obrist copyChe strano appellativo hanno messo in piedi qualche decennio, per inventarsi la figura del   “curatore” ovvero di chi poteva mettere in piedi una mostra, e da  allora ecco riversarsi sulla scena italiana, per lo più, e non solo,   tutta una miriade di galleristi, direttori di museo, giovani laureati, disoccupati, che presentavano il loro biglietto da visita con su scritto “Curatore”. Ma curatore di che? Curatori di asma, di bronchiti, di eczemi, di calli, ecc. Che brutto termine “Curatore”.  E cosa doveva fare  un curatore?  Tutti se lo chiedevaimages2no e molti quando ricevevano tra le mani  un biglietto da visita con su scritto “curatore”  storcevano il muso.  Molti, quasi tutti, a meno che non fossero Storici d’Arte Contemporanea  e Critici di chiara fama, non sapevano neppure da dove incominciare, perché di arte contemporanea non ne sapevano granchè e qualsiasi casalinga che dipingeva era annusata da questi.  Negli anni scimagesorsi  sembrava una figura indispensabile, non solo per la realizzazione di mostre, ma anche per libri, cataloghi,  rassegne ed eventi di ogni tipo.  E quel termine di “curator” faceva gioco a molti, tanto che  persino  Università italiane da me ben conosciute -dove ormai con il 3+2 hanno ibonaminfornato docenti di pessima preparazione e cultura-   hanno inventato dei corsi specifici per insegnare come si fa e cosa fa  il curatore. Oggi il vento è cambiato. Corsi cancellati perché  il curatore è morto.  Segnali in tal senso li abbiamo avuti quando grandi eventi come la Biennale di Berlino e l’undicesima edizione di Manifesta o l’edizione 2017 della Biennale di Istanbul  sono stati affidati a figure diverse. Marcia indietro. Dietrofront!  Persino Francesco Bonami in un’intervista su artnet annunciava la morte del curatore, definendolo  “personaggio delirante e del tutto irrilevante sia in relazione al mercato che la carriera degli artisti”. C’è da dire che uno scossone in tal senso è venuto dalla pubblicazione delthC1WG7D6C saggio di David Balzer del 2014 intitolato “Curationism”, (edizione italiana 3f41b4cda Johan&Levi) in cui si racconta la storia di questa professione, dal sedicesimo secolo ad oggi, giacchè una volta erano i critici e gli storici a occuparsi delle mostre degli artisti,oggi si è   giunti  per l’appunto in  un tempo in cui si è come  ossessionati dai curatori, considerati frettolosamente  selezionatori capaci di indirizzare il gusto delle masse. Pensate che a livello internazionale figure onnipresenti come Hans Ulrich Obrist(Weinfelden -Svizzera- 1968,vedi foto) e Klaus Biesenbach(Kurten-Germania- 1967, vedi foto ) stanno per essere soppiantate dalle folle sui social, come nel caso dell’esperimento messo in atto nel 2013 dall’Essl Museum in Austria, con “Like it!” una mostra in cui a selezionare le opere erano i like degli utenti di Facebook.

thF4TMF9ZHE come se non bastasse altro mirato  impulso in questa direzione è venuto anche dall’italianissima Collezione Maramotti; qui la mostra in corso, “Figurative Geometry”, è stata “organizzata” da Bob Nickas, scrittore e critico. A questi segnali si aggiunge la White Cube di Londra, che ha affidato le due mostre di Jannis Kounellis e Dóra Maurer alle capacità organizzative del direttore delle vendite private della galleria Mathieu Paris prima e Katharine Kostyál, dealer e curatrice pentita, poi. Poveri curatori, cosa faranno ora? Si cercheranno altra professione, si ricicleranno? Qualcuno già si fa chiamare e se l’è scritto anche sul biglietto da visita  “exhibition maker”, ma la sostanza  è sempre la stessa. L’appeal di queste figure professionali  è in caduta libera,  diamo pure l’ addio ai curatori. Il curatore è morto.  E tutta quella schiera degli Hans Hulrich Obrist, curatori a tempo determinato, verranno,    anzi vengono lasciati a casa. E’ il caso che tornino nelle aule universitarie a studiare  l’estetica  e la storia dell’arte contemporanea.

 Carlo Franza   

 

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