Il MUSE, il Museo delle Scienze di Trento progettato dall’architetto genovese Renzo Piano, squaderna  la doppia personale di Federica Galli (Soresina, 1932 – Milano, febbraio 2009) e Beth Moon (Neenah, 1956), avente per titolo “Arborea. I monumenti vegetali”.

Federica Galli, Il ficus di Palermo, 1998, acquaforte su zinco, 394x795 mm © Fondazione Federica GalliLa mostra, che nasce da un progetto della Fondazione Federica Galli di Milano – istituzione nata per volere testamentario dell’artista cremonese, esponente di spicco dell’arte incisoria italiana che ha fatto del segno e della natura i suoi tratti distintivi – vede dialogare i monumentali alberi incisi ad acquaforte dalla Galli con i colossi naturali fotografati dalla Moon, che li eterna attraverso la particolare tecnica della stampa al platino palladio. Gli alberi sono i testimoni naturali del mondo e della storia millenaria. Hanno segnato eventi, memorie e ricordi nel bene e nel male, nella vita e nella morte. Così l’albero del peccato nel Paradiso terrestre, gli ulivi nell’orto del Getsemani, il melograno nell’orto di casa del Carducci, le fronde dei salici di Quasimodo. Il tema dell’albero e, soprattutto,Federica Galli, Il larice di 2300 anni, 1995, acquaforte su zinco,  645x344 mm © Fondazione Federica Galli gli alberi “colossi vegetali italiani , sono il motivo conduttore del lavoro di Federica Galli, lombarda purosangue. L’Italia percorsa attraverso i suoi alberi centenari, dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, con cinquanta tavole all’acquaforte in cui l’artista  ha immortalato con  un vero e proprio ritratto  questi monumenti vegetali italiani. La tecnica dell’acquaforte è, poi,veramente eccelsa, direi quasi aristocratica, resa con il solo uso del bianco-nero , con una ragnatela di segni e macchie che mettono a nudo tronchi e rami su fogli pregiati. Dino Buzzati la salutò nel 1969 come una delle personalità più vive e originali affermatesi nella grafica. Non è stato il solo. Raffaele Carrieri poeta, la indicava come “la pittrice che parla con gli alberi”. Lusinghieri successi, testimonianze di critica forte come quella di Giovanni Testori, per i suoi ormai cinquant’anni di raffinato e poetico magistero artistico,avendo da sempre scavato nel mondo bucolico ,nella campagna lombarda e italiana, alla ricerca di un paesaggio, di una  veduta, di un albero, riportato alla luce  poi sulla lastra di zinco  con una mano decisa, con una padronanza tecnica, una pazienza certosina. Un caos di segni ordinatissimi che fanno e sfanno la natura, la compongono e la strutturano in uno spettacolo di rami, tronchi, foglie,e stagioni, per dare volto a cedri, platani ulivi, betulle, larici, pioppi, personaggi-architetture  vegetali del patrio suolo italiano, colossi e non solo, ma ultracentenari. Incredibile, ma provate a leggere visivamente questa mappa del verde italiano, prezioso   più dell’oro;ecco il Castagno dei cento cavalli in Sicilia alle falBeth Moon, Fornax, 2013, stampa al platino palladio, 81x120 cm, tratta dalla serie Diamond Nights ©  PH Neutro, Pietrasantade dell’Etna, il grande rovere di Pieve a Titti in Toscana,tra Pontedera e Volterra, i platani dell’arena a Milano, il tiglio selvatico di Macugnaga che resiste da ottocento anni, il platano di Garibaldi a Crema che ha cessato di vivere vent’anni fa e con una cima di oltre trentacinque metri, l’albero del dottore a San Primo a Magreglio in Valsassina dove nasce il Lambro e che è un faggio con un tronco di sei metri e mezzo e altezza di trenta. La sopravvivenza di questi alberi grandiosi e struggenti, che illustrano il nostro territorio come santuari sparsi qua e là , fanno scoprire anche la pacata solitudine che li accompagna e che pure rivive nei fogli della Galli, personalità unica nel campo dell’arte incisoria italiana. Aver messo insieme questa mappa degli alberi d’Italia , colossi  ripresi spogli o ammantati di foglie o neve, è stata una lezione singolarissima, tanto coraggiosa,quanto capace di segnare   il paesaggio italiano,un documento insieme  estetico  e geografico. C’è n’è per botanici e storici dell’arte.Beth Moon, Monoceros, 2013, stampa al platino palladio, 81x120 cm, tratta dalla serie Diamond Nights © PH Neutro, Pietrasanta Pensate  che  il foglio che ritrae l’olmo di Mergozzo fa ricordare la profezia che dice, alla morte dell’albero crollerà il Duomo. E l’olmo ha seicento anni compiuti. Ecco perché è forte il legame tra la Galli  e gli alberi.

Tempo, memoria e natura sono i temi centrali delle loro opere,ovvero dei due artisti che danno corpo ad “Arborea”,  un poetico filo conduttore che unisce tutti i più importanti “monumenti verdi” esistenti al mondo testimoniandone l’incredibile ricchezza naturale. Chiome scheletriche o rigogliose, rami lunghissimi e tentacolari, fusti esili o possenti, cortecce lisce o rugose catturano lo sguardo di grandi e piccini per raccontare, silenziosamente, aneddoti, folklori e storie secolari. A guidare il visitatore nell’affascinante e labirintico allestimento realizzato dell’architetto Michele Piva un percorso obbligato all’interno di una sorta di bosco che, come una madre, lo avvolge e lo abbraccia ricordandogli il proprio posto nell’universo.

Suggellano l’esposizione un ritratto di Federica Galli realizzato dal grande maestro Gianni Berengo Gardin e un testo critico di Tiziano Fratus, poeta e scrittore bergamasco, inventore dell’”alberografia”, un processo di mappatura ideale delle specie arboree che lo ha portato a pubblicare una serie di opere legate alla natura, all’identità e agli alberi monumentali. Nel suo excursus narrativo, Fratus ci conduce alla scoperta dei grandi polmoni verdi dell’arco alpino, ripercorrendo, regione per regione, le foreste “scolpite dal gelo, segnate e incise dal dio dei fulmini”, e identificando l’albero con “la macchina che Madre Natura ha progettato per superare i secoli e i limiti che mammiferi, rettili e altri abitanti mobili e migranti del pianeta non possono varcare”.

Carlo Franza

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