Remo Salvadori fa dialogare l’opera e il sito che l’accoglie. Un artista italiano a Forlì (Chiesa di San Giacomo) tra geometrie, spazio e tempo.
“Nel punto immobile del mondo rotante”, è un progetto che ha incluso più interventi di Remo Salvadori nella chiesa di San Giacomo a Forlì intrecciando un dialogo ideale tra la grande mostra “Piero della Francesca – Indagine su un mito” allestita fino allo scorso giugno ai Musei San Domenico e un artista italiano attivo nel nostro tempo, suggerendo la possibilità che la luce di Piero si estenda oltre i confini temporali in cui si inscrive la mostra -aperta fino al 25 settembre- , dunque anche nel presente. L’identità dell’arte italiana attuale, infatti, è certamente rintracciabile anche in un legame con il Rinascimento non tanto per via di rimandi diretti o citazioni, ma come inevitabile sopravvivenza di una dimensione neoplatonica e geometrizzante, metafisica, una linea che attraversa tutto il Novecento e arriva ad alcune delle ricerche più attuali.
La scelta per questo appuntamento è ricaduta su Remo Salvadori, uno dei maggiori artisti italiani della sua generazione, una figura emersa nel panorama dell’arte a cavallo tra anni Settanta e Ottanta e che, proprio negli anni Ottanta, ha sviluppato un linguaggio legato alla scultura, all’installazione e a interventi site-specific in controtendenza con il diffuso ritorno alla pittura di quel decennio; un lavoro che, riletto a posteriori, funge da collante tra l’esperienza dell’Arte Povera e le poetiche degli artisti delle generazioni successive. Il progetto, da leggersi come il primo di un’ipotetica serie a cadenza annuale, mira anche a ridefinire una delle possibili funzioni della chiesa di San Giacomo come spazio per l’arte contemporanea, con una serie di opere che siano in grado di ri-orientare gli sguardi dei visitatori sul luogo ospitante. Qui, il lavoro di Salvadori comunica una pratica e un’esperienza dell’opera come rapporto attivo con lo spazio architettonico in grado di proiettare lo sguardo e le riflessioni sul presente e sul futuro dell’arte. Nel punto immobile del mondo rotante non è una mostra. È piuttosto un dialogo prolungato tra l’artista e l’architettura del San Giacomo, una lunga frequentazione tra il corpo dell’opera e quello dell’edificio ospitante, dove hanno trovato luogo lavori emblematici della poetica dell’artista.
È proprio un’idea di vitalità dell’opera, dell’opera come luogo attorno a cui si addensa un’energia e si vive un’esperienza, uno scambio intimo e dinamico con lo spettatore, che gli interventi di Salvadori al San Giacomo hanno attivato e nutrito. Le opere dialogano tra loro e con l’architettura da posizioni diverse e potenzialmente complementari. Sabato 18 giugno 2016, giorno dell’inaugurazione della mostra, davanti alla chiesa di San Giacomo, si è assistito insieme all’artista alla realizzazione dell’opera “Continuo Infinito Presente”, un processo di costruzione di un anello in acciaio a svelare il passaggio da una corda lineare a una circonferenza dove inizio e fine si annullano. L’azione ha coinvolto sette collaboratori ed era durata circa un’ora e mezzo. Il flautista Angelo di Gregorio ha suonato alcune composizioni di musica classica – prima dell’inizio dei lavori e a conclusione – all’interno della navata del San Giacomo, quando l’opera era stata poi collocata sotto la navata centrale trovando così il suo luogo in risonanza con lo spazio e con le altre opere. Nel punto immobile del mondo rotante è un’esperienza di avvicinamento al lavoro di Salvadori attraverso le opere, ma anche attraverso azioni, incontri e conversazioni.
Remo Salvadori, vive tra Milano e Cerreto Guidi, in Toscana, dov’è nato nel 1947. Ha partecipato alle più importanti rassegne e mostre internazionali d’arte contemporanea, come Documenta di Kassel (nel 1982 e nel 1992) e a diverse edizioni della Biennale di Venezia (1982, 1986 e 1993). Ha esposto in alcuni dei principali musei italiani e del mondo, e anche in siti storici e archeologici e prestigiosi luoghi pubblici (Piazza San Giovanni a Firenze, il Parco Archeologico di Ostia Antica, il Parco Archeologico di Istanbul). Del suo lavoro si sono occupati a più riprese alcuni dei maggiori colleghi critici d’arte e curatori italiani, come Germano Celant, Bruno Corà, Carlo Franza, Pier Luigi Tazzi e Adachiara Zevi.
Carlo Franza