“Palmira” un libro cardine di Nicolò G. Brancato, premiato a Firenze e capolavoro di notizie e documenti. E ad Aquileia una mostra su i “Volti di Palmira”.
Nicolò Giuseppe Brancato, archeologo e studioso di Epigrafia Latina di fama internazionale, ha appena vinto il Premio per l’Archeologia al Premium International Florence Seven Stars 2017 di Firenze per il suo ultimo trattato su “Palmira” pubblicato da Artecom-Roma. Questa la “motivazione: “NICOLO’ BRANCATO. Archeologo attento e scientificamente preparato in campo internazionale, attivo nelle campagne di scavo archeologico volte a scoprire e recuperare le memorie bibliche di intere civiltà, ad iniziare da quella romana, Nicolò Brancato merita il plauso dell’intellettualità italiana specie per il suo ultimo trattato su “Palmira” pubblicato da Artecom- Roma”. Per la verità l’illustre studioso, ha speso un’intera vita sugli scavi archeologici e sullo studio di epigrafi antiche, basti pensare che si era laureato a Roma con una poderosa tesi su “La scultura non funeraria palmirena” che ha costituito poi la base di questo lavoro. Trecentocinquantasei pagine, migliaia di immagini, studi di reperti con provenienza, collocazione, materiale e dimensioni, ed anche una bibliografia e un commento per ognuno di essi. Un lavoro di inestimabile valore per questa “ città delle palme”, diamante nel deserto siriaco. Palmira è un sito dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco” e la città è stata uno dei più importanti centri culturali del mondo antico. È molto conosciuta soprattutto tra gli studiosi di storia antica per essere stata la capitale del Regno di Palmira sotto il governo della regina Zenobia. Il regno di Palmira fu uno dei territori periferici dell’Impero romano, e uno dei più indipendenti, e Zenobia fu l’unico vero personaggio femminile rilevante in una posizione di potere vera nella storia dell’Impero romano. Gli edifici più importanti di Palmira furono costruiti quasi interamente dai romani e dai loro alleati tra il primo e il terzo secolo d.C.: tra le altre cose i romani convertirono l’antichissimo santuario di Baal nel tempio di Giove, la divinità romana più simile a Baal (era una cosa che i romani facevano sempre, assimilare divinità locali a quelle romane). La città si sviluppò molto sotto i romani, prima di essere conquistata dagli arabi nel 634: da quel momento la sua importanza venne molto ridimensionata e Palmira andò in rovina.
Prima della conquista da parte dello Stato Islamico, due dei templi meglio conservati di Palmira erano quello di Baal – costruito nel 32 d.C. e di cui ancora era conservata la parte centrale e il colonnato esterno – e quello di Baalshamin, risalente a un secolo più tardi, più piccolo ma generalmente meglio conservato. Nell’estate del 2015 l’ISIS ha distrutto entrambi con delle cariche esplosive. L’ISIS ha anche distrutto un altro importante edificio antico della città vecchia: l’Arco di Trionfo, chiamato anche Arco di Settimio Severo dal nome dell’imperatore romano sotto il cui regno fu costruito, a cavallo fra il secondo e il terzo secolo d.C. Ancora scorrono vivide le immagini della furia iconoclasta perpetrata a Palmira, ancora ci commuove e indigna l’atroce fine di Khaled Alas’ad, il direttore generale delle antichità dell’antica città siriana, barbaramente decapitato il 18 agosto 2015 per essersi rifiutato di lasciare la città e collaborare con i terroristi. Il libro su “Palmira”di N.G.Brancato è così dedicato : “ In memoria del Professor Khaled Alas’ ad, decapitato per essersi opposto alla distruzione del patrimonio archeologico di Palmira”.
Approfitto di questo articolo per mettere in luce anche la mostra“Volti di Palmira ad Aquileia”, la mostra che è in corso al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, ed è la prima dedicata in Europa alla città dopo le distruzioni recentemente perpetrate. Un’altra tappa, dal fortissimo valore simbolico, di quel percorso dell’“Archeologia ferita”, che la Fondazione Aquileia ha intrapreso nel 2015, in collaborazione con il Polo museale del Friuli Venezia Giulia, con la mostra dei tesori del Bardo di Tunisi per dare conto di quanto accade ormai da anni nei Paesi teatro di distruzioni e violenze operate dal terrorismo fondamentalista, mostrando al pubblico opere provenienti da quei siti. Palmira era città carovaniera dai contorni mistici, definita nel corso delle varie epoche “città delle palme”, “sposa del deserto”, “Venezia delle sabbie”, la cui posizione, a confine tra Oriente e Occidente, ne ha segnato il destino.
Già Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” aveva evidenziato questa peculiarità: «Palmira è una nobile città per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque. Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed ella è come isolata dal mondo per opera della natura. Godendo di una sorte privilegiata tra i due maggiori imperi, quello dei Romani e quello dei Parti, ella viene sollecitata dall’uno e dall’altro, quando si scatenano le discordie…». Il carattere di Palmira, quale vivace crocevia di idee, aspirazioni, usi e costumi, di correnti formali e stilistiche locali, orientali, ma anche greche e romane, ha dato forma all’immagine che i suoi abitanti hanno voluto fare e lasciare di sé, consegnandola all’eternità attraverso i loro monumenti funerari. Fra i materiali maggiormente significativi dell’arte palmirena, i rilievi funerari rivestono un ruolo di grande importanza nell’affermazione della fama mondiale della città. Grazie alla diffusione di questi originali reperti, gli antichi cittadini di Palmira, “con i loro volti, i loro abiti e i loro gioielli”, per usare le parole del famoso archeologo francese Paul Veyne, sono diventati ora “cittadini del mondo” e la mostra di Aquileia vuole far conoscere al mondo contemporaneo gli antichi cittadini del mondo, indicandone mansioni e ruoli.
Carlo Franza