I tesori della Fondazione Buccellati in mostra a Firenze. L’eccellenza dell’arte orafa in Italia.
Da dicembre 2014 al 22 febbraio 2015, Palazzo Pitti a Firenze accoglie un evento espositivo di grande fascino e di enorme rilevanza storico-artistica. Nelle monumentali sale del Museo degli Argenti, si tiene la mostra “I TESORI DELLA FONDAZIONE BUCCELLATI”. Da Mario a Gianmaria, 100 anni di storia dell’arte orafa, curata da Riccardo Gennaioli, frutto della collaborazione tra la Fondazione Gianmaria Buccellati e la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, che presenta una selezione di oltre cento opere, tra gioielli, lavori di oreficeria e di argenteria disegnati da Mario e Gianmaria Buccellati, due tra i nomi più significativi del panorama orafo mondiale, eredi della illustre tradizione italiana, fiorita nel Rinascimento con Benvenuto Cellini, uno dei massimi artisti di ogni epoca.
Fu proprio seguendo i canoni rinascimentali che Mario Buccellati, definito da Gabriele d’Annunzio, di cui fu amico e sodale, il ‘Principe degli orafi’, creava le sue opere, reinterpretandole in modo assolutamente personale, unico e facilmente riconoscibile. A lui, va assegnato il merito di aver fatto conoscere lo ‘stile Buccellati’ capace di diventare un mito dell’arte orafa, apprezzato dai membri delle case regnanti, da pontefici e uomini di cultura.
La rassegna si apre con un omaggio a Mario Buccellati (Ancona, 1891 – Milano, 1965). Sono esposti alcuni tra i pezzi più preziosi ideati dal fondatore del marchio, come i bracciali, le spille o la tiara, lavorati a ‘tulle’ o a ‘nido d’ape’, vero segno distintivo di Casa Buccellati, in cui la finezza del traforo è esaltata dall’incastonatura dei brillanti e delle pietre preziose.
Il suo legame di complicità con il Vate è testimoniato da un bracciale in argento ritorto decorato con cinque lapislazzuli, contenuto in un astuccio firmato personalmente da d’Annunzio, da una collana in oro giallo, decorata con un berillo e rubini, offerta a Eleonora Duse come gioiello “prezioso, ancorché bizzarro”, da indossare come “serto ombelicale” e da oggetti quali portagioie e portasigarette con incisi motti e immagini cari al poeta e un portapillole recante l’iscrizione di una delle espressioni preferite da d’Annunzio, “Io ho quel che ho donato”.
Lo studio, le conoscenze tecniche e i segreti di lavorazione dell’argento antico, hanno portato Mario Buccellati a riprodurre fedelmente otto coppe del tesoro di Boscoreale, il sito archeologico vicino a Pompei, dove sorgeva la villa “della Pisanella”, sepolta dalla lava a seguito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Gli elementi che più colpiscono sono le decorazioni a rilievo, sbalzate dall’interno e rinvigorite martellandole dall’esterno.
Il percorso allestito all’interno del museo fiorentino prosegue con la sezione dedicata a Gianmaria Buccellati (Milano, 1929), il cui talento precoce – disegnò il primo gioiello a dodici anni – fu incoraggiato dal padre per continuare la tradizione di famiglia. Come ha avuto modo di affermare lo stesso Gianmaria, “Mio padre non mi ha insegnato le tecniche di lavoro, come io non le ho insegnate a mio figlio. Quello che avviene è la trasmissione del pensiero, la visione, l’esperienza lavorativa e l’assorbimento della tradizione”.
“Volevo ‘rubare’ – continua – i segreti di mio padre, così da poterli aggiungere ai miei e in questo modo acquisire un’identità differente dalla sua. Ognuno di noi procede con il proprio istinto, avendo però assimilato i principi e le tecniche della nostra storia”.
Il luogo che accoglie i capolavori di Gianmaria Buccellati risulta particolarmente evocativo della sua vicenda personale. Fu proprio visitando, nel 1968, il Museo degli Argenti – dove sono conservati i celebri vasi in pietre dure di Lorenzo de Medici nonché i gioielli dell’Elettrice Palatina, oltre agli splendidi lavori di oreficeria del tesoro della famiglia Medici – che Gianmaria Buccellati colse l’ispirazione per cimentarsi nella realizzazione di opere che, pur rivaleggiando per ricchezza e splendore con quelle medicee, fossero espressione delle sue personali ricerche tecniche e formali.
Fu così che nacquero gli Oggetti preziosi, come sono stati definiti dallo stesso Gianmaria, pezzi unici, quali coppe, vasi e scatole appartenenti alla sua collezione personale che lui stesso disegnò e realizzò. Sono manufatti che testimoniano il suo forte legame e il suo costante rapporto con la cultura rinascimentale, barocca e rococò italiana e del resto d’Europa. Tra questi spicca ‘La Coppa dell’Amore’ (1975), ispirata da un motivo rococò che, con l’eleganza delle forme femminili, sottolinea l’immagine più alta dello spirito dell’amore. I motivi a rouches decorano un bellissimo pezzo antico di diaspro rosso, mentre Venere e tre cupidi, eseguiti con la tecnica della cera persa, sembrano muoversi nell’acqua e nell’aria.
Il rispetto che Mario, prima, e Gianmaria Buccellati, in seguito, avevano nutrito verso le tecniche rinascimentali e medicee è rappresentato, tra gli altri, da straordinari pezzi, come lo ‘Scrigno mediceo’, un prezioso manufatto di forma decagonale, primo oggetto pensato e realizzato da Gianmaria Buccellati per la sua collezione. Esso riprende i motivi d’ispirazione classica, dai volumi particolarmente originali, che si rifanno ai più celebrati canoni architettonici dell’epoca rinascimentale, al disegno decorativo che riprende i particolari delle formelle o lesene dei marmi o dei legni dell’epoca, fino ad arrivare ai colori essenziali dell’oro dell’acciaio e dei brillanti.
Le decorazioni, in oro traforato e modellate con incisioni raffinatissime, sono riportate su lastra d’acciaio brunito color canna di fucile, a loro volta fissate all’interno di profili che segnano le forme della scatola. Tutti i profili sono modellati a foglie ricorrenti mentre, al centro del coperchio, un rosone incassato in brillanti, si equilibra con i brillanti nei piccoli rosoni che completano la decorazione delle formelle.
Anche la purezza delle forme neoclassiche influenzò Gianmaria Buccellati. Ne è un esempio il ‘Cratere delle Muse’ (1981), una coppa di giada che celebra il mito delle nove divinità delle arti nella tradizione greca. Particolarmente intenso è il contrasto di colori tra il verde del blocco di giada e l’oro giallo e l’argento, tempestati con oltre 2000 zaffiri cabochon, della base e del bordo, sul quale sono incisi i nomi delle muse.
Carlo Franza