“Leonard Freed. Io amo l’Italia.”Il fotografo americano che amava l’Italia; una storia d’amore attraverso la fotografia, unica, folgorante, irripetibile.
Una mostra come questa, rara, eccezionale, unica, complessa, storica, sociologica, e potrei continuare con altri aggettivi, è difficile trovarla. E soprattutto capace di raccontare una storia d’amore tra un intellettuale e una terra come l’Italia. E invece di raccomandarvela a fine recensione ve la segnalo e ve la sottolineo subito all’inizio, non con la matita rosso-blu, ma con la matita bianca rossa e verde, che sono i colori della bandiera italiana. Dunque, un importante corpus di cento opere, omaggio alla fotografia internazionale d’autore, è esposto al Centro Saint-Bénin di Aosta fino al 20 settembre, nella mostra “Leonard Freed. Io amo l’Italia”. L’ esposizione è ospitata negli ambienti della seicentesca cappella del complesso monumentale del priorato di Saint-Bénin, fondato intorno all’anno Mille e diventato a partire dal 1604 Collegio di studi superiori.
La rassegna proposta dall’Assessorato dell’Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, curata da Enrica Viganò e realizzata in collaborazione con il Leonard Freed Archive e Admira, offre al pubblico una ricca selezione di immagini scattate dal fotografo americano, membro della celebre agenzia Magnum Photos, in diverse città fra cui Firenze, Milano, Napoli, Roma, Venezia e in piccole località italiane, a partire dalla metà del Novecento agli inizi del nuovo secolo.
Gli scatti, magici, e di una bellezza indefinibile, tutti in bianco e nero, raccontano il rapporto fra il fotografo americano Leonard Freed e l’Italia, terra che ha amato profondamente e che lo ha ospitato per oltre quarantacinque soggiorni, tappa importantissima della sua autorevole carriera artistica. Si rimane colpiti non poco dai suoi lavori, carichi come sono di passione e di sentimento, dai quali scaturisce come per una forza interiore, un’anima sensibile che traspare dai volti, dalle figure, dalle inquadrature da quegli scatti che sono diventati il racconto “dal certo al vero”, fissati attraverso la macchina fotografica, in modo non solo realistico, ma certo unici e fuori da collegamenti e ideologie; soprattutto intrisi di pathos e dotati di grande sensibilità ed umanità.
“La storia d’amore” con l’Italia, così come egli stesso la definiva, ha avuto inizio tra il 1952 e il 1958, quando, mosso dall’interesse per l’arte, compie i primi viaggi in Europa e scopre la passione per la fotografia. Devo dirvi che questo racconto per immagini di Freed, proprio per lo spessore di ricerca che lo incornicia, e alla luce degli anni in cui avveniva, può senz’altro essere rapportato a quel lavoro di scavo sociale e sociologico che compiva letterariamente sia lo scrittore Carlo Levi con “Cristo si è fermato a Eboli”, che il poeta e scrittore Rocco Scotellaro con il suo “Contadini del Sud”.
D’altronde va sottolineato e conosciuto prima della visione della mostra che Freed è stato da sempre attratto dallo studio della natura umana, dei comportamenti, dei caratteri, s’ è innamorato da subito degli italiani che ne incarnavano e ne incarnano tutt’oggi le differenti tipologie e ha avuto modo di osservare tutto ciò anche nella cittadella italiana che è la “Little Italy” di New York, dove si era trasferito nel 1954. E’ ciò che lo ha da subito catturato, in secondo piano i paesaggi, l’arte, l’architettura, la politica, che rappresentano lo sfondo del suo puntiglioso scavo della società.
Questo tipo di lavoro, di ricerca di Leonard Freed, ha trovato appiglio culturale e sensibile nell’antropologia culturale e nell’indagine etnografica – ecco perché parlavo prima di Carlo Levi e di Rocco Scotellaro che non vanno certamente dimenticati- muovendo proprio dalla necessità di ritrovare il senso delle proprie origini attraverso lo studio di comunità tradizionali. Ne deriva il suo esser affascinato dalla vita della gente comune, dal calore e dalla spontaneità che si osserva negli scatti che immortalano lavoratori siciliani, persone che passeggiano, bambini che giocano o che vanno a scuola, uomini e donne che compiono i gesti tipici del vivere quotidiano, e ancora giovani e vecchi, preti e suore, soldati, aristocratici veneziani e romani.
L’analisi a tutto campo della società italiana offre uno spaccato di 50 anni di storia, dove se da un lato sono evidenti i cambiamenti e le differenze socio-economiche legati al trascorrere degli anni, gli anni soprattutto del dopoguerra e dell’Italia che stava cambiando, dall’altro si percepisce una continuità gestuale che esula dal passare del tempo. Gli atteggiamenti, le espressioni, i gesti appaiono come cristallizzati in un passato che diviene presente.
L’intera mostra vive attraverso una minuziosa descrizione della popolazione italiana, dove a scene di uomini che spingono carretti di legno – per il trasporto di frutta nella Little Italy di New York degli anni ’50 o nel frettoloso spostamento di un enorme pesce nell’assolata Sicilia degli anni ’70 – si alternano scene di semplice rilassatezza. Il Sud Italia si scorge già negli scatti che riprendono persone sedute davanti alla propria abitazione o nell’immagine di un uomo intento ad offrire prodotti tipici (Sicilia, 1974), secondo i costumi dell’ospitalità mediterranea.
Vivaci e non poco, opere dal gusto vivace e ironico in cui i preti giocano a tirarsi palle di neve in Piazza San Pietro (Roma, 1958), o dove tre cani attendono di entrare in una Farmacia (Venezia, 2004) o, ancora, una movimentata panoramica su un gruppo di ragazzini, divertiti dall’esplosione di petardi (New York, 1955). Il carattere poetico e riflessivo, ma anche forte e drammatico, è trasmesso da Napoli, 1956: il ritratto di una ragazza dallo sguardo espressivo fisso in camera si staglia sullo sfondo di un gruppo di donne che guardano all’orizzonte. Della stessa carica emotiva, seppur priva di sguardi e di espressioni dirette, è Firenze, 1958, che cattura un momento di riposo di tre giovani soldati seduti su un ponte della città, leggermente annebbiata.
Preciso e chiaro il suo pensiero sulla fotografia: “Sono come uno studente curioso, che vuole imparare. Per poter fotografare devi prima avere un’opinione, devi prendere una decisione. Poi quando stai fotografando, sei immerso nell’esperienza, diventi parte di ciò che stai fotografando. Devi immedesimarti nella psicologia di chi stai per fotografare, pensare ciò che lui pensa, essere sempre molto amichevole e neutrale”. E ancora: “Voglio una fotografia che si possa estrapolare dal contesto e appendere in parete per essere letta come un poema”.Frasi lapidari che danno idea del lavoro colto e professionale del fotografo americano. E per finire, la mostra di “Leonard Freed. Io amo l’Italia” è accompagnata da un volume italiano-inglese riccamente illustrato, edito da Admira Edizioni( in mostra € 34), 236 pagine, 190 fotografie in bicromia, cartonato con sovraccoperta, cm 26×29,5; e che a mio avviso vi consiglio debba entrare a far parte del vostro patrimonio culturale.
Carlo Franza