Marisa Zattini al Museo di Ravenna con la mostra “Alchemica”. Una sorta di sciamanesimo contemporaneo, che porta l’arte contemporanea a ritrovare spirito e corpo del passato.
Al Museo Nazionale di Ravenna, presso le Sale dell’Antica Farmacia, è in corso la mostra “Alchemica”, di MARISA ZATTINI, visitabile fino al 16 febbraio 2020. Al vivere nell’oggi non sfugge certo sia in grandi città comed Roma e Milano, che in paesi di provincia, il notare antiche farmacie con arredi di un tempo. A Milano ad esempio decorazioni in cemento su una facciata di mattoni a vista, ceramiche dipinte a motivi floreali, foglie in ferro battuto a chiudere i balconi, tutto concorre a caratterizzare come Liberty questo grande edificio costruito tra il 1905 e il 1906 sull’angolo tra corso Magenta e piazzale Baracca, sui resti delle mura spagnole (che erano appena state demolite), dall’architetto Antonio Tagliaferri per il barone Laugier. Bello, per il contrasto che è stato volutamente creato accostando mattoni in cotto, tipici della tradizione edilizia lombarda, e decorazioni in cemento. Originale, rispetto ad altri edifici liberty di Milano, perché più sobrio, meno frivolo. E perché al piano terra ospita una farmacia, arredata con i mobili dell’epoca. Ora il progetto voluto da Marisa Zattini nasce dal desiderio di ripercorrere artisticamente le energie e i segreti della Natura mettendo in essere osmosi fra luoghi storici e museali altamente connotati quali l’Antica Farmacia del MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA e opere di arte contemporanea. Una sorta di ouroboros fatto di vasi linfatici e di rimandi emozionali fra antico e contemporaneo. La mostra di Marisa Zattini che ha per titolo “Alchemica” ovvero Trasmutazioni fra Arte & Natura è suddivisa in tre sezioni. Essa prosegue idealmente nel solco degli erbari metamorfici, delle “piante dell’anima” e nella rivisitazione di forme antiche ceramiche rinnovate oggi e realizzate ad hoc per questa occasione. Una doppia fruizione fra contemporaneo e manufatti antichi, un corollario denso di legami fra arte e artigianato ceramico. La prima sezione è dedicata alla rappresentazione del mondo naturale attraverso le piante. Gli Erbari dell’Anima. Si tratta di piante vere sommariamente essicate e ricomposte su fogli di carta cinese – ottenuta da piante di bambù – con innesti disegnati a grafite, per le parti mancanti o per integrazione con la parola poetica. La seconda, Erbari, comprende le opere “metamorphiche”, inedite, ispirate all’erbario cinquecentesco di Ulisse Aldrovandi. I disegni realizzati a china su lettere dell’800, si affiancano, in un canto e controcanto, alle loro trasposizioni a getto d’inchiostro su lastra di alluminio lucidata a specchio. La terza, nel luogo sciamanico dove si svolge il rito alchemico e farmaceutico [utensili e contenitori] proporrà opere ceramiche realizzate ex novo, incise a punta di bulino, su rivisitazioni di albarelli, orcetti, acquamanili e fiasche. Le figure incise su fondo ceramico di color nero opaco rendono omaggio alle trasfiguranti piante dalla doppia valenza: risanatrice, se prese in piccole dosi, o velenosa se assunte in eccesso. A latere, nei banchi della Farmacia una alluvionale nigredo. A completamento dell’evento espositivo, un ciclo di interessanti incontri e conferenze.
Spettacolare la mostra allestita nella sala dell’antica farmacia, all’interno degli spazi del Museo Nazionale di Ravenna. Alchemica, lascia leggere storia e magico, passato e presente, tradizione e nuovo, pone in essere ancora una volta quel dialogo intenso e profondo fra antichità e contemporaneità, che è poi un segno caratterizzante dell’intero lavoro di Marisa Zattini. Ed è precisamente un dialogo materiale, culturale e artistico, quello che fa rapportare le sue opere alle collezioni presenti nello spazio, che raccontano la storia dell’antica disciplina farmaceutica. E’ un dialogo fra molte arti, anzi fra il fare, il pensare e il creare. Zattini è il nuovo sciamano del nostro tempo. Unisce e separa, mischia e fa bruciare sostanze diverse. E come avviene nella distillazione, in questo caso ci porge opere rarefatte, di rara e sorprendente bellezza. Tutto corre e scorre fra buio e luce, giorno e notte, estate e inverno, passato e presente, le stesse opere della Zattini vivono del gioco costruito sul duplice,sul doppio, sul duale, declinandosi in una Albedo e una Nigredo. Gli elementi dell’antica farmacia sono ripresi e sviluppati sfruttando l’accumulazione degli elementi: ceramici nella Nigredo che si definisce non solo nel buio, nell’oscuro ma anche nel pieno, nella matericità totale, nel nascondimento che si contrappone al vuoto, all’esposto, allo svelato di trasparente lucentezza vitrea nell’Albedo. La riproposizione della cristalleria alchemica si inserisce nello stesso dialogo con il passato che caratterizza le scelte sempre oculate delle sedi espositive, dotate di profonda memoria storica, che l’artista ha dimostrato