Il MoMA licenzia per il Coronavirus. Il Museo d’Arte Moderna di New York è in affanno. Anche l’arte internazionale subisce il dramma di questa peste planetaria.
Il MoMA licenzia in tronco tutti i dipendenti del Dipartimento Educativo e non è il solo museo a tagliare il personale. Poche sorprese, è solo il modello americano. Ci notifica l’agenzia “Americans for the Arts” che l’impatto dell’emergenza Covid-19 sul mondo dell’arte negli Stati Uniti è economicamente quantificabile in una perdita di 4,5 miliardi di dollari, e ciò solo fino ad ora. Per avere un quadro ampio dell’enorme danno economico, occorre sapere che l’arte e la cultura rappresentano il 4,5% del PIL dell’intera nazione, con un giro di 878 miliardi di dollari e un bacino di 5 milioni di posti di lavoro; che in queste ultime settimane si sono drammaticamente ridotti.Non è poco credetemi, mentre qui in Italia molti artisti non si rendono ancora conto del dramma cui andranno incontro. Alla luce dei segni meno-meno, storditi dai numeri che fanno impallidire, e da un futuro prossimo terrorizzante i musei americani hanno deciso di dar via ai tagli al personale. E badate bene, non sto parlando di gallerie e piccoli centri d’arte, ma di istituzioni gigantesche, come il Guggenheim di New York, il MOCA e il LACMA di Los Angeles, che aveva investito 750 milioni di dollari per il suo ambizioso piano di ristrutturazione. Lo SFMoMA di San Francisco ha licenziato ben 300 impiegati. E anche il MoMA di New York, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea più importante e potente al mondo ha dato il via al suo triste percorso di licenziamenti; basti sapere che al dipartimento educativo lo staff ha ricevuto l’ultimo stipendio il 30 marzo 2020. E se la situazione è oggi questa, cosa succederà dopo, quando la situazione tornerà – se tornerà- a normalità? Ecco cosa si legge nella mail inviata a tutti i dipendenti, licenziati a tambur battente da un giorno all’altro: “Tutti gli altri impegni futuri vengono annullati e nessun ulteriore pagamento sarà fatto”; e ancor più amara la conclusione della lettera per quando dovesse in futuro il Museo riaprire: “passeranno mesi, se non anni, prima di poter tornare al budget e ai livelli operativi necessari per riattivare i servizi di formazione del dipartimento”. E’ certo che un museo senza formazione e senza didattica, è come avere un corpo senza sangue.
Ci informa “l’American Alliance of Museums”che i musei negli Stati Uniti stanno attualmente perdendo almeno 33 milioni di dollari al giorno; dato impressionante che lascia sbigottiti tutti e che allarma ancor prima di verifiche in atto perché il patrimonio del MoMA ammonta a 1 miliardo di dollari, alla luce dell’ultima dichiarazione dei redditi. Questo dato lascia vedere che questo museo non è con l’acqua alla gola, e il direttore del MoMA Glenn D. Lowry, ha uno stipendio di 2,2 milioni di dollari circa, più diversi bonus. Ma questi sono dati che vivevano prima dell’emergenza Covid-19. Il museo era rimasto eccezionalmente chiuso per quattro mesi anche nel 2019, per consentire il completamento dei lavori di ristrutturazione, un progetto da 400 milioni di dollari. Si osservi che non sono pochi quattro mesi di chiusura per un museo che, ogni anno, guadagna circa 30 milioni di dollari per i biglietti, per una incidenza sul bilancio di circa il 14%. C’è da dire che la chiusura potè avvenire anche grazie a una munifica donazione di 200 milioni di dollari proveniente dall’estate di David Rockefeller, derivata dalla vendita di parte della collezione in asta da Christie’s. E poi non è da trascurare che chairman del MoMA è Leon David Black, CEO del gigante della private equity Apollo Global Management, che gestisce oltre 300 miliardi di dollari. E poi è lo stesso Leon David Black contro la cui filantropia tossica si è scagliato più volte Michael Rakowitz. Ed è sempre quel David Black che investe in società di contractors, mercenari, armi e prigioni. Ma queste sono notizie a latere che fondamentalmente c’entrano poco col museo se non per l’ennesimo investimento e lo spietato profitto. Mi chiedo, può essere questo glorioso modello americano essere preso a termine di paragone per la gestione dei nostri musei, applicandone simili strategie e simili politiche culturali ?
Carlo Franza