarezza. Se si fa un bilancio di felicità e infelicità nella nostra vita, l’infelicità ha un peso maggiore.»

A proposito dei colori scelti per le sculture, Demetrio Paparoni scrive nel testo redatto per il catalogo della mostra: “Come l’oro, il bianco è il colore che più di ogni altro esprime l’essenza della luce, è il non colore che l’occhio percepisce quando la luce giunge al suo massimo grado d’intensità, rendendo impossibile la percezione degli oggetti nella loro consistenza materiale. La smaterializzazione sul piano simbolico del soggetto non è intesa da Aung Ko come fuga dal reale, ma come denuncia della realtà contemporanea che porta l’individuo a dissolversi in una dimensione anonima e omologante.” “Bicycle” (2008-2011) è un’installazione composta da un video ed una serie di fotografie che l’artista ha scattato nel corso delle stagioni, dei giorni e degli anni nei dintorni del suo villaggio, catturando la quotidianità e la ritualità del popolo birmano. “Trait-d’union” è un’installazione da lui costruita fatta da tre biciclette assemblate insieme: tre come le stagioni nel Myanmar, tre come le dimensioni del sacro nel credo buddhista e tre come gli anni impiegati per realizzare il progetto.

Infine le opere “The Sights viewed from Boats” che ancora una volta elevano un oggetto comune e che fa parte della quotidianità in Myanmar implicando una riflessione su temi sociali, economici e politici contemporanei.

Carlo Franza

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