Michele Mathison artista“in residenza” in mostra nel Palazzo Sangiovanni ad Alessano/ Lecce, sede di Muse Salentine. Evento voluto dal mecenate belga Charles Adriaenssen proprietario del palazzo cinquecentesco.
Il Salento non è propriamente luogo dove transita l’arte contemporanea, quella beninteso di spessore e di spiccata lievitazione culturale, perché la popolazione di questa estrema provincia -da finibus terrae- è presa da mille problemi di varia natura e non ha la cultura artistica necessaria che non sia quella di una vetusta figuralità e immagine. Delle eccezioni però esistono, semi gettati qua e là che si disperdono come gira il vento. Ci provai io stesso qualche anno fa, esattamente nell’estate 2011, con l’impiantare un progetto dal titolo “Nuovo Atlante delle Arti” di artisti in residenza a Borgo Cardigliano -tra Specchia e Ruffano- un paese agricolo costruito dal Fascismo; ebbene nel progetto di residenze, i nomi di Chiara Silva (Apologia del Cielo), Marisa Settembrini (La cifra di ore e racconti), Fiamma Zagara (Lezione Italiana), Eugenio Galli (Bisbiglio di segnali), Giorgio Cutini (Tra liete apparenze), Bruno Chersicla e altri (Fratelli d’Italia), Pasquale Petrucci (Alfabeti Visivi), Capolavori tra Novecento e Terzo Millennio (L’Arte delle Meraviglie), ecc. Ora è arrivato in Alessano/Lecce un nuovo progetto di “residenze” estive, iniziato nel 2018 con l’artista Augustine Delloy, mentre quest’anno 2019 è la volta del sudafricano Michele Mathison. Certo una “nicchia” per pochi, lasciatemelo dire, evento colto per pochissimi. Il 1 agosto 2019 l’artista ha inaugurato a Palazzo Sangiovanni una mostra di installazioni ed opere che danno luce e rilievo alla bellezza del territorio salentino e alle sue materie prime, ancora ancestrali. L’esposizione di Michele Mathison vive sul risultato del lavoro creativo messo in atto a luglio, durante il suo mese di permanenza in Salento, nella residenza per artisti creata appositamente nella sede di Muse Salentine, ad Alessano nel Palazzo Sangiovanni in Piazza Castello 3. Qui, in questa terra di confine, estremo sud est, a contatto con la bellezza della luce e la tranquillità di un territorio, -una volta operosissimo mentre oggi si lascia vivere- trasformato in una sorta di laboratorio vulcanico, probabili giovani talenti traggono la giusta ispirazione per esprimere al meglio la propria creatività. Beninteso tutto si svolge nel Palazzo Sangiovanni ad Alessano/ Lecce, sede di Muse Salentine, il progetto voluto e messo in atto dal mecenate belga Charles Adriaenssen proprietario del palazzo cinquecentesco.
Entriamo nello specifico della mostra di Michele Mathison, il giovane del Sudafrica attraverso una serie interessantissima di opere pittoriche e scultoree eseguite, si lascia leggere nell’atteggiamento progettuale di Le Corbusier, che con le sue forme architettoniche, scultoree, produceva un servizio linguistico, effetto di una reazione poetica. Possiamo senz’altro affermare che Mathison, proprio perché fino ad oggi in giro per il mondo si è guardato attorno, possiede del manierismo il procedimento della simulazione, la capacità indiretta di celebrare o negare la realtà mediante un’immagine che nasconde il proprio senso interno attraverso l’oggettività splendente della forma. L’uso di forme in ferro, assemblate nello spazio, più geometriche, espressione di purezza ed equilibrio, od anche simulanti la replicazione di arbusti come il finocchio selvatico, o addirittura di tegole in cotto bianco cucite in forma speculare e aggettanti come fossero un totem, lasciano intendere le laboriose ricerche formali messe in atto dall’artista nella sua operosissima esistenza. Qui, in tutta la produzione scultorea vive una presa diretta dell’arte minimalista; quando poi si muove verso installazioni a parete, il dato romantico viene catturato dalla materia, è così il caso della ricostruzione perimetrale di un campo di terra rossa, che vive in un interno -opera a mio avviso di grande intensità costruttiva e carica di mitografia-; oppure l’agglomerato di materiali vari (legni, pietre, terra, ferri, ecc.) disposto a sipario su una parete del giardino interno che contempla diverse esperienze del mondo. C’è persino un omaggio agli ulivi di Puglia oggi colpiti dalla peste del batterio Xilella; interi boschi distrutti, un territorio devastato, qui memorizzato in quella scultura tronco infilzata da oggetti ferrosi. E’ un linguaggio il suo che appare quasi ovvio nella sua validità universale, ma che è una personalissima, lenta, dura conquista, raggiunta con esercizio faticoso e continuo. Il suo non è stato un depotenziamento del reale, come è avvenuto già con le avanguardie, ma un processo di sublimazione e spostamento che ha arricchito il farsi dell’arte contemporanea, il trasformare il mondo con il suo ordine formale. Un passaggio questo che avviene in un momento storico di maturità, in cui non esiste più scontro tra modernità e post-modernismo, ma ricca convergenza e costruzione di complessità formale. La grandezza di questo giovane artista sudafricano a mio avviso è che utilizza intenzionalmente un superficialismo spaziale capace di celebrare la forma con molta profondità affettiva. Non è poco certo, ma vale come documento del territorio in cui vivono le forme, ormai cariche di una tensione dialettica fuor dal comune.
N.B: Le foto delle opere di Michele Mathison a corredo dell’articolo sono del fotografo Kash Gabriele Torsello
Michele Mathison nasce nel 1977 a Johannesburg, in Sud Africa, ed attualmente vive e lavora dividendosi tra i suoi luoghi d’origine e lo Zimbabwe. Suo padre, l’italiano Alberto Tagliaferri, ha esercitato nel corso della vita la professione di architetto e scultore. Mathison consegue nel 2000 la laurea in Belle Arti presso la Michaelis School of Fine Arts all’Università di Città del Capo e nel 2013 rappresenta lo Zimbabwe alla 55esima Biennale di Venezia. Le sue mostre recenti comprendono Dissolution, presso la Tyburn Gallery, nel Regno Unito (2018), Frieze sculpture, a Londra (2018), State of Emergence, presso la Galleria Whatiftheworld, a Città del Capo, ed a Johannesburg, in Sud Africa (2017), Uproot, presso la Tyburn Gallery di Londra (2016); Harvest, presso lo Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA) e lo Scheryn Pavilion a Città del Capo (2015); Manual, nella Galleria Whatiftheworld (2014), ed Exit/Exile, Nirox Projects a Johannesburg (2011). Mathison ha inoltre prodotto opere su commissione per il lungomare Victoria & Alfred di Città del Capo, come l’Angular Mass (2018), per Carvela, come Running in Circles (2012) e per Slow Lounge, come Carto/Graphic 1 (2011).
Carlo Franza