Giambologna di Fischer brucia alla Brant FoundationUn Giambologna di cera di Urs Fischer con l’amico Rudolf Stingel spettatore: entrambi bruceranno lentamente assieme a una sedia nella nuova mostra della Brant Foundation Art Study Center, la seconda nello sp091019_r18915_p646azio industriale ricavato nel Lower East Side di Manhattan in quello che fu per anni lo studio di Walter de Maria. “Third Dimension: Works from The Brant Foundation”, aperta al pubblico dal 13 novembre, presenta oltre 20 artisti centrali nella raccolta messa insieme dal tycon, industriale dei media Peter Brant negli ultimi 50 anni. La copia in cera del “Ratto delle Sabine” (l’originale e’ alla Loggia dei Lanzi a Firenze) e’ un clone di quella che lo stesso Fischer fece bruciare nel 2012 alla Biennale di Venezia. Con il medesimo  concetto l’artista svizzero ma trapiantato a New York ha ritratto in cera Leonardo DiCaprio con i genitori George e Irmelin:la scultura si sta sciogliendo da Gagosian a Parigi.
La scorsa primavera la Fondazione, la cui sede storica e’ a Greenwich nel Connecticut, aveva dedicato la mostra inaugurale del nuovo spazio a Manhattan a Jean Michel Basquiat: dai finestroni del nuovo museo in realtà  si vedeva l’appartamento di 68 East First Street dove Jean Michel si era trasferito a pochi mesi del primo viaggio in Europa per esporre a Modena da Emilio Mazzoli. Stavolta il focus sono sculture e installazioni. Ecco, dunque il top della collezione.Tra gli artisti Carl Andre, un colossale John Chamberlain (Fuccimanooli del 1990), Dan Flavin, Claes Oldenburg , Kenny Scharf, Oscar Tuazon, Andy Warhol e Franz West. Una quarantina di piccioni imbalsamati (l’installazione “Turisti” del padiglione italiano alla Biennale di Venezia del 1997) guardano da un cornicione “Untitled” del 2011: il monumentale Giambologna, lo spettatore Rudi e una sedia in questi giorni di novembre 2019  bruciano inesorabilmente attraverso una serie di stoppini incorporati nelle sculture. “Alla fine della mostra saranno sciolti completamente”, ha detto Allison Brant, direttrice del centro e figlia del tycoon.a53dec48-234f-11e7-a553-18fc4dcb5811_1280x720_132715
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La panoramica punta i riflettori sull’arte del nostro tempo ma anche su mezzo secolo di collezionismo d’arte a New York: lavorando con galleristi come Leo Castelli e John Weber, il 72enne Brant (marito della modella Stephanie Seymour), comincio’ a raccogliere giovanissimo sculture minimaliste e post minimaliste, cominciando con Giant Blue Shirt with Brown Tie di Claes Oldenburg e The Diagonal, May 25, 1963 (To Robert Rosenblum) di Dan Flavin, quest’ultima donata nel 1974 al Metropolitan Museum. Il Brant Art Study Center è in se stesso parte di un fenomeno, è  uno dei nuovi musei privati che stanno aprendo negli Stati Uniti e che includono la Hill Art Foundation di Chelsea, il Glenstone in Maryland alle porte di Washington e la collezione Broad a Los Angeles, è stato fondato dal collezionista come gemello urbano della sede principale in Connecticut, attualmente in ristrutturazione e che riaprira’ in primavera 2020.

Urs Fischer nasce nel 1973 a Zurigo, Svizzera. Studia fotografia presso la Schule für Gestaltung e in seguito prosegue la sua formazione presso De Ateliers ad Amsterdam e Delfina Studio Trust a Londra. Fin dall’inizio della sua carriera, Fischer ha saputo creare un universo eterogeneo di oggetti, personaggi e ambienti, tutti permeati dal medesimo senso dell’assurdo e dell’ironia. Urs Fischer è considerato, infatti, uno dei più irriverenti e intelligenti artisti della sua generazione. Attraverso un uso spregiudicato dei materiali, l’artista sovverte le nostre abituali modalità di pensare lo spazio e il nostro tradizionale approccio alle cose. Chalet realizzati a grandezza naturale con il pane, ritratti di persone con volti coperti da frutti, buchi sui muri, letti e pianoforti accartocciati e composizioni di brioches e farfalle: il mondo di Fischer è variopinto e imprevedibile. L’interesse per l’immaginario popolare e per gli oggetti della società contemporanea ha condotto l’artista alla realizzazione di lavori in cui vengono stravolti i contesti ordinari delle cose per costruire nuove forme e nuovi significati.

Tra tutti i suoi lavori, una serie importante è quella delle sculture di cera che, come se fossero candele con tanto di stoppino, una volta accese si lasciano consumare dal tempo, diventando forme sciolte e infine ammassi di cera sul pavimento. I materiali che si autodistruggono – come la cera o come il pane – sono centrali in alcune opere di Fischer, artista che ama esplorare le infinite possibilità della materia per introdurre un’ulteriore dimensione ai suoi lavori: quella del tempo. L’uso frequente e ironico della citazione, fa di Fischer un collezionista seriale di soggetti, opere e temi della storia dell’arte, inseriti in una dimensione del tutto nuova grazie ai suoi punti di vista delicati ma paradossali. Con le installazioni su grande scala e la ricreazione di interi ambienti – come la riproduzione del suo studio – Urs Fischer dà al visitatore la possibilità di vivere l’esperienza fisica di qualcosa di intangibile: il processo creativo. Tra le mostre personali dell’artista ricordiamo quelle presso il  Garage Museum of Contemporary Art, Mosca (2016), Vito Schnabel Gallery, St. Moritz (2015), Gagosian Gallery, California (2015), The Modern Institute, Glasgow (2015). Ha partecipato alla Biennale d’Arte di Venezia nelle edizioni del 2003, 2007 e 2011. Nel 2012 Palazzo Grassi ha dedicato all’artista una mostra personale intitolata “Madame Fisscher”. Negli stessi spazi i suoi lavori sono inoltre stati esposti in occasione delle mostre “Dancing with Myself” (2018), “Il mondo vi appartiene” (2011-12), “Mapping the Studio” (2009-11), “Sequence 1” (2007), “Una selezione Post-pop” (2006-7) e “Where are We Going?” (2006).

Carlo Franza

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