eco-del-bosco-h2opiccolaMirato alle traversie contemporanee dell’ambiente, osssessivamente deturpato, con una citazione visiva  tesa al recupero e salvataggio del mondo, Franco Marrocco porta in scena “L’Eco del bosco H2O Reperti” che  è il titolo della mostra che presenta una serie di nuove opere del ciclo “L’eco del bosco”, tema dedicato dall’artista alla “memoria” del mondo naturale e alle suggestioni sonore della sua pittura. L’esposizione si tiene alla Galleria Il Chiostro arte contemporanea a  Saronno, ed è aperta fino al 29 giugno 2019.

Mi pare che da qualche tempo Franco Marrocco abbia iniziato a vivere un capitolo artistico ed espressivo tutto teso in direzione della realtà, dell’esistenza, del mondo che ci vive  attorno, della natura sovrana evidenziata in rapporto alla fisicità, di un’immersione nel reale, e certamente con una visione critica. L’esame iconografico dell’opera pittorica tende a rimuovere quella che potrebbe essere una banale citazione dell’ambiente e del mondo, per un recupero di un più vasto orizzonte concettuale. Si instaura così una lettura più composita, problematica, anche dentro alla “citazione”continua che è il mondo.

L-eco-del-bosco-2015_Franco-MarroccoL’orchestrazione generale del costruito è nel clima della  monocromia, seducente velario delle superfici, su cui fluttuano un reticolo di segni scanditi da un ritmo poetico. Non sono da meno i giochi di luci, relazioni, interpretazioni, evidenziando la vitalità dell’espressione artistica. Mi pare che Franco Marrocco abbia amato con un impatto di scoperta gli americani Pollock, de Kooning, Gorky, sentendone la febbre, il battito, gli spazi della letteratura euro-americana,  certo sono solo citazioni, esempi, emozioni psichiche, fondi di memoria. Si comprende così   questa immagine della pittura che porta con sé la complessità, una vasta e dialogante intuizione, l’anarchia del gesto e della materia,  e un’estenuante volontà di ritmo, di struttura, di traduzione del proprio sentire nella frontiera assoluta della pittura. E il fuoriuscire dai limiti fisici del quadro, e persino quelle  installazioni di  ampolle d’acqua sospese a muro, o anche   i dittici,  il limite del mistero tanto più colmo quanto più quotidiano, sono la dimensione del tempo incrinato,  il tragico esilio nel disincanto, nella grazia, nello sguardo di incrocio con la materia. A ben vedere, quella sua partenza di inizio percorso nell’esperienza dell’informale, è stata avvertita come un modo di conoscere, sentire,  di abbattere un muro,  lo spazio del profondo con una gestualità decisa, tagliente; ovvero la contraddizione necessitante tra l’informalità assoluta e l’assoluto della forma. E’ così che oggi qui in mostra si ripropone la versione tra una nostalgia di sensi, di luce, di esistenza, l’atto di consistenza della pittura che tende in talune opere maggiormente a un senso di “durata”, alla prostrazione del gesto, a un’espressività lenta della luce, dell’assenza. C’ è in questi teleri l’intensità, l’emozione, quel collocarsi in un punto di confine, di sproporzione tra la finitezza dei segni e delle geometrie e il bianco assoluto che è troppo commovente. Infine è questo  lo stesso scenario di lavoro che  troviamo contestualmente esposto  alla 58ma Biennale d’Arte di Venezia.

 

Franco Marrocco nasce a Rocca d’Evandro nel 1956. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, è stato Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ed oggi è qui titolare di una Cattedra di Pittura. . Dopo iniziali esperienze vicine a un realismo di marca espressionista, e una fase in cui la figurazione si anima grazie a un colore intensamente espressivo, Marrocco matura un linguaggio astratto dall’ esito fortemente personale, giocato su una intricata unione di materia, luce e colore. La sua ricerca è condotta partendo dall’indagine memoriale, riflessiva e autobiografica, espressa con una pittura più gestuale ed energica fino alla metà degli anni Novanta, più lirica ed evocativa nella fase recente. Negli ultimi dipinti le immagini astratte lasciano affiorare reminiscenze figurative dall’aspetto fitoforme, che viene quasi occultato da un sottile gioco di chiaroscuri. I lavori di Marrocco hanno bisogno di intervalli anche molto lunghi di lavorazione, dal momento che il risultato finale appare solo dopo numerose velature di colore. Apparentemente compatte, le varie parti delle opere sono ricche di forme celate che si svelano, di tracce di colore e di luce, di segni indecifrabili, ma ripetuti e o costanti, che definiscono quasi un codice inconscio. Nel 1989 espone con successo i primi cicli alla Chambre de Commerce Italienne pour la France di Parigi, al Castello Saraceno di Acropoli e alla Chiesa di Santa Maria a Nives di Rimini, mentre gli anni Novanta sono segnati dal riconoscimento avuto nelle personali a Palazzo dei Priori a Perugia (1991), al Palazzo d’Europa di Strasburgo (1994), al Parlamento europeo di Bruxelles (1998), al Palazzo Reale di Caserta (2000). Si ricordano tra le personali la grande mostra organizzata dal Comune di Frosinonenel 2012, quella ambientata nel Castello di Sartirana e nel 2016 la personale a Palazzo Collicola a Spoleto. Recentemente, insieme all’invito alla 58ma Biennale d’Arte di Venezia, dove espone nel padiglione del Bangladesh a Palazzo Zenobio, altre mostre curatoriali hanno arricchito il suo curriculum (Monza, Villa Reale; Matera, Fondazione Sassi, insieme ad Arcangelo; Carmagnola, Palazzo Lomellini).

Carlo Franza

Tag: , , , ,