Flavio Favelli a Istanbul mette in piedi opere che declinano l’altramodernità.
“Grape Juice” è il titolo della prima personale che Flavio Favelli ha inaugurato a Istanbul in questi giorni. Vi dirò di più, Favelli e la sua opera avvolgono da qualche tempo il mio nuovo concetto di bellezza, catturato di giorno in giorno attorno a me. Curata da Vittorio Urbani, la mostra è stata allestita alla Galata Rum Okulu (ex Scuola Greca di Galata), una delle principali sedi dell’ultima Biennale di Istanbul. L’artista è stato invitato dall’Associazione AlbumArte di Roma, presieduta da Cristina Cobianchi e diretta da Maria Rosa Sossai, per il ciclo Anteprima#3, un progetto che vuole creare un ponte tra culture diverse. Favelli ha così svolto una residenza d’artista a Palazzo Venezia, sede a Istanbul dell’ Ambasciatore d’Italia in Turchia, Giampaolo Scarante. Durante il periodo di residenza, Favelli ha avuto l’opportunità di essere guidato nella ricerca dei materiali con cui realizzare le opere dall’architetto Murat Ozelmas, stretto collaboratore dello scrittore Ferit Orhan Pamuk alla costituzione del “Museo dell’Innocenza”. La riflessione dell’artista per questa mostra è partita dall’immagine dell’etichetta di una vecchia lattina di succo d’uva. Questo succo, prodotto in America e di proprietà della Coca Cola Company, si chiamava Hi-C. La stella bianca e la “C” dell’etichetta hanno ricordato a Favelli la bandiera turca. Nasce così “Grape Juice”, da cui Favelli ha iniziato a costruire la mostra: “A cavallo fra due mondi, che alla fine sono più di due, cerco, più che un dialogo (che è già bell’avviato dalla globalizzazione) un gioco di specchi, fra le mie immagini e quelle della città e dei molteplici pianeti che rappresenta. Diceva una pubblicità: Absolut Istanbul ”. “Favelli a Istanbul reagirà ad una società che da due secoli si interroga sulla propria posizione nel campo della Modernità, e il cui recente ‘successo’ internazionale è ora adombrato dalle recenti difficoltà della politica e dal disagio sociale“, spiega ancora il curatore Vittorio Urbani, delineando l’approccio dell’artista che non manca di sfiorare l’impegno sociale. La mostra si struttura in quattro progetti distinti: all’entrata della sala, sulla vetrata che divide questa dall’atrio, una grande immagine di Istanbul “da cartolina; al centro una costruzione con pannelli di ferro riciclati, poi quattro pannelli-quadri dipinti a smalto, che presentano alcuni particolari di banconote della Turchia degli anni ’70; infine un oggetto da lui definito “struggente”, una bottiglia di Coca Cola emessa solo per la Turchia, che ha trovato in Italia. Favelli in passato aveva già esposto a Istanbul in due mostre collettive, alla Macka Sanat Galerisi e al Museo Elgiz. Questa mostra dell’artista italiano lascia leggere la capacità di raccogliere materiali del posto per ricreare un habitat ideale, per calarsi in una dimensione reale e non asfittica, per velocizzare il tempo turco nello svolgimento della modernità, per interrogare quel tempo, ovvero il tempo di quella società che da due secoli si interroga intorno al tema della modernità, e per raccogliere le sfide delle recenti difficoltà della politica e del disagio sociale dell’odierna Turchia che solo l’arte riesce a coagulare. Ogni oggetto prescelto da Favelli nelle installazioni è caricato di emozioni personali e al contempo universali, oggetti che del luogo ne catturano anima, corpo e mente. Sicchè questa mostra in Turchia non solo certifica la novità per Favelli di far rivivere cose e oggetti oltre la loro funzionalità, ma orchestrano oltre il “decor” schemi visivi nuovi, che sfuggono all’omologazione, e raccontano l’altramodernità.
Carlo Franza