Disegni inediti di Music da Dachau al Museo Revoltella di Trieste.
Il Civico Museo “Revoltella” di Trieste propone al pubblico fino al 2 aprile 2018, un nucleo, inedito, di 24 disegni che Zoran Music realizzò nel 1945, mentre era imprigionato a Dachau. L’esposizione, intitolata “Zoran Music. Occhi vetrificati”, è promossa dal Comune di Trieste-Assessorato alla Cultura e curata da Laura Carlini Fanfogna. In mostra – come detto – 24 disegni che sono altrettanti urli silenziosi. Fissati a matita o inchiostro sui supporti più disparati, fogli di quaderno, carte di riciclo e persino libri. Per dare forma, e in qualche modo esorcizzare, l’orrore, creando opere d’arte. E, anche per questo, ancor più straordinari. Nel novembre 1944, durante la seconda guerra mondiale, fu deportato nel campo di concentramento di Dachau, dove riuscì a ritrarre segretamente la vita del campo in circostanze estremamente difficili e pericolose. 24 testimonianze su Dachau, in presa diretta da chi vi era deportato, marchiato con il tragico Triangolo Rosso dei deportati politici.
Testimonianze che nella storia dell’arte possono essere avvicinate a quelle di Goya. 23 dei disegni erano stati “dimenticati” tra i fascicoli d’archivio nella sede dell’ANPI, ANED, ANPPIA e uno nella sede dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, da cui sono emersi nel luglio del 2016 nel corso di una ricerca che il professor Franco Cecotti, collaboratore dell’IRSML e oggi vicepresidente dell’Associazione Nazionale Ex Deportati-ANED, stava conducendo. Oggetto del suo interesse era una cartella contenente ciclostilati e materiali intitolati “Gli italiani in Dachau” del maggio ’45. La stessa data era riportata anche su una seconda cartella, contrassegnata come “Disegni campo Dachau”, dalla quale sono emersi i disegni di Music. Realizzati appena dopo l’arrivo degli Alleati, quando l’artista sopravviveva nel campo in una sorta di quarantena, sopraffatto dall’angoscia che ancora lo torturava.
Le 24 opere riunite in mostra facevano parte di un corpus più ampio di pezzi che l’artista in parte donò ai compagni sopravvissuti. Disegni poi andati dispersi. Con la fortunata eccezione del nucleo esposto al “Revoltella”. Una volta rientrato in Italia, Music per anni non riuscì a misurarsi con l’angoscioso ricordo del lager. Si dedicò a raccontare l’amata Venezia e i paesaggi dalmati, ed io stesso ne ho curato delle mostre in talune gallerie di Via Brera a Milano. Sino agli anni Settanta, quando, trascorso un quarto di secolo, riuscì a proporre nella serie “Non siamo gli ultimi”, “l’orrido che è insito nell’uomo”. Osservando i cadaveri, a mucchi, a pile, che gli furono compagni a Dachau e che egli fissa nei suoi disegni del ‘45, si può ben capire l’urgenza di allontanarsi dall’incubo che segnò Music per sempre. A Dachau era arrivato nel novembre del ’44. Quell’anno l’artista, in occasione di una sua mostra veneziana, aveva conosciuto Ivo Gregorc, che faceva parte della Croce Rossa slovena, impegnata nella resistenza contro i nazisti. Il legame di amicizia non sfuggì alle SS di stanza a Venezia che arrestarono Music con l’accusa di collaborazione con gruppi anti tedeschi. Dopo la detenzione a Trieste fu deportato nel lager in Germania dove rimase per sette mesi, fino al giugno 1945. “I 24 disegni di Music, vero tesoro d’arte e di storia, dopo l’esposizione resteranno in deposito nelle nostre Collezioni”, sottolinea Laura Carlini Fanfogna, curatrice della mostra nonchè direttrice del Servizio Civici Musei e Biblioteche del Comune di Trieste. “E saranno affiancati – spiega – dalla storica videointervista che 20 anni fa l’artista rilasciò in occasione della sua mostra alla Risiera di San Sabba, rievocando quella deportazione a Dachau.” “Con l’occasione abbiamo voluto anche documentare – così ancora la Carlini Fanfogna – la realtà di quel campo e di altri campi di sterminio, attraverso una selezione di immagini che l’USIS-United States Information Service vi realizzò all’arrivo delle truppe alleate. Sono immagini tratte dalla nostra Fototeca, ricca di quasi 3 milioni di foto e, tra esse, di un corpus di ben 14 mila concesse proprio dall’Usis”.
Carlo Franza