I Longobardi e la storia d’Italia. La mostra al MANN di Napoli.
Un grande evento internazionale. Nord e Sud Italia uniti per la più importante mostra mai realizzata sui Longobardi. La mostra è stata prima al Castello di Pavia, ora dal 15 dicembre 2017 e fino al 25 marzo al MANN di Napoli; ad aprile 2018 al Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. Devo confessarvi d’aver visto una mostra epocale. Pavia prima è tornata capitale del “Regnum Longobardorum” e Napoli si fa adesso portavoce del ruolo fondamentale del Meridione nell’epopea degli “uomini dalla lunghe barbe” e nella mediazione culturale tra Mediterraneo e nord Europa. Una collaborazione internazionale a tre – Musei Civici di Pavia, Museo Archeologico Nazionale di Napoli e Museo Statale Ermitage – è stata alla base della realizzazione di una mostra che, per gli studi scientifici svolti, l’analisi del contesto storico italiano e più ampiamente mediterraneo ed europeo, per gli eccezionali materiali esposti, quasi totalmente inediti, e per le modalità espositive, si preannuncia “epocale” . Si tratta del punto di arrivo di oltre 15 anni di nuove indagini archeologiche, epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli altomedievali, frutto del rinnovato interesse per un periodo cruciale della storia Italiana ed europea. Oltre 300 le opere esposte; più di 80 i musei e gli enti prestatori; oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche e nel catalogo edito da Skira; 32 i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra; 58 i corredi funerari esposti integralmente; 17 i video originali e le installazioni multimediali (touchscreen, oleogrammi, ricostruzioni 3D, ecc.); 3 le cripte longobarde pavesi, appartenenti a soggetti diversi, aperte per la prima volta al pubblico in un apposito itinerario; centinaia i materiali dei depositi del MANN vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa, per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano. Curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi con Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano e con la direzione scientifica di Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky, la mostra organizzata da Villaggio Globale International consente – a differenza di precedenti eventi – di dare una visione complessiva e di ampio respiro (dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia, alla fine del I millennio) del ruolo, dell’identità, delle strategie, della cultura e dell’eredità del popolo longobardo che nel 568, guidato da Alboino, varca le Alpi Giulie e inizia la sua espansione sul suolo italiano: una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore dell’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa. Frutto innanzitutto di una “coproduzione” tra Pavia, capitale del Regno longobardo, e Napoli, città bizantina ma punto di riferimento economico e culturale del Ducato di Benevento, “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” ricostruisce dunque le grandi sfide economiche e sociali affrontate dai Longobardi e riflette sulle relazioni e sulle mediazioni culturali che dominarono quei secoli di guerre e scontri, alleanze strategiche e grandi personalità. Il Ducato di Benevento, rimasto in vita come stato indipendente sin oltre la metà dell’XI secolo, non solo conservò memoria e retaggio del Regno di Pavia, abbattuto da Carlo Magno nel 774, ma elaborò un proprio originale ruolo di cinghia di trasmissione fra le culture mediterranee e l’Europa occidentale. Parlarne oggi, in una fase di cambiamenti altrettanto marcati come quelli che si verificarono nell’Italia longobarda, significa sperimentare la possibilità di costruire una visione “dal Mediterraneo” all’intera Europa, e mostrare una prospettiva del nostro continente in cui i legami fra le aree transalpine e quelle meridionali appaiano assai più equilibrati e dialoganti di quanto molta storiografia non abbia da sempre teso a rappresentare. Il carattere internazionale dell’evento, promosso insieme ad uno dei più prestigiosi musei al mondo, il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo, e presentato nel 2018 in Russia, dove per la prima volta verranno accesi i riflettori sulla civiltà longobarda, è anche il segnale più concreto della consapevolezza che gli incroci di civiltà risultano sempre più evidenti e ineludibili.
LA MOSTRA FRA NOVITÀ E CAPOLAVORI. Con queste premesse e questi obiettivi la mostra – che ha un corpus espositivo unitario per le tre sedi e alcune specifiche varianti legate alle peculiarità dei luoghi e alla necessità di alternare taluni oggetti – si sviluppa in otto sezioni, con un allestimento di grande fascino e di assoluta novità nel campo archeologico, che incrocia creatività, design e multimedialità: dal cupo contesto in cui s’innesta in Italia l’arrivo dei Longobardi ai modelli insediativi ed economici introdotti dalla loro presenza; dalle strutture del potere e della società nel periodo dell’apogeo alle testimonianze della Longobardia Meridionale tra Bizantini e Arabi, principati e nuovi monasteri. Straordinaria è la testimonianza in mostra di numerose necropoli recentemente indagate con metodi multidisciplinari e mai presentate al pubblico, che consentono una ricostruzione estremamente avanzata della cultura, dei riti, dei sistemi sociali ma anche delle migrazioni delle genti longobarde, provate grazie a sofisticate e innovative analisi di laboratorio del DNA e sugli isotopi stabili (elementi in traccia nelle ossa, lasciate dall’acqua e dall’alimentazione) effettuate per esempio su ritrovamenti recenti in Ungheria. Innanzitutto esposte per la prima volta alcuni contesti goti con la sovrapposizione di