Goncalo Mabunda e la guerra del trono. L’artista nel mirino di chi non sa leggere l’arte contemporanea.
L’opera, e che opera, si chiama “War Throne”, la guerra del trono, ed è realizzata, assemblata, interamente con armi dismesse. L’artista è Goncalo Mabunda, nato in Mozambico, che ha all’attivo mostre anche al MoMA e al Pompidou, e che da questa primavera vede, purtroppo, bloccato il suo lavoro ovvero un’opera di forte lettura, all’aeroporto di Philadelphia, dove i doganieri del Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms (ATF) stanno detenendo il lavoro perché accusato di essere una sorta di copertura per l’importazione di armi da fuoco.
Ed è infatti quello “il genere” che il collezionista Adam Solow (che ha acquistato l’opera per 8mila dollari) dovrebbe domandare per il rilascio definitivo dell’opera, un permesso di importazione di armi.
Un “misunderstanding” che potrebbe portare alla distruzione dell’opera, nonostante sia stato ribadito da più parti che le componenti “armate” sono inermi, e nonostante la comprovata carriera di Mabunda, attualmente anche in scena a Venezia nella Biennale di Okwui Enwezor. Il “Trono” (nella foto sopra un particolare) è stato costruito con l’assemblaggio dei reperti bellici ritrovati dall’artista proprio in Mozambico, dopo 15 anni di guerra civile. Una cifra stilistica,una installazione di mirato coraggio, un’opera di forte impatto e di forte lezione per intere generazioni,un linguaggio artistico che spesso ha contrassegnato l’’intero percorso e le opere di Mabunda, dove sono inserite granate, mine e cinture per mitragliatrici.
Non importa, insomma, che tutto faccia parte della società civile; non importa la voce del Brooklyn Museum in capitolo e nemmeno quella della galleria Ethan Cohen di New York, dove l’artista ha avuto una collettiva quest’anno.
In compenso c’è stata una dichiarazione da parte del Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms (ATF),qualche giorno fa: “Gli elementi sono considerati una minaccia fintanto che alcune parti potranno essere rimosse e riproposte in modo tale da poter essere utilizzate come arma”. Il collezionista Adam Solow, dal canto suo, ha promesso una querela. E intanto sopravvivono storie e storielle che sono in grado di lasciare l’arte senza scampo, a causa dell’incapacità dei “controllori”, e delle leggi a riguardo, quando il Bureau preposto avrebbe potuto chiedere una perizia ad hoc, senza incappare in una storia incolta e senza fine.
Carlo Franza