Medhi-Georges Lahlou, è l’artista dai tacchi rossi, e coniuga sesso, religione e ambiguità.
Medhi Georges Lahlou è l’artista, fotografo-pittore, detto anche l’uomo dai tacchi rossi, che ogni giorno macina sesso religione e ambiguità. Insomma nella sua arte si aggrovigliano le proibizioni del sesso e della religione . L’ambiguità è diventata il suo stile forte, il timbro estetico. Ormai tutti sanno che Lahlou ha preso l’abitudine di percorrere decine di kilometri sui suoi tacchi a spillo rosso fuoco ; vi assicuro che non si tratta né di provocazione né di eccentricità, la sua è una vera e propria performance che mira a schedare la storia del nostro tempo, a incrociare religione e fanatismo, ed è anche un suo puro divertissement. Questo giovane artista, aveva presentato i suoi lavori qualche tempo fa al Daba Maroc (una stagione artistica dedicata all’arte contemporanea marocchina a Bruxell), si serve delle sue performance per offrire al suo pubblico un universo meraviglioso e transitorio. E piace. Nato da una madre spagnola cattolica e da un padre marocchino musulmano, trascorre la sua infanzia tra il Marocco (Casablanca) e la Francia. Diplomato alla scuola regionale di Belle Arti a Nantes prosegue i suoi studi al St. Joost Accademy di Breda, in Olanda, confrontando con il suo lavoro i paradossi quotidiani delle sue due culture, arabo-musulmana e giudaico-cristiana. Una sintesi che lui vuole portare avanti senza affronti. “Raccolgo delle immagini opposte che, alla fine, non lo sono. Ma capisco l’incomprensione delle immagini nuove“. Le sue immagini sono provocanti. Prima dei “Tacchi di Allah“, ha messo in scena nel “Cocktail o autoritratto in società“, alcune scarpe con tacco a spillo, di un rosso vivissimo, sexy e diaboliche, nel bel mezzo di un tappeto da preghiera davanti al quale si allineano diverse scarpe maschili. In altre rappresentazioni l’artista si denuda o si traveste, servendosi del suo corpo per costruire un ponte tra due estetiche precise. ” Il mio lavoro è autobiografico e parla di me“. Meddhi è il personaggio principale delle sue creazioni e si mette in scena con modalità istrionesche e ironiche. Mehdi rompe tutti gli schemi, va oltre le frontiere culturali, spazia oltre la religione anche se da qui parte con una sua identità, si offre in modo multiplo. State attenti perchè Medhi rivisita la mascolinità nel mondo arabo, ma ne scava l’ambiguità. Il pubblico abituato a schemi fissi è sgomento, i sentimenti deragliano a ben ricordare Baudelaire e Rimbaud, il maledettismo è inaugurato. Se le sue creazioni portano il pubblico a farsi domande, l’artista rifiuta l’idea di veicolare un messaggio qualunquista. È nell’immaginario e nella meraviglia che desidera restare; “Nulla è reale, tutto è immaginario”, questo il suo karma. Il risultato del suo lavoro spinge inevitabilmente a farsi delle domande senza risposte. Ognuno ha la sua interpretazione. Alla data odierna Medhi ha esposto principalmente in Europa e dichiara: “Non espongo le stesse cose in Marocco; le culture sono differenti e le immagini non hanno la stessa storia“. Vi ricordo che una delle sue opere che rappresenta il suo corpo nudo su cui appaiono versetti del Corano ha creato una feroce polemica durante il Marrakech Art Fair del 2011. Questo lavoro, pubblicato su Internet, non doveva essere esposto in Marocco perchè, secondo Mehdi, l’artista può zommare su dei temi delicati come la sessualità, l’omosessualità o la religione, ma deve farlo diversificando in funzione del luogo dove saranno esposti i lavori. “Non sono qui per criticare o per essere irrispettoso; prima di iniziare un lavoro devo sapere dove esporrò e non procedo nello stesso modo se preparo una esposizione in Marocco o in Europa ». Così è la sua storia, la sua arte, il suo stile, così vivono i suoi racconti; un percorso in bilico tra due culture e due religioni contrapposte al suo essere artista controcorrente. Ovvero artista scapigliato che ha fatto sua la dissimulazione.
Carlo Franza