Sergio Sarri dal Pop agli scenari futuribili. Una mostra antologica a Milano consacra l’artista con un linguaggio d’avanguardia.
Sempre Pop, volutamente Pop, fortissimamente Pop. Il Pop al tempo delle macchine, il Pop al tempo dell’Uomo – Macchina. Il Pop di Sergio Sarri. Viene presentato alla galleria Robilant + Voena di Milano fino al 2 aprile 2017 nella mostra “Sergio Sarri. Opere 1967 – 2017”, il lavoro di Sarri che si nutre certamente dei mass-media, della pubblicità, della televisione, del cinema ma concentra la propria profetica riflessione sul difficile rapporto tra l’uomo e la macchina, dall’epoca della prima tecnologia a oggi, epoca in cui la robotica si è fatta infinitesimamente piccola, ma infinitamente presente nelle nostre vite. E d’altronde da quando gli presentai una bellissima personale nei primi anni ’90 alla Galleria Studio F22 di Palazzolo Sull’Oglio, Sergio Sarri non ha mai ceduto sulla poetica portata avanti con passione. Ora La personale, che presenta circa trenta tele di medio e grande formato, si pone come una vera e propria antologica che rende conto dei cinquanta anni di carriera dell’artista e lo propone come uno dei protagonisti di una Pop Art specifica del Nord Italia che si discosta da quella romana, più nota, e – guardando soprattutto alle esperienze europee inglesi e francesi – dà esiti di grande complessità e raffinatezza. Dopo un Grand Tour che lo ha portato negli Stati Uniti e in Europa a metà degli anni Sessanta, Sarri torna in Italia e, facendo dapprima riferimento al cinema sperimentale – “Metropolis” di Fritz Lang, tra gli altri, rimane per lui un cardine da un punto di vista concettuale e di immaginario visivo -, dà il via alla difficilissima sfida di considerare la pittura un linguaggio d’avanguardia. I suoi dipinti, glacialmente analitici, freddi nella loro precisione, esibiscono frammenti di corpi che fanno pensare a una visionarietà sadomasochista. Emblematico, in questo senso, “Studio con piccolo attrezzo sonda e schermo con figura”, opera acrilico su tela del 1975, esposto negli spazi della galleria milanese.
Scrive Walter Guadagnini nel suo testo in catalogo: “A ben vedere, i corpi dipinti da Sarri sono scomposti, agglomerati di carni che danno vita ad arti o teste indecifrabili, in parte coperti da strani elementi da immaginario fetish, in parte vestiti con banali abiti borghesi”. Proprio così. Sarri si fa precursore di una figura umana con inserti di anatomie meccaniche, robot, corpi mutanti, fatti a pezzi e restituiti alla visione in modo quasi pornografico, come nel dittico Trasfusione A-B del 1976. Molteplici le fonti che lo ispirano, non solo rimandi all’arte d’avanguardia, ma anche elementi provenienti da linguaggi considerati “minori” come il fumetto -fondamentale per lui l’esperienza di Corto Maltese-, l’illustrazione, e soprattutto il cinema di genere. Profonda è pure la conoscenza delle immagini pubblicitarie che Sarri raccoglie in ritagli di giornali per rimontarle ed utilizzarle in un secondo momento nella costruzione del suo lavoro.
A Sarri interessa inventare un mondo, non replicare quello esistente, parlare di utopie e di scenari futuribili. Certo lo dico a chiare lettere, ancor oggi il suo lavoro è difficile da classificare e definire, Sarri è un pittore raffinato che ha superato anagraficamente il Pop dopo averlo contaminato con la sfera concettuale. “Sarri ha iniziato a costruire il suo mondo parallelo – conclude Guadagnini – mescolando ancor più le fonti, frammentando ancor più i racconti, dimostrando una volta ancora, dopo cinquant’anni di pittura, di avere gli occhi ben fissi sul mondo, e di avere ancora la forza di immaginarne altri”.
Carlo Franza