Scultura in terracotta del Rinascimento. Da Donatello a Riccio. Una ricca e straordinaria mostra nelle Gallerie del Palazzo Vescovile- Museo Diocesano- di Padova.
Dopo il “blocco forzato” per l’emergenza Coronavirus riapre la mostra al Museo Diocesano di Padova. Tra le novità scientifiche emerse dalla campagna di ricerca, l’importanza di Giovanni de Fondulis, artista cremasco che a Padova, nella seconda metà del Quattrocento, diede vita a una straordinaria bottega d’arte. Anche la mostra A nostra immagine. Scultura in terracotta del Rinascimento da Donatello a Riccio, temporaneamente chiusa per le ordinanze ministeriali dovute all’emergenza Coronavirus (Covid-19), riapre al pubblico da marzo 2020 e visitabile fino al 2 giugno 2020, seguendo le disposizioni contenute nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 2020, che prevede di evitare gli assembramenti, garantendo alle persone la possibilità di «rispettare la distanza tra loro di almeno un metro». A nostra immagine. Scultura in terracotta del Rinascimento da Donatello a Riccio, aperta lo scorso 15 febbraio, ha fin da subito riscosso un ampio consenso di pubblico e interesse da parte dei cultori e studiosi dell’arte, sia per la particolarità delle sculture esposte sia per la significativa e seria campagna di ricerca, studio e restauro di alcune opere, che l’ha preceduta e che ha portato interessanti novità. In particolare è emerso con evidenza il ruolo centrale di un plasticatore di origine cremasca, Giovanni de Fondulis, a cui sono state attribuite definitivamente alcune terrecotte del territorio diocesano, e la vivacità della sua bottega padovana. Come evidenzia, infatti, Carlo Cavalli, conservatore del Museo Diocesano di Padova: “Negli ultimi anni gli studi sulla scultura padovana del Rinascimento hanno progressivamente messo a fuoco la figura di Giovanni de Fondulis, artista cremasco che giunge a Padova alla fine degli anni sessanta del Quattrocento ed è a capo di una bottega operosa per oltre un ventennio. A lui Davide Civettini, giovane studioso dell’Università di Trento, ha attribuito sulla rivista specialistica Arte Veneta la Madonna di Pozzonovo, esposta in mostra e oggetto di restauro nell’ambito di Mi sta a cuore: l’intervento, liberando la scultura dalle ridipinture più tarde, ha confermato l’attribuzione a de Fondulis. Sullo stesso numero di Arte Veneta Marco Scansani, dottorato alla Normale di Pisa con una tesi proprio su Giovanni de Fondulis, ha attribuito all’artista cremasco il San Pietro martire di Calvene (Vi) e la Pietà di Prozzolo (Pd), esposta in mostra. Queste sono attribuzioni recenti, che i restauri confermano e la mostra valorizza consentendo un’osservazione ravvicinata delle opere”. “Durante la lunga preparazione della mostra – continua il dottor Cavalli – nuove scoperte si sono aggiunte: la Madonna del monastero della Visitazione, dopo la rimozione delle integrazioni ottocentesche e delle pesanti ridipinture, si è rivelata un capolavoro della tarda attività di Giovanni de Fondulis, come pure la Madonna col Bambino in trono dell’Istituto delle Suore Maestre Dorotee in Padova, e un’altra Madonna in un oratorio privato a San Giorgio delle Pertiche. Le prime due sono esposte in mostra, a conferma del ruolo di assoluto prim’ordine giocato dal plasticatore cremasco nel panorama della scultura in terracotta padovana del Rinascimento. Scoperta quasi dell’ultimo momento, il San Rocco del capitello di via Augusta a Cadoneghe è uscito sempre dalla bottega di Giovanni de Fondulis: lo abbiamo voluto esporre anche se visibilmente ridipinto, auspicando che un restauro possa restituirne la raffinata descrizione dei lineamenti, della barba e delle vesti.Ad Antonio Antico, artista di cui si sa ancora poco, ma imparentato con Giovanni de Fondulis e probabilmente attivo inizialmente nella sua bottega, è stato attribuito il busto di San Bellino della chiesa di San Pietro, esposto in mostra: opera di grande qualità ritrattistica, in origine una figura intera collocata sopra uno degli altari della chiesa, fu poi vittima delle pesanti trasformazioni ottocentesche.
