Al-Shabaab è il gruppo jihadista più feroce in Africa. Sono i rapitori di Silvia Romano. E’ l’Islam più oscurantista che abbiamo nel mondo.
La rete del terrorismo islamico si presenta ai nostri giorni come un unico, grande network internazionale, con un’unica regia secondo un unico piano di conquista globale del pianeta. La conferma ci giunge, mattone su mattone, come in un grande puzzle, dalle analisi compiute dagli esperti. La notizia della liberazione di Silvia Romano, la cooperante sequestrata nel novembre 2018 nel villaggio di Chakama, in Kenya, da parte dei miliziani dell’organizzazione terroristica somala di ispirazione religiosa islamista “al Shabaab” ci porta a far luce e far conoscere ai nostri lettori una delle organizzazioni politiche di fede islamica più feroce e criminale in Africa, responsabile di una serie infinita di omicidi, violenze, e soprattutto legata organicamente alla “internazionale islamista” di Al Qaeda e dello Stato islamico dell’ISIS.
Della crudeltà e della truculenza dei miliziani “al-Shabaab”notizie preziose ci vengono da un’indagine condotta dall’Africa Center for Strategic Studies (aprile 2018), secondo cui al-Shabaab si configura come il gruppo jihadista africano più cruento in assoluto: circa il 58% delle azioni terroristiche di matrice islamica (1,749 su 2,933) perpetrate in Africa nel 2017 sono riconducibili ai militanti di al-Shabaab – responsabili altresì del numero maggiore di vittime (4.834 su 10.535), corrispondente al 46% del totale. Dal 2016, la cellula qaedista somala ha sorpassato Boko Haram per numero di decessi provocati, affermandosi pertanto come il network jihadista più letale in Africa.
Ecco chi sono, -ad iniziare dalla storia, dalle origini e dall’evoluzione- questi terroristi somali denominati al-Shabaab. La nascita di al-Shabaab (Harakat al-Shabaab al-Mujahiddin) si inquadra in un singolare contesto storico per la Somalia, contrassegnato proprio dall’esperienza dell’Unione delle Corti Islamiche – una rete di gