25305-Leonardo_da_Vinci_-_The_Last_Supper_high_resOggi, 9 aprile 2020,  è il  Giovedi  Santo  per i Cristiani e per la Chiesa Orante, si ricorda il  commiato di Cristo  prima di salire al Calvario, prima di portarsi alla Passione e alla Crocifissione. E’ bene ricordarlo in questi giorni drammatici, perché  la Pandemia  del 2020 nel mondo ha fatto vittime e portato dolore. Stasera  anche nella  Basilica  Cattedrale di San Pietro che si elèva  sulla Tomba di Pietro primo Apostolo, il Papa terrà in mondovisione -nonostante  senza  fedeli-  la cerimonia  In  Coena DomiLeonarda_da_vinci,_last_supper_01ni.

Ora,  tra tutte le  raffigurazioni dell’Ultima Cena di Cristo, quella di Leonardo, un affresco  per il Cenacolo di Milano nel Refettorio di  Santa Maria  delle Grazie, rappresenta il capolavoro eccelso. Impresa maestosa,  cui  dovette pensare Leonardo quando, negli anni del suo soggiorno milanese, Ludovico il Moro gli chiese di affrescare una parete del refettorio di Santa Maria delle Grazie con un dipinto che avrebbe dovuto riprodurre l’ultima cena di Gesù tra gli apostoli, uno degli episodi più importanti del Nuovo Testamento.Sebbene molti artisti avessero affrontato questo soggetto, il maestro volle tentare un approccio nuovo, rivoluzionario, realizzando la più celebre rappresentazione dell’Ultima Cena. L’opera, datata tra il 1494 e il 1498, avrebbe dovuto immortalare il momento più intenso del dramma, l’Ultima Cena, il commiato,  quando Cristo annuncia il tradimento da parte di uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota. Jesús_en_La_Última_Cena,_de_Leonardo_da_VinciPer questo sarebbe stato necessario ritrarre le espressioni dei singoli attori, in particolare quelle di Giuda e di Cristo, fermandole nell’esatto istante. Per fare questo, Leonardo volle rintracciare i modelli più adatti tra la gente comune, per poi schizzarli sui suoi taccuini e proiettarli sulla parete da dipingere.Ultima_Cena_(nomi) L’opera dipinto parietale ottenuto con una tecnica mista a secco su intonaco ( formato 460 x 880) avrebbe comportato non pochi ritocchi, interventi successivi, ripensamenti, azioni impossibili da realizzare con la tecnica dell’affresco, dal momento che, una volta asciugatosi, l’intonaco non avrebbe consentito di apportare eventuali correzioni. Il maestro inventò pertanto una nuova tecnica: ovvero dipingere direttamente con la tempera sul muro adeguatamente trattato. Leonardo, dopo aver steso un intonaco piuttosto ruvido, soprattutto nella parte centrale, e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, avrebbe lavorato al dipinto ricorrendo a una tecnica tipica della pittura su tavola. La preparazione era composta da una mistura di carbonato di calcio e magnesio uniti da un legante proteico. Prima di stendere i colori Leonardo interponeva un sottile strato di biacca (bianco di piombo), che avrebbe dovuto far risaltare gli effetti luminosi. Seguiva la stesura dei colori a secco, composti da una tempera grassa realizzata probabilmente emulsionando all’uovo oli fluidificanti. Obr3800px-Leonardo,_ultima_cena_(restored)_04L’opera era già terminata nel 1498, visto che Luca Pacioli il 4 febbraio di quello stesso anno la ricordò come compiuta. Purtroppo, alcuni cedimenti verificatisi appena una ventina di anni dopo, mostrarono il fallimento della tecnica leonardiana, a contatto con l’umida parete retrostante. I danni erano talmente gravi che Giorgio Vasari, che vide il Cenacolo nel maggio del 1566, scrisse: “non si scorge più se non una macchia abbagliata”.  Eppure il capolavoro ha resistito, salvandosi persino dal bombardamento dell’agosto del 1943. Si pensi inoltre che all’inizio del XIX secolo le truppe napoleoniche trasformarono il refettorio in bivacco e stalla.  L’opera subì numerosi tentativi di restauro nel tempo, che cercarono di porre rimedio ai danni, stabilizzando le cadute e, spesso, provvedendo a vere e proprie ridipinture. Quello del 1977 mobilitò scienziati, critici d’arte e restauratori di tutto il mondo. La superficie del Cenacolo era ormai ovunque scrostata e lesionata; in milioni di interstizi microscopici si era infilata la polvere, trattenendo l’umidità delle pareti, e creando così le condizioni per la graduale e inesorabile scomparsa del dipinto. Nel lavoro di ripulitura si ebbe modo di constatare che il Cenacolo era stato parzialmente spalmato di cera per essere predisposto a un distacco che non fu mai eseguito.800px-Leonardo_da_Vinci_006
Il miscuglio di colle, resine, polvere, solventi e vernici, sovrapposte nei secoli in maniera disomogenea, avevano peggiorato le condizioni della pellicola pittorica. Solo una meticolosa opera di restauro, sostenuta da rilievi ed esami tecnologici approfonditi, ha permesso di restituire all’umanità uno dei capolavori più travagliati della storia dell’arte. Durante il restauro fu scoperto anche il buco di un chiodo piantato nella testa del Cristo: qui Leonardo aveva appeso i fili per disegnare l’andamento di tutta la prospettiva (punto di fuga). E furono riscoperti anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo: questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo in seguito all’apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina. Altre parti apparvero purtroppo irrecuperabili, come la parte inferiore del viso di Giovanni. Nel 1980 il capolavoro è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, assieme alla chiesa e al convento domenicano limitrofo. Dentro la scatola prospettica della stanza, illuminata da tre finestre sul retro e con l’illuminazione frontale da sinistra che corrispondeva all’antica finestra reale del refettorio, Leonardo ambientò in primo piano la lunga tavola della cena. Al centro, la figura isolata di Cristo, con le braccia distese, il capo reclinato, gli occhi socchiusi e la bocca appena discostata, come se avesse appena finito di pronunciare la fatidica frase (“In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui.  Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte…). Gesù costituisce l’asse centrale della scena compositiva dove ogni particolare è curato con estrema precisione. Alcuni elementari espedienti prospettici contribuiscono a rendere l’effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, in un raffinato trompe l’oeil.
Attorno a Cristo gli Apostoli, disposti in quattro gruppi di tre, generano come delle ondate che, simili a un’eco delle sue parole, si propagano a partire dalla sua figura, generando stati d’animo differenti: più forti ed espressivi negli apostoli vicini, più moderati e increduli in quelli alle estremità. Ogni singola condizione psicologica è approfondita attraverso i moti dell’animo, sebbene la percezione complessiva dell’insieme rimanga unitaria. Sopra l’Ultima Cena si trovano tre lunette, in larga parte autografe, contenenti stemmi degli Sforza, racchiusi in ghirlande di frutta, fiori e foglie, e iscrizioni su sfondo rosso.

Carlo Franza

 

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