Contrariamente a quel che si può pensare, non tutto è andato distrutto: le nostre chiese conservano ancora immagini antiche, sotto la coltre protettiva di una secolare devozione (e abbondanti strati di ridipintura). Ad esempio a Vigonovo, dove la Vergine col Bambino sopra uno degli altari laterali è probabile opera di Giovanni de Fondulis, o la Madonna col Bambino in trono di Vigodarzere, vicina alle opere che sono state attribuite alla giovinezza di Andrea Briosco, detto il Riccio. E altre ancora ve ne sono nel territorio, specialmente nella campagna a nord di Padova e tra Padova e Vicenza, di qualità meno alta ma comunque testimonianza di un momento straordinario dell’arte padovana e della storia delle nostre comunità, che attraverso la mostra abbiamo voluto raccontare”. Un altro interessante risultato del lavoro di studio e ricerca che ha accompagnato la mostra e che ha visto la partecipazione di studiosi di calibro internazionale, è la nuova attribuzione a Pietro Lombardo, da parte di Francesco Caglioti, della Madonna proveniente dal Museo del Bargello, precedentemente attribuita a Antonio di Chellino. Scoperte ma anche restauri, finanziati in modo originale, partecipativo, come ricorda il direttore del Museo Diocesano Andrea Nante: “La mostra è il momento conclusivo di un progetto durato oltre due anni, durante il quale, con il sostegno della campagnaMi sta a cuore, sono state restaurate quattro opere del territorio diocesano, ora inserite nel percorso espositivo (escluso il Compianto di San Pietro, che sarà possibile visitare in loco, negli orari che presto saranno comunicati). Oltre che operazioni di recupero e valorizzazione, i restauri sono importante occasione di studio e conoscenza delle opere, uno studio che durante tutto il periodo del progetto si è allargato, per quanto possibile, all’intero patrimonio diocesano di terrecotte rinascimentali, con l’apporto fondamentale del lavoro di specialisti e di giovani studiosi. Il catalogo scientifico raccoglie gli esiti di questa ricerca storico artistica, e la mostra li rende visibili, facendo parlare direttamente le opere”. Un omaggio a una materia povera e fragile, la terracotta; un omaggio alla grande tradizione di plasticatori che hanno operato nel territorio diocesano (che tocca le province di Padova, Venezia, Vicenza, Treviso e Belluno), popolando chiese, sacelli, capitelli, conventi, abbazie, monasteri e dimore private di sculture delicatissime ma di grande pregio e segno di una devozione diffusa; un omaggio alla grande eredità di Donatello che ha favorito nuovi slanci e originali esiti artistici al Rinascimento padovano. Ventuno sculture in terracotta raccontano un’epoca, fanno respirare il clima delle botteghe artistiche padovane tra fine Quattrocento e primo Cinquecento, disegnano il panorama di una devozione popolare che si soffermava a meditare e pregare di fronte a manufatti che racchiudevano i grandi misteri della fede: dalla tenerezza materna di Maria, nelle numerose e diffuse Madonne con Bambino alla sofferenza della Pietà o del Compianto sul Cristo morto. La dolcezza di Maria che tiene in braccio il bimbo e il gioco di sguardi si scontra con il grido di dolore delle dolenti e con la tragica ma composta sofferenza di Maria che sostiene il Cristo morto, in un percorso che va dalla vita alla morte, dalla gioia al dolore, ma che racchiude il senso dell’umano e del divino che c’è nell’uomo: A nostra immagine, appunto. Come è tradizione, infatti, nella storia del Museo diocesano di Padova – che durante questa esposizione celebra i suoi 20 anni di attività (2000-2020) – le mostre tematiche rappresentano spesso l’esito di importanti campagne di restauro e di studio, avviate insieme all’Ufficio diocesano Beni culturali, volte a recuperare un patrimonio artistico ricco e diffuso, e sostenute dal progetto “Mi sta a cuore” che sensibilizza anche il privato e la società civile nella cura di questi capolavori.
