La piaga dei falsi nell’Arte. Come riconoscerli.
Con il mio lavoro oltrechè di Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea anche di Perito d’Arte attivo nel preparare “expertise” ho notato che non c’è cosa peggiore per un collezionista che imbattersi in un falso. E allora la notizia è di quelle che fanno tremare i polsi. In particolare quando arriva a pochissime ore dall’inaugurazione di alcuni degli appuntamenti più importanti per il mondo dell’arte: il 50% delle opere che circolano sul mercato è falso o attribuito in modo erroneo. E questa percentuale potrebbe essere addirittura ottimistica. Lo ha dichiarato a Nina Larson della AFP – Agence France Presse Yann Walther, capo del Fine Art Expert Institute (FAEI). Istituto che si trova all’interno del freeport di Ginevra, una zona franca ad altissima sorveglianza dove collezionisti di tutto il mondo conservano più di un milione di opere d’arte, tra cui Picasso, Van Gogh, Monet e, pare, anche un Leonardo da Vinci. Ancor più facile la falsificazione nel settore contemporaneo. Un problema certo non nuovo quello delle opere false sul mercato dell’arte, recentemente scosso da vari scandali, ma le dimensioni del fenomeno, così come le descrivono gli specialisti svizzeri, sembrano andare oltre ogni immaginazione. “Circa il 70-90% delle opere che analizziamo qui al FAEI risulta essere un falso – ha detto Walther alla giornalista della AFP – e quel 50% di cui parlano gli esperti potrebbe essere anche una stima in difetto”. Riconoscere un falso ad occhio nudo può non essere facile, ma le indagini condotte con le più alte tecnologie aiutano e non poco. Per questo al FAEI utilizzano metodi di analisi di ultima generazione come i raggi-x, scanner ad infrarossi e l’analisi del carbonio per la datazione. Analisi che, a seconda dei casi, possono costare al collezionista attorno ai 15mila euro. Una spesa ingente, certo, ma – come ci tiene a precisare Walther – “le analisi scientifiche aggiungono valore alle opere d’arte”, non solo perché certificano in modo inequivocabile l’originalità di un’opera, ma perché contribuiscono anche a rivelare particolari inediti del processo creativo di un artista e le tecniche da lui utilizzate. Un’utilità che trova d’accordo anche la restauratrice e storica dell’arte svizzera Andrea Hoffmann, la quale però ci tiene a mettere in guardia chi pensa che queste analisi possano sostituirsi completamente all’occhio di un esperto. “Il novanta per cento di ciò che può essere visto in un dipinto può essere visto con gli occhi – commenta – ed è qui che entra in gioco l’esperienza”. Un timbro e un’etichetta non sono sufficienti per mettersi al riparo.
Carlo Franza