gruppi longobardi come il nucleo di tombe di Collegno in provincia di Torino, ove sono stati ritrovati due individui, entrambi esposti, di cui un bambino di 7 anni, con la deformazione artificiale dei crani: una pratica di distinzione sociale diffusa tra gli Unni e i Germani dell’Europa centro-orientale. Tra le più recenti scoperte, eccezionale, per le sue dimensioni, appare la necropoli cuneese, di Sant’Albano Stura – di cui si dà conto – dove sono state riportate in luce quasi 800 tombe quando nelle altre località si contano in genere tra le 100 e le 300 sepolture. I grandi sepolcreti in campo aperto testimoniano comunque la divisione in clan e lo stadio culturale e religioso dei Longobardi al loro arrivo in Italia, legato ancora a valori pagani e guerrieri come mostrano le armi, il sacrificio del cavallo, offerte alimentari e decori animalistici. Accanto agli scheletri di cavallo e di due cani da Povegliano Veronese, nella Longobardia Minor (Il ducato di Benevento), nelle necropoli di Campochiaro, numerosi cavalieri sono stati sepolti accanto al loro cavallo bardato (nella stessa fossa), a dimostrare quella composizione multietnica di cui parlano le fonti scritte, dotati com’erano di staffe e altri complementi rari per tipologia in Italia, ma diffusi tra le culture nomadiche. Tra le più ricche sepolture longobarde vi sono quelle femminili di Torino-Lingotto e Parma-Borgo della Posta con le magnifiche fibule decorate a filigrana o in cloisonné e il guerriero di Lucca-Santa Giulia evidenza di una società fortemente militarizzata (gli scudi circolari con umbone centrale, lo scramasax, la spada a due tagli, ecc.). Tipici dell’artigianato germanico e tra le più raffinate manifatture sono i corni potori in vetro – rosa vinaccia da Cividale, blu da Castel Trosino –con filamenti applicati a onde che imitano i corni animali e che l’aristocrazia usava per bere: prestigioso simbolo di status che rimanda alla convivialità e all’ostentazione sociale del banchetto. Lo spaccato di un’economia frammentata e profondamente modificata rispetto all’Italia romana, in ragione anche dei mutamenti climatici, così come l’importanza raggiunta da diversi castelli e dalle città di riferimento dei ducati longobardi, sono ricordati in mostra grazie a oggetti di vario genere: da quelli d’uso comune – anfore, lucerne, pesi – alle monete coniate dai singoli ducati, affiancate a partire dal VII secolo da coniazioni nazionali, fino ad elementi architettonici che, insieme a un’approfondita rassegna di arredi liturgici, mostrano il diffondersi del cattolicesimo in continua alternanza alla fede ariana. Tra i materiali esposti spiccano il Pluteo con croci da Castelseprio prestato dal Museo di Gallarate (VA), la Lastra di Ambone con pavone dal Monastero di San Salvatore a Brescia o quella, sempre con pavoni, da Santa Maria Etiopissa di Polegge (VI); o ancora l’iscrizione funebre di Raginthruda o il bellissimo Pluteo con agnello entrambi dai Musei Civici di Pavia, Capitale del regno. Dalla cultura animalistica germanica dei primi tempi, che prediligeva la raffigurazione di animali astratti e scomposti, riflesso di una visione formale istintiva e irrazionale, si passò gradualmente ad assumere nuovi contenuti cristiani, linguaggi formali e temi iconografici, da quello bizantino. E contò pure il fatto che dal 685 al 752 la sede papale fosse occupata da papi greci o siriaci. Voci del passato longobardo giungono anche dai manoscritti preziosi che la mostra ci offre accanto alle epigrafi. In mostra da San Gallen (Svizzera) anche il più antico dei codici contenenti il famoso Editto di Rotari del 643. Il manoscritto fu probabilmente realizzato già nel VII secolo a Bobbio, che fungeva da cancelleria della reggia pavese. Nei monasteri di Montecassino e San Vincenzo al Volturno fu perfezionata la scrittura cosiddetta beneventana o longobarda, che fiorì in opposizione alla scrittura rotonda dell’Europa carolingia. Monumento di questa cultura è il Codice delle Leggi Longobarde del 1005 – in prestito da Cava de’ Tirreni – contenente anche l’Origo gentis Longobardorum, con bellissime miniature a tutta pagina in cui è illustrata la saga del popolo longobardo. La mostra si conclude con la grande fioritura della Longobardia Minor che prolunga – caduta Pavia ad opera di Carlo Magno – la presenza longobarda in ducati autonomi in Italia, fino all’XI secolo. Oltre agli importanti reperti da San Vincenzo al Volturno sono numerose le testimonianze del valore artistico e della maturità espressiva raggiunta in questi secoli nel Sud Italia e delle contaminazioni culturali. Il Disco aureo (Brattea) con Cristo e gli Angeli dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli è un esempio di altissimo livello dell’oreficeria napoletana di influsso bizantino (o d’importazione bizantina) presente nella città partenopea agli esordi dell’età ducale. Così come rielabora in maniera originale repertori figurativi di tale ascendenza anche L’Arco di ciborio con bovino e leone dall’Antiquarium di Cimitile (NA), un esempio eccellente della scultura di arredo liturgico di età tardolongobarda, commissionato alla fine del IX secolo / inizi del X dal vescovo Leone III per la Chiesa di San Felice. La grande epopea longobarda si ripercorre in mostra anche grazie alle suggestioni offerte da un allestimento originalissimo, basato su evocazioni cromatiche e materiche affidato ad Angelo Figus – una delle anime creative più sensibili del momento, capace di incrociare le istanze del design e della moda con quelle della cultura – e grazie a supporti e soluzioni tecnologiche multimediali, virtuali e immersive che offriranno suggestioni e molteplici contenuti.
Carlo Franza