In questo particolare caso, ben quattro opere in terracotta policroma sono state oggetto di recupero, studio e restauro, con approccio multidisciplinare. Una convenzione firmata nel 2018 – tra Diocesi di Padova, Centro interdipartimentale Ricerca, Studio e Conservazione dei Beni Archeologici, Architettonici e Storico-Artistici dell’Università di Padova e Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso – ha, infatti, favorito l’utilizzo di nuove e avanzate tecnologie che hanno permesso di stabilire il numero delle ridipinture subite nel tempo dalle opere, il periodo storico dei diversi interventi, la tecnica adottata per le finiture, i pigmenti e i leganti utilizzati e ancora le tipologie di impasto, la tessitura e la composizione del materiale, offrendo quindi utili e fondamentali elementi per determinare provenienza e in taluni casi attribuzione.Il valore aggiunto della mostra A nostra immagine sta proprio nelle parole del direttore del Museo diocesano e curatore Andrea Nante: “A Padova ha lavorato per anni Donatello, la sua bottega era proprio a ridosso della Basilica di Sant’Antonio, Donatello ha fatto scuola in città e dopo di lui altri artisti – Bellano, Giovanni De Fondulis, Andrea Riccio – arrivarono e diedero vita a capolavori in pietra, marmo, bronzo e terracotta. Lavorare a questa mostra ci ha permesso di recuperare storie che non conoscevamo, alcune ricche di aneddoti, altre che ancora ci incuriosiscono; di portare letteralmente alla luce alcuni “inediti”, una fra tutte la “Madonna del monastero della Visitazione”, la cui destinazione originaria è ancora avvolta nel mistero. E grazie alle ricerche avviate la mostra ci ha permesso, con l’aiuto di qualificati studiosi, di confermare alcune attribuzioni e anche di darne di nuove, come è il caso della Madonna che proviene dal Museo del Bargello di Firenze, finora ritenuta di Antonio di Chellino, che Francesco Caglioti attribuisce ora a Pietro Lombardo». La mostra presenta esempi della produzione artistica in terracotta, sviluppatasi particolarmente nell’area padana proprio per la facilità di recupero della materia prima, accanto ad alcune sculture in terracotta provenienti dal Museo del Louvre (una Madonna con Bambino di Donatello), dal Museo del Bargello e da collezioni private. Presente anche la copia in gesso dipinto della cosiddetta Madonna Borromeo, il cui originale, attribuito recentemente a Giovanni da Pisa, allievo di Donatello a Padova, dalla chiesa parrocchiale di Lissaro (Pd) è giunto dopo una serie di peripezie al Kimbell Museum di Forth Worth, in Texas. Nell’occasione della mostra il pubblico ecco vedere ricomposto il Compianto di Andrea Riccio, oggi diviso tra la chiesa padovana di San Canziano e i Musei Civici di Padova. Esposti anche alcuni inediti, tra cui una Madonna con il Bambino, salvata da una clarissa dopo la soppressione del Convento padovano di Santa Chiara in età napoleonica, custodita fino a poco tempo fa nella clausura del Monastero della Visitazione in Padova, e ora restituita al suo aspetto originario dopo un importante restauro. Per la prima volta vengono presentati, in una suggestiva installazione, i frammenti superstiti di una Deposizione, gravemente danneggiata nel bombardamento della chiesa di San Benedetto a Padova dell’11 marzo 1944. La Madonna scolpita dal Riccio è elegantissima, con la corona in testa sui capelli chiari, la veste rossa e un mantello azzurrissimo con borchie e fiori dorati. Il suo bambino Gesù non ne vuole proprio sapere di stare fermo sulle sue ginocchia, e fa una smorfia insofferente e capricciosa. La scultura del Riccio – soprannome dell’artista Andrea Briosco – è una delle molte opere della mostra al Museo Diocesano di Padova, riaperto in questi giorni al pubblico dopo una settimana di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria che ha colpito il Paese. In mostra, ventuno sculture in terracotta raccontano un’epoca, fanno respirare il clima delle botteghe artistiche padovane tra fine Quattrocento e primo Cinquecento; disegnano il panorama di una devozione popolare diffusa che si soffermava a mani giunte di fronte a questi delicati e poetici manufatti, nelle chiese, sui capitelli, al chiuso di conventi, monasteri e luoghi privati.
Carlo Franza