Di-Bello-milano-638x425Ha avuto  un titolo affettuoso “Caro Bruno” la mostra e il ricordo che la Fondazione Marconi di Milano ha dedicato  a uno degli artisti della sua scuderia, Bruno Di Bello,  a un anno dalla scomparsa. indexLa presentazione di una selezione di opere, dalle prime “scritture” del periodo napoletano, forse meno note al pubblico, ai più recenti lavori eseguiti con l’ausilio del computer sarà un momento di incontro per tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato, nonché l’occasione per annunciare la nascita dell’Archivio Bruno Di Bello a cura degli eredi che, per tutta la settimana dalle 18 alle 19, saranno presenti in mostra a disposizione del pubblico. La storia artistica di Bruno Di Bello comincia con l’adesione al Gruppo ’58 di Napoli. E a proposito del famossissimo Gruppo ’58, ho incontrato Di Bello una decina di volte e ho presentato mostre significative al suo amico Sergio Fergola sempre facente parte del gruppo napoletano,  sia a Saronno (Studio Malagnini) che a Treviso.  E di Di Bello ho dei ricordi ancora oggi vivi, aggiungendo che è stato non solo un artista innovativo ma un gran signore e con un grande cuore.   Al 1966 risale la prima personale di Di Bello  alla Modern Art Gallery di Lucio Amelio che definisce i suoi “segni di luce” il frutto di una magia: un sortilegio creato nella camera oscura con una piccola luce che impressiona su una tela bianca linee e punti. Ritrovare il senso primario della pittura è il suo obiettivo principale. Lo persegue partendo da luce e segno, tornando “a fare le aste”, per ottenere il segno più elementare possibile.  “Alzare il braccio con la pila accesa fino al limite superiore, a piccoli scatti, e scendere fino a terra, fermarsi, ripartire, sempre senza vedere che segno fa, mi dà quella piccola vertigine di cui ho sempre più bisogno. Niente di paragonabile, poi, all’emozione che provo quando sviluppo la tela e appar3e il segno: sempre un po’ diverso da quello che mi sarei aspettato… unnamedIl piacere di accendere una luce nel buio, la sorpresa della trasformazione di questa luce nel suo opposto: tutto è qui.” (Bruno Di Bello, aprile 1979) Un anno dopo, a Milano, Di Bello dà una svolta alla sua attività realizzando indagini sulle possibilità di scomposizione dell’immagine che attua attraverso l’uso della fotografia. La tela fotosensibile resta il suo mezzo preferito: su di essa l’immagine viene catturata, scomposta, analizzata, per poi ricomporsi davanti allo sguardo dello spettatore. Segue una ricerca che continua l’operazione di scomposizione lavorando su parole/concetti di cui si perde e si ritrova di volta in volta il senso.  Protagonista della storia di Studio Marconi negli anni compresi tra il 1971 e il 1981, espone le sue opere alla Fondazione Marconi nel 2010, 2015 e 2018, dopo un periodo, già dalla fine degli anni Ottanta, in cui decide di dedicarsi allo studio delle nuove tecnologie, in particolare della fotografia digitale, che gli permette di diventare nel frattempo padrone di conoscenze nel campo delle tecniche di creazione ed elaborazione dell’immagine al computer. Riprende esattamente da dove aveva smesso con l’esperienza precedente, ovvero dall’analisi degli elementi costitutivi del segno, riproponendo con logica coerenza gli obiettivi perseguiti fin dagli esordi.
Nell’ultima mostra del 2018 alla Fondazione Marconi lavori storici degli anni Sessanta e Settanta vengono messi a confronto con opere più recenti degli anni Duemila realizzate al computer, a dimostrare come temi e procedimenti, seppur nei differenti linguaggi, materiali e tecniche sperimentate nel tempo, continuino a ricorrere nel suo lavoro creativo. Le opere presenti in questo omaggio – dai primi oli e riporti fotografici su tela del 1962, alle “lune” del 1971, ai “segni di luce” del 1976, fino ai “frattali” del 2002 – sono solo alcune tra le tante che si sarebbero potute scegliere per ricordare il lavoro di Bruno Di Bello, pervaso di sotterranee analogie tra passato e presente, il suo atteggiamento analitico e costruttivo, la progressiva e costante indagine del frammento. Uno degli artisti più credibili e autorevoli nell’uso “competente ed esperto delle tecnologie digitali”, lo definisce Bruno Corà nel testo redatto in occasione della mostra del 2015 alla Fondazione Marconi, sempre ravvisando nel suo lavoro più recente una stretta connessione con il periodo giovanile. Il suo percorso di “esploratore e trovatore di altri ‘luoghi’ e nuova bellezza” prelude alla “visualità della tecnologia digitale”. unnamed.jpgggL’opera di Bruno Di Bello, capace di riallacciare passato e presente e di rinnovarsi lasciando invariato l’assunto di partenza, di certo, ha saputo “accendere una luce nel buio”, e imprimere un segno tangibile e prezioso della sua vita di uomo e di artista.

