Roma nella camera oscura. La storia fotografica della città dall’Ottocento a oggi. Al Museo di Roma – Palazzo Braschi una mostra sorprendente.
L’arte fotografica a Roma nasce prestissimo: già nel 1839, anno della presentazione di Daguerre all’Accademia delle Scienze di Parigi del sistema da lui inventato per fissare le immagini su una lamina argentea, cominciano ad operare i primi dagherrotipisti. Negli anni a seguire Roma è una delle prime città italiane a registrare il passaggio alla fotografia stampata su carta da un negativo, che sarà anch’esso di carta e poi successivamente di vetro. Nella Città Eterna, pur stretta nella morsa del governo temporale papalino, e negli altri stati italiani, pur agitati dagli eventi che portarono all’unità, si assistette ad una grande diffusione della fotografia che si inserì nella scia del vedutismo sia pittorico che incisorio, per trovare in esso un rapido campo di espansione e commercializzazione, ma che in realtà destabilizzò consolidati modi artistici e antichi sistemi di riproduzione, tanto da suscitare a più riprese l’interesse dei governanti per un sua regolamentazione.
Dal punto di vista iconografico la fotografia ottocentesca prese le mosse dalla pittura, nel campo della veduta e del ritratto, cercando ed ottenendo all’ombra di questa una legittimazione delle sue potenzialità artistiche ed una discolpa dall’accusa di mera riproduzione del reale.
Si dovette aspettare la fine dell’epopea risorgimentale e l’annessione al regno italiano perché si creassero a Roma i validi presupposti per un rapido incremento della fotografia intesa non più solo come tecnica di riproduzione legata al mercato delle immagini-ricordo, ma per un suo più consapevole uso nei vari campi in cui poteva essere applicata: il ruolo di capitale portò ad un aumento delle occasioni pubbliche oltre che della popolazione e delle opportunità di lavoro. Confesso di trovarmi dinanzi a una mostra che sembra proprio un romanzo visivo. Ecco un raro dagherrotipo con il ritratto di un gentiluomo di metà ‘800; le stampe all’albumina con i monumenti capitolini più famosi; il Tevere e la campagna romana; la folla in piazza San Pietro sotto gli ombrelli per la stesura dei Patti Lateranensi nel 1929; i bombardamenti di Porta Pia e l’inizio della modernità; il colonnato dell’Eur e l’architettura razionalista negli anni del Fascismo; infine la Città Eterna vista con lo sguardo dei grandi fotografi, da Berengo Gardin a Ghirri e Basilico. La storia della Capitale si intreccia con quella della fotografia che compie 180 anni nella grande mostra “Roma nella camera oscura”, ospitata a Palazzo Braschi fino al 22 settembre 2019 , a cura di Flavia Pesci e Simonetta Tozzi. E con circa 320 immagini provenienti dall’Archivio Fotografico del museo, l’esposizione offre un viaggio che dal 1800 giunge fino a oggi: un percorso rigorosamente analogico dal sapore antico, ricchissimo di suggestioni, grazie a un allestimento curato nei minimi dettagli.
Nella parte iniziale del percorso espositivo, il progetto si propone di illustrare gli aspetti topografici, storici e sociali che caratterizzarono gli ultimi anni del potere temporale dei papi e di documentare gli esordi della fotografia e l’affermarsi della professione del fotografo in una città abituata alla circolazione di immagini, destinate soprattutto al pubblico di turisti e pellegrini che la visitavano.
Le fotografie in mostra, originali eseguiti con le antiche tecniche della calotipia e della stampa all’albumina, sono opera di fotografi fra i più famosi sia italiani come Gioachino Altobelli, Pompeo Molins, Ludovico Tuminello, Giacomo Caneva, Tommaso Cuccioni che francesi o inglesi come Gustavo Eugenio Chauffourier, Robert MacPherson, James Anderson. La mostra si snoda attraverso 9 sezioni con diverse tematiche, declinazioni e tecniche. Anzitutto “Sperimentare con la luce”: nascita e progressi della fotografia in cui si alternano il dagherrotipo, la carta salata e l’albumina, esplorati dai primi fotografi – Giacomo Caneva, Frédéric Flachéron, Eugène Constant, Alfred-Nicolas Normand, James Anderson, Robert MacPherson –, veri pionieri che si spostavano tra città e campagna con ingombranti attrezzature, spesso accompagnati da pittori, ponendosi in piena continuità con l’arte del proprio tempo.
Il rapporto con l’antico è a Roma immancabilmente fondamentale: la sezione a seguire, “Documentare l’Antico: percorsi tra le rovine”, racconta come la nuova tecnica sia stata presto utilizzata anche nell’indagine archeologica, incentrata fin dagli esordi sulle vestigia classiche e sui principali monumenti della città.
In una selezione che mira sul valore quasi puramente simbolico del luogo di culto per eccellenza della cristianità, le immagini fotografiche proposte nella sezione “Centro della cristianità” lasciano emergere la Basilica di San Pietro in alcune caratteristiche sue peculiari: da un lato nell’aspetto più solenne e ufficiale, dall’altro nella sua anima più popolare. Nella quarta sezione “Vie d’acqua: la presenza del fiume e le fontane monumentali” ecco diverse immagini che rappresentano il condizionamento operato nei secoli dalla presenza dell’acqua – del Tevere in particolare, ma anche degli acquedotti romani e pontifici e delle fontane. Nella sezione a seguire, “Un eterno giardino: Roma tra città e campagna” si documenta il patrimonio naturalistico ancora straordinario di Roma, nell’opulenza di giardini e parchi. La mostra prosegue con la sezione dal titolo “La nuova capitale: dai piani regolatori di fine Ottocento alla città moderna”, dedicata alle trasformazioni urbanistiche che nei secoli mutarono il volto dell’Urbe, per adeguarla dapprima al ruolo di nuova capitale d’Italia, poi di Roma capitale del Fascismo, e infine arrivare a renderla la città moderna che tutti conosciamo. Documentata anche la vita sociale, colta la quotidianità della vita romana, infatti nella settima sezione, “Occasioni di vita sociale”, la fotografia si fa strumento di comunicazione della storia sociale che, fino ai giorni nostri, restituisce l’immagine della città in tutta la sua vivacità, dai mercati alle feste popolari. Ed ancora la sezione “Attraverso lo specchio: negativi su lastra di vetro” che propone, in una suggestiva presentazione, una serie di lastre ottocentesche in vetro retro-illuminate. In chiusura nelle sale al pianterreno con la sezione “Ritratti” dedicata alla fotografia di figura, con ritratti di personaggi famosi, modelli in posa e interni di studi d’artista ottocenteschi, ma anche con tableaux vivants, i “quadri viventi” di grande fortuna tra fine Ottocento e primo Novecento, che sottolineano ulteriormente quanto fosse stretto il rapporto di complementarietà affermatosi anche a Roma tra fotografia e pittura. Ecco allora che il Museo di Roma di Palazzo Braschi attraverso una quadreria fotografica di eccezionale livello storico e artistico riscrive la storia della città, documentandola con immagini che serviranno certo a collezionisti, studiosi, storici, studenti e a quanti sono amatori della stampa fotografica, ma aggiunge pagine nuove alla storia della capitale d’Italia, Roma.
Carlo Franza