privilegiare durante tutta la sua carriera. Testimoni e fedeli rappresentanti di quell’arte ricca di mistero che fu la base fondante del metodo scientifico moderno, sono gli alambicchi in vetro soffiato realizzati appositamente dalla nostra artista per questa mostra rappresentano un nuovo romantico positivismo. Tali opere si definiscono quali strumenti conoscitivi, analitici ed infine costruttivi di quello stesso corpo sensibile, il cui peso di realtà diviene preponderante nell’operazione dell’artista. In associazione molteplice e variegata, tali strumenti nascono per essere accoppiati, uniti, congiunti. E in tale associazione/separazione divengono proiezioni simboliche di quell’essere macchina naturale costruttrice di sè lungamente descritta da Morin. Se nei racconti precedenti della Zattin vale a dire negli Alberi avevamo trovato il principio di tutte le cose, del mondo, il seme della vita, in Alchemica troviamo il nuovo inizio, il ciclo umano di chi rinnova e dà la vita, delle immagini e dei segni che incorniciano la storia dell’uomo, ben rappresentato anche graficamente attraverso gli ouroboros graffiati, incisi a punta di bulino sulle fiasche che ripercorrono il ritorno eterno attraverso la loro forma circolare. Ed è proprio il graffio, la fenditura dal tratto preciso e irripetibile, caratteristica della mano dell’artista, che agisce ora sulle ceramiche così come sui famosi erbari, che costituivano la serie Metamorphica. Qui la china si inserisce su lettere ottocentesche, definendo un rimando fittizio e immaginario agli erbari antichi e riproposti, con una sezione inedita di fogli dedicata all’erbario cinquecentesco di Ulisse Aldrovandi. A queste segue il completamento delle trasposizioni in negativo (a getto d’inchiostro)su tavole di alluminio lucidate a specchio. Un miracoloso racconto quello di Marisa Zattini, che ritorna alle origini per suggerire all’uomo una sorta di rifondazione del mondo. «Ciò che l’opera d’arte fa è di formulare assieme le nostre concezioni del sentimento e le nostre concezioni della realtà visiva, effettiva e udibile. Essa ci dà forme di immaginazione e forme di sentimento, in una unità inscindibile; vale a dire che chiarifica e organizza l’intuizione stessa. Questa è la ragione per cui l’opera d’arte ha la forza di una rivelazione, ed ispira un sentimento di profonda soddisfazone intellettuale, pur non suscitando alcuna attività intellettuale consapevole» (Susan K. Langer, Sentimento e forma). E dunque non perdiamoci questa mostra, vera e ancor più vera per il suo essere ancorata alla realtà e al suo “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Già il filosofo Eraclito, vissuto 2500 anni fa, aveva coniato la celebre frase “panta rei” (tutto scorre); a significare appunto che niente è immutabile, ma tutto cambia. Fu il chimico francese Lavoisier a formulare in chiave scientifica l’intuizione di Eraclito; dimostrando che anche l’incenerimento di un pezzo di legno non significa scomparsa di qualcosa. La cenere, l’anidride carbonica sprigionatasi dalle fiamme, il calore prodotto, rappresentano chimicamente la trasformazione del pezzo di legno in qualche altra cosa equivalente.
MARISA ZATTINI è nata a Forlì nel 1956. Già architetto, poeta, curatore, come artista ha realizzato mostre personali in Italia e all’estero a partire dal 1976, con la sua prima personale a Ravenna. Dal 1989 è Direttore Artistico de IL VICOLO Sezione Arte, IL VICOLO Editore e della rivista trimestrale di Arte & Letteratura “GRAPHIE” fondata nel 1998. Dal 2006 ha avviato un’indagine ricognitivo-artistica sull’identità/alterità sfociata in L’Elogio della figura – Identità & Alterità (2007) e in IL DIAVOLO & L’ACQUASANTA – Tarocchi fantastici (2008), entrambe curate con Antonio Paolucci. Sempre sull’identità e sulle riflessioni filosofiche legate al tema del vuoto e del pieno ha realizzato una triplice partitura espositiva denominata DOPPIO PANICO! L’arte di vivere (2009), Metamorphosi (2011), Autoritratto (2013), coinvolgendo 33 artisti del territorio. È stata invitata, nel 2014, a Kassel (Germania), con la mostra “MUSTER//TRAME” Innesti europei. Nel 2017, la mostra “Agricoltura Celeste” ha riunito una selezione di opere realizzate a china su lettere antiche (XIX sec.) e trasporti a getto d’inchiostro su lastre di alluminio lucidate a specchio, riferite a cinque cicli realizzati fra il 2012 e il 2017: “di-segni” o dell’indole della Res (Mandragore e Erbari/Bestiari), Ali selvatiche, [in] Fragilis Mortalitas e Erbe dell’Anima (erbari “veri”, assemblati su carta cinese con innesti a grafite e parole in libertà). Del 2018 è la recente rassegna Metamorphica, allestita nella Moschea Yeni Camii, a Salonicco (Grecia) ed itinerante in Italia, a Cesena, nella Sala Piana della BIBLIOTECA MALATESTIANA (memoire du monde per l’Unesco) e nella Chiesa di San Zenone. Sempre dello stesso anno, la personale Alberi – eretici / ermetici allestita nell’Oratorio di San Sebastiano, a Forlì.
Carlo Franza