L’Italia ritratta da Manfredo D’Urbino.Nello storico Liceo di Brera a Milano quaranta acquerelli, intensi capolavori con architetture e paesaggi.
Il Liceo di Brera di Milano non è un liceo qualunque, è intanto un liceo artistico, anzi è il Liceo Artistico più importante d’Italia perché strettamente legato all’Accademia di Brera, qui vi hanno insegnato e vi insegnano ancor oggi artisti di chiara fama; qui annualmente vi è una lista di attesa per le iscrizioni incredibilmente lunga, di chi ambisce ad avere un posto sicuro nell’alta formazione; qui vengono messe in piedi iniziative e progetti di vasto respiro artistico e intellettuale aperti anche a prestigiose istituzioni italiane; qui esiste una illustre e tangibile dirigenza capace di orientare, guidare, seguire, coordinare e altro ancora; qui vengono messe in piedi nello storico Spazio Hajech mostre storiche di arte moderna e contemporanea di respiro internazionale. Ebbene potrei continuare così sottolineando punti di forza ottimali per ampiamente sottolineare il lavoro di eccellenza che fa nell’ambito dell’istruzione superiore questo famosissimo Liceo italiano. E’ di questi giorni la visitatissima mostra, ancora in corso, dal titolo “ I paesaggi e le architetture di Manfredo D’Urbino”.
Paesaggi, architetture, luoghi d’Italia, d’Europa e del mondo, scorci meravigliosi, profili e forme ricavate da un disegno netto con un senso di quasi fisica presenza. La meraviglia di toni che lievitano di intensità rendono ogni paesaggio dipinto da Manfredo D’Urbino, rurale o cittadino, storico e architettonico, un sovrapporsi di piani scenografici che raccontano in modo vibrante passato e presente. E’ nel clima di Milano che si compie tutta l’arte colorata del nostro artista, ed è con la pittura su carta che Manfredo D’Urbino non smarrisce mai la sua identità d’architetto, pur accettando il necessario passaggio della sua immagine attraverso la sintassi formale che domina la cultura milanese sia tra le due guerre che subito dopo gli anni Cinquanta. L’artista mostra pienamente una sua forte tempra di pittore e le campiture larghe delle distese di colore, gli incastri robusti tra colore e segno, non hanno mai nei suoi lavori un effetto decorativo. C’è da dire che è forte l’umanità con cui ha a cuore la materia viva del suo dipingere, del suo acquerellare, la natura sembra lievitare la sua crescita dentro la libertà dei mezzi espressivi. Le forme del paesaggio, paesaggi di campagna, scorci di mare e di cielo, paesaggi cittadini, città e chiese d’Europa, paesaggi svizzeri e olandesi, certo tributo a una sintassi significante della forma ma dense di calda corposità, immerse in situazioni emozionali determinate dalla fecondità creativa dell’artista, ecco che queste forme sono in primo luogo disegnate, poi diventano pittura. Sicchè nei paesaggi e nelle facciate, eppoi portici, piazze, chiese e cattedrali, e mille altre “riprese” lasciano cogliere una propria “geografia dell’arte” come pochi artisti italiani hanno evidenziato.
Si osservi il serrato disporsi dei piani, il taglio degli orizzonti, le quadrature architettoniche specie dei riquadri monumentali milanesi, la dolcezza del colore -disvelando quasi una sua appartenenza alla pittura toscana e fiorentina- un vigore inatteso, l’emergenza plastica dei volumi rappresentati, dalle piazze agli scenari di paesaggio. Questa realtà, questi paesaggi, sono ancorati ai continui ritorni sugli antichi atti e sugli eventi ricorrenti del ciclo naturale e umano, un mondo colto -talvolta appuntato- nei comportamenti urbani e nelle qualità dell’ambiente, della storia e dei secoli che vi hanno impresso stili e cadenze. E in questo senso è correlato al dipingere il suo lavoro di architetto-urbanista che si duole per le disattenzioni che hanno nascosto la bellezza di San Carlo al Corso con la sua cupola in Milano, o l’Abside della Chiesa di San Satiro, o ancora la Chiesa di San Carlo alle Rottole. Ma il paesaggio, ogni paesaggio, ogni scorcio colto da Manfredo D’Urbino è un controcanto di memoria. E in ogni momento del suo impegno d’architetto non ha mai dimenticato di essere artista e quindi lavorare secondo le leggi della bellezza. In questa costante estasi del suo segno e dei suoi marchiati colori è racchiuso il segreto di un accento sicuro del suo lungo raccontare per immagini, un raccontare che in ogni momento è stato sempre parabola e verità. Nello scenario dell’arte italiana contemporanea, e per riferirsi al D’Urbino, negli anni tra primo e secondo Novecento, è stato così per più versi un “outsider”. Acquerellista di chiara fama, ha viaggiato per l’Italia e l’Europa, con un trascorso svizzero, ha catturato su appunti poi tradotti, scenari, scorci, momenti, in cui il disegno è rimasto il suo mezzo più diretto e istintivo per giungere alla radice dei suoi sentimenti e delle sue sensazioni; il disegno è stato il linguaggio e la grazia totale della propria verità, e il colore l’abito che non si è fatto certo velo nel rilevare il valore del rappresentato.
Manfredo D’Urbino, architetto e pittore, nasce a Firenze il 16 novembre del 1892. Nel 1904 consegue la licenza elementare superiore a Milano e nel 1907 la Licenza della Scuola Tecnica. Nel 1908 frequenta l’Istituto di Belle Arti di Modena, e nel 1914 consegue la licenza di Professore di Disegno Architettonico alla Regia Accademia di Belle Arti di Milano. Con la prima Guerra mondiale è in servizio militare a Roma. Nel 1922 inizia la sua attività di pittore e architetto libero professionista in Milano. Nel 1924 è Socio Onorario della Regia Accademia di Belle Arti. Nel periodo 1943-1945 si rifugia in Svizzera a seguito delle leggi razziali. Nel 1944 consegue in Svizzera, a un Concorso per l’acquerello, il Primo Premio. A guerra finita nel 1945 inizia una intensa attività di architetto libero professionista, impegnato nella ricostruzione postbellica, nel campo dell’edilizia civile e religiosa, proseguita poi per tutta la vita accanto all’attività di pittore acquerellista. Partecipa anche attivamente alla vita culturale che anima la città di Milano. Nel 1949 è in Collettiva alla Galleria Ranzini che poi diverrà l’Ars Italica in Piazza del Duomo all’Arengario, nel 1950 in Collettiva alla Famiglia Artistica di Milano, nel 1958 personale sia alla Galleria Ranzini che alla Famiglia Meneghina in Milano. Nel 1964 è in Collettiva alla Permanente e all’Adei di Milano. Nel 1965 è in Collettiva a Le Grazie, centro internazionale d’Arte di Milano. Nel 1969 tiene una personale a Il nostro Club a Milano e una Collettiva alla famiglia Meneghina. Nel 1972 ha una personale alla storica Galleria Barbablù a Milano e una collettiva all’Arengario di Milano. Muore a Milano il 14 agosto del 1975.
Carlo Franza