Bruno Di Bello è nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli inizia a esporre e, con Biasi, Del Pezzo, Fergola, Luca e Persico, dà vita al Gruppo ’58. Tra i meriti di questa giovane formazione c’è quello di aver stabilito un contatto diretto con le coeve vicende milanesi, grazie soprattutto al Archeo2particolare-periodico “Documento Sud”, ideale corrispettivo di “Azimuth”. Dopo le prime mostre di gruppo alla Galleria San Carlo e alla Galleria Minerva di Napoli, nel 1960 Di Bello ottiene una prima personale alla Galleria 2000 di Bologna. Nel ’65 inizia a inserire la fotografia nei suoi lavori, nel ’66 ha la prima personale alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, nel 1967 comincia a usare direttamente la tela fotosensibile e si trasferisce a Milano. L’anno seguente espone con il gruppo della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine, sulle icone dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte moderna. Espone per la prima volta a Milano da Toselli nel ’69 e nel ’70 alla Galleria Kuchels, Bochum, alla Galleria Wspòlczesna, Varsavia e alla Galleria Bertesca di Genova e alla Biennale di Venezia. Dal 1971 inizia la 76a042bfd7a32ecbfce3fcb1476f28ddc4e4f87c652501d0ba1e9893412eeb91collaborazione con lo Studio Marconi: un’installazione composta da 26 tele fotografiche con la scomposizione dell’intero alfabeto. Vi esporrà ancora nel ’74, nel ’76, nel ’78 e nell’81. Dai primi anni Settanta sulle sue tele fotografiche compaiono parole e concetti che, scomponendosi e ricomponendosi, animano un gioco di perdita e di ritrovamento del significato. Nel ’74 espone alla Galleria Art in Progress a Monaco e alla Kunsthalle di Berna, nel ’75 alla Galleria Müller di Stoccarda e all’I.C.C. di Anversa, nel ’77 alla Galleria Lucio Amelio di Napoli e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Espone nel ’78 alla Galleria Rondanini di Roma e nell’estate 1980 realizza un grande lavoro per il Festival di Spoleto. Altri lavori degli anni Settanta-Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una torcia elettrica, e negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore come in Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi – Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta. A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili al computer. Espone i nuovi lavori da Marconi nel 2003, nel 2004 alla Plurima di Udine, nel 2005 a Napoli alla Fondazione Morra e nel 2008 alla Galleria Elleni di Bergamo. Nel 2010 la Fondazione Marconi gli dedica una grande antologica. Per l’occasione esce la monografia Bruno Di Bello – Antologia, edita da Silvana Editoriale per la VAF-Stiftung di Francoforte, a cura di Volker Feierabend con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo e Angela Tecce. Nel 2011 ha una personale al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro, mostra che ha avuto un esordio al Museo della Certosa di Capri e un seguito al PAN – Palazzo delle Arti, a Napoli. Le tre mostre nascono per iniziativa dell’associazione napoletana Arteas. Nel 2011 tiene una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano nel corso di Alberto Aschieri ed espone il suo Grande vetro 2 del ’75 alla mostra dei lavori del corso di “Progettazione Architettonica 3” nel patio del Politecnico. La Fondazione Marconi gli dedica due personali, nel novembre 2015 e nel maggio 2018; nel 2016 ha luogo “Là dove interviene il disegno-la fotografia”, alla Fondazione Bottari Lattes-Torino, a cura di Luca Panaro. In questo stesso anno partecipa alla collettiva “Italia Pop. L’arte negli anni del boom”, alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo. Infine, nel 2017 inaugura una personale al Museo Archeologico di Napoli (MANN), dove espone tre grandi trittici di geometria frattale (sei metri ognuno), nei quali, dopo un accurato lavoro di campionatura, utilizza gli stessi colori degli affreschi Pompeiani presenti nel museo. A corollario della mostra sono stati realizzati un video, di Roberto Paci Dalò, ispirato a questa operazione e un catalogo edito da Skira, con testi di Bruno Corà, Raffaella Perna, Maria Savarese e una poesia di Nanni Balestrini. Nel 2018 “Camera Pop. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co.”, curata da Walter Guadagnini, ha luogo da Camera a Torino; nel febbraio 2019 il Museo del Novecento di Milano acquisisce l’opera Lasciapassare El Lissitzky, 1970. Bruno Di Bello si spegne improvvisamente a Milano, all’età di 81 anni, il 5 marzo 2019.

Carlo Franza

 

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