“Bianco. Dalle stanze segrete al candore della luce”. A Pesaro una mostra di rilievo celebra il colore della perfezione e della bellezza.
Una mostra a tema, dal titolo emblematico “Bianco. Dalle stanze segrete al candore della luce” è stata organizzata dal Comune di Pesaro – Assessorato alla Bellezza e Sistema Museo, e visitabile in Palazzo Mosca sede dei Musei Civici di Pesaro. Affascinante già solo nel titolo, l’esposizione vive solo attorno a opere dove il colore bianco, simbolo di purezza, spiritualità e divinità, diventa elemento trasversale che collega come un “fil blanche” gli oggetti esposti. Fino al 31 maggio 2015 si possono ammirare più di 200 opere restituite alla luce perchè tirate fuori dagli spazi dei depositi; opere che vanno dal candore e trasparenza del marmo e dell’alabastro, alla iridiscenza della madreperla, alla plasticità della terraglia, fino all’eleganza dei pizzi e merletti, per arrivare alla raffinatezza dei manufatti eburnei. Il colore bianco esprime in modo unico e singolare gli ideali di perfezione formale a partire dall’età moderna ed in particolar modo nell’estetica neoclassica. E’ stato lo storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann nei suoi “Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura” del 1755 a consacrare definitivamente il mito del bianco nell’antichità classica, elevando i candidi capolavori della statuaria greca a modelli di bellezza ideale. La mostra è stata organizzata in tre sezioni: “Terraglie Porcellane Tessuti”, “Marmi Alabastri Gessi”, “Avori Madreperle”. Nella prima sala ecco tessuti ricamati e oggetti da cucito in avorio, eleganti porcellane e terraglie pesaresi dell’Ottocento; tra queste gruppi plastici di soggetto profano, oggetti d’uso comune e di culto, stoviglie da mensa. Nella seconda si trovano sculture in marmo ed alabastro del Sette e Ottocento, quasi tutte d’arredo e all’antica, come imponevano l’etichetta e le mode dei nobili dell’epoca, per cui ecco busti di imperatori romani, profili aristocratici, mitologici e tondi devozionali a sfondo religioso. Nell’ultima sala sono presenti manufatti provenienti dai laboratori dediti alla lavorazione della madreperla promossi dai Francescani di Terra Santa fin dal Seicento, insieme a oggetti devozionali e stipi intarsiati in avorio. Nell’intero percorso gli oggetti convivono tra loro declinando impressioni capaci di evocare una circolarità tra le arti e di restituire una lettura alternativa delle opere. In quest’ottica si colloca l’esposizione di alcuni dipinti che fanno da contraltare e corollario ai manufatti esposti; così l’abbigliamento dei personaggi ritratti nei quadri con colletti ornati da trine richiama analoghi manufatti tessili. Persino l’allegoria di una delle quattro arti liberali, la scultura, introduce alla sezione dei marmi e dei capricci architettonici raffiguranti vere e proprie vedute di fantasia ispirate a monumenti classici, accostati a modelli di tempietti marmorei, in origine eleganti centrotavola che sovrastavano le tavole principesche tra Sei e Ottocento. Le opere poi sono anche raggruppate per materiali, alla luce del tema estetico -il bianco- che caratterizza la mostra, e approfondite dal punto di vista delle tecniche di esecuzione. E ancora cosa sorprendente, persino “il rumore bianco in musica” messo in piedi con una breve performance degli insegnanti di musica elettronica del Conservatorio di Musica G. Rossini, particolare tipo di rumore connotato dall’assenza di periodicità e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze e alcuni aspetti della sua applicazione in musica.
Carlo Franza