Giorgio Bevignani. Alla Galleria Forni di Bologna l’artista che porta a vivere tempo e spazio con magiche installazioni.
Nella storica Galleria di Stefano Forni a Bologna la straordinaria e dirompente mostra di “Giorgio Bevignani. RUBRAREBOUR”, ove sono esposti fino al 7 novembre 2018 alcuni dei lavori più significativi dell’ultima produzione artistica dell’artista assieme ad altri che scandiscono capitoli importanti della sua ricerca pluridecennale incentrata sul suggestivo agglomerarsi dei materiali utilizzati – quali carta, silicone, pigmenti, fibre polipropileniche intrecciate, ecc. – modulati di volta in volta nelle diverse serie di lavori esposti. Installazioni di sorprendente bellezza e stupore. L’arte con Bevignani si innesta all’ambiente, diventa contesto e costruisce lo spazio dandole vita, diventando così arte ambientale. In questo senso e in questa direzione Bevignani è oggi l’artista più significativo che inscena opere che vivono con lo spazio e nello spazio. Colore, materia, luce, poesia, malinconia, tempo, spazio, tutto è come sollevato in una vita altra.
Molta di questa pittura e molte di queste installazioni si apparentano a certa grande arte americana, penso alla Louise Nevelson (vedi i Muri e le Cattedrali del cielo), e non solo, o a Joseph Cornell; la tensione complessa con la quale i lavori sono scoperti, creati, messi in correlazione, lasciano leggere un ritmo assolutamente proprio, e dentro vi circolano le ombre della memoria, uno spazio profondo e senza rilievo, è lo spazio negativo ,uno spazio in cui si sprofonda lentamente e si scompare, quasi un andare verso un’altra vita.
Il fascino è indescribile. Sembrerebbe un dono della natura. La malleabile e fluida materialità del silicone pigmentato è la protagonista di RubraRebour, l’imponente installazione sospesa, dall’aspetto gelatinoso e pieno di trasparenze, che apre la mostra, accogliendo i visitatori sin dal cortile antecedente i locali della galleria, mentre all’ingresso è visibile una serie di lavori su carta, degli studi ad acquarello sulla trasparenza e la profondità del colore intrapresi dall’artista sin dai primissimi anni Novanta.
Il percorso espositivo continua nella sala centrale con la serie Silenzio Nudo, ispirata a un verso del poeta Giacomo Leopardi, e consistente in una straordinaria collezione di pannelli honeycomb dove le variazioni cromatiche del rosso sangue e del viola intendono recuperare, appunto, andando “a ritroso”, le primigenie istanze e manifestazioni della natura, proponendosi come una sorta di linguaggio umano che viene prima dei segni e della scrittura. Questi dipinti nascono dall’esplorazione dell’uso del silicone che, mischiato al colore su una base di più strati cromatici, dona profondità alle superfici senza l’utilizzo del chiaro scuro della pittura ma sfruttando la tecnica della sovrapposizione propria della scultura, dando così vita a una patina semitrasparente come un tessuto organico, che al tatto ricorda la morbidezza e l’elasticità della pelle.
“[…] Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perdurassi”(dal Cantico del gallo silvestre di Giacomo Leopardi); “[…]Sola nel mondo eterna, a cui si volve/Ogni creata cosa,/In te, morte, si posa/Nostra ignuda natura;/ Lieta no, ma sicura/ Dall’antico dolor”(dal Coro dei morti di Giacomo Leopardi);“[…]Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla”(dallo Zibaldone di Giacomo Leopardi); e infine “[…]Una sporgenza provvisoria in mezzo al nulla, quale nulla, il nulla da cui le cose provengono e vanno. […]”(da Emanuele Severino su Giacomo Leopardi).
Interviene lo stesso Giorgio Bevignani a dire come siano state queste frasi e versi leopardiani a motivare il suo lavoro, a costruire installazioni, sculture, oggetti, cose, materie, colori, ecc :“Le frasi di Leopardi mi indirizzano verso una gestualità ipnotica, quasi onirica; la spatola scivola sulle superfici aggiungendo materia e colore strato su strato, fino a lasciare un lieve bagliore in lontananza nel pieno fuoco dell’immagine, simile a quel che rimane non appena si chiudono gli occhi dopo aver puntato lo sguardo verso il sole. È come una bruciatura sulla retina, ma questa bruciatura è lieve, si può ancora guardare l’immagine, ed essa penetra lentamente, basta darle tempo; la sua forza è lenta ed ha bisogno dell’attesa. E’ come se la Natura avesse un inconscio che veli la realtà, impedendo di guardare il Vero. Nel suo inconscio la Natura pone veli che trasfigurano il Vero, lo stato delle cose, l’insopportabile, e tutto entra nella memoria, anche se velato. Tutto quello che noi dimentichiamo lascia comunque tracce, che cerco di far riemergere dalla memoria come se la mente fosse depositaria d’eventi dimenticati tradotti in colore, simile a un linguaggio usato ancor prima dei segni e della scrittura; come un codice del Vuoto e del Nulla. Il Vuoto e il Nulla sono fatti con poca materia, poco colore, poca forma, poca luce, e senza tempo; immagini minime, dove l’azione si cristallizza. Questo mi ha spinto ad indagare e usare il silicone, resine e colle, materie dalla consistenza gelatinosa che miscelate al colore rimangono semitrasparenti come un tessuto organico, e lasciano intravedere l’oltre. Ogni sottilissimo strato, combinato al colore, dona profondità alla superficie senza l’utilizzo del chiaroscuro della pittura, ma sfrutta la tecnica della sovrapposizione propria della scultura. Al tatto ricorda la morbidezza e l’elasticità della pelle. Posto davanti ad una sorgente luminosa restituisce allo sguardo la somma di tutti gli strati cromatici. Ho riunito tutta la ricerca “Silenzio Nudo” in gruppi di opere denominate Suites e altre Solo”.
Completano la sala centrale alcune sculture della serie Al-gher, anch’esse realizzate con silicone e schiuma poliuretanica, ispirate alle conformazioni del corallo. Queste morbide e sensuose “pietre sospese” annullano la dimensione spazio-temporale dell’ambiente in cui sono inserite, trasformandolo in uno spazio interiore con il quale lo spettatore è invitato a interagire, e quasi fungono da agglomerati allo stato grezzo di quella materia che poi si ritrova pazientemente stesa a stati sulle tele appese alle pareti. Il percorso termina al piano sottostante della galleria dove si è accolti da Soul of the dawn, un’altra imponente e fascinosa installazione che scende dall’alto del soffitto fino a ricoprire tutto lo spazio del pavimento. Il filato di fibra sintetica intrecciata a maglia dall’artista restituisce allo spettatore una gamma cromatica sulle tonalità del rosa che ricorda appunto le sorgive luci dell’alba, da trovarsi quasi immerso in un clima da sogno, in un’aria rassicurante ed anche di scandaglio dell’anima. Costruzioni fra terra e cielo, tunnel immaginifici, vere aperture verso l’aldilà, percorsi di purificazione; è così che Giorgio Bevignani impianta nel terzo millennio le nuove strade dell’arte, è così che parla ad ogni visitatore di mostra, è così che detta una filosofia che viaggia come “panta rei” eracliteo.
Carlo Franza