Dov’è la Cultura? Dov’è l’Arte? Dove sono le rubriche artistiche e le recensioni dei Critici? Non ci sono. Abolite. C’erano una volta. Parola di giornalista. Parola di Storico dell’Arte. Ma credetemi, non è solo questione di crisi e di foliazione diminuita sulla carta stampata, è che l’Italia si è involgarita, l’hanno involgarita con gli spread e le banche ingrassate. Un libro scritto da B.Cinelli, F.Fergonzi, M. G. Messina, A.Negri, dal titolo “Arte moltiplicata. L’Immagine del ‘900 nello specchio dei rotocalchi” (Bruno Mondadori Ricerca,Torino-Milano) racconta l’arte nei giornali, anzi passa in rassegna storicamente il fatto che l’arte contemporanea è stata, nell’ultimo ventennio specialmente, un riempitivo da ultima pagina o da fondo della carta stampata. Ricordo che anni fa all’Università La Sapienza di Roma ci fu un Convegno -ne fui tra i relatori- sullo “Stato della Critica d’Arte nei quotidiani in Italia e in Europa”; ne venne fuori che c’era una continua corsa al vantaggio dell’informazione a scapito della riflessione. Chi non ricorda fra i lettori d’una volta che prima di fare un giro per gallerie si andava a prendere copia del Corriere della Sera per leggere cosa aveva scritto Leonardo Borgese, su questo, quello o talaltro artista? Sono lontani i tempi in cui anche Il Giornale -direttore Indro Montanelli- aveva le pagine domenicali di “Album” dove comparivano le firme dei letterati e dei critici più significativi della cultura contemporanea. Ricordo ciò con grande nostalgia, e quelle pagine sulle quali scrivevo sono state poi annullate. Le rubriche d’arte, quella di Marco Valsecchi e la mia su Il Giornale, quella di Giulio Carlo Argan su L’Espresso, quella di Giovanni Testori sul Corriere della Sera, quella di Marco Vallora su La Stampa, quella di Virgilio Guzzi su “Il Tempo” ecc. Poi, mostre e artisti sono uscite sulle pagine di Costume, in Cronaca e mai più in Terza. Già, ma la terza pagina non c’è più da un pezzo, anch’essa abolita, o quantomeno spostata nelle pagine di fondo. Dunque, “l’arte questa cenerentola” mi diceva un collega di un quotidiano quando aveva la mia rubrica “mostre” in mano. I direttori dei giornali e delle riviste hanno incominciato a vedere l’arte come un optional, ed anche la competenza di chi firmava gli articoli è stata guardata con il naso all’insù. L’arte è stata trattata, ed è ancora trattata con sufficienza, con estrema superficialità, dieci righe, venti righe, quaranta righe, sessanta righe, alt. E soprattutto raccontata, anche se da una penna e da una firma, puntando più sul personaggio, su particolari piccanti, su storielle e aneddoti, quasi a farne un contorno dell’opera dell’artista in questione. Questo sia sui quotidiani che sui rotocalchi come “Epoca”, “L’Europeo”, “La Domenica del Corriere”, sul “Tempo”. Titoli clamorosi, quasi una presa in giro, “i buchi di Fontana”, “le forchette di Capogrossi”, “la merda di Manzoni” o “il fiato di Manzoni chiuso nei palloncini”, “le bruciature di Burri”, “gli impacchettamenti di Christo”, per citarne alcuni . Nelle testate a grande tiratura al cronista d’arte non è stata data mai grande importanza, ma non è stato da meno per i critici letterari, i critici teatrali, i critici musicali (vedi Montale) e i critici televisivi. La firma dell’artista e del critico sbattuti in ultima pagina. E dire che i grandi direttori di giornali d’un tempo davano grande peso ai cronisti della cultura, perchè l’informazione italiana è fatta anche di arte, di design, di architetture, di poesia, di narrativa, di saggistica, di musica, di teatro, di televisione e cinema,cose e novità che appartengono al vivere quotidiano. Oggi a tirar le somme, dinanzi a questo spaventoso baratro culturale che inizia dalle università e finisce poi anche sui giornali, ci vien da dire che il grande giornalismo è finito. Riprenderà mai?

 Carlo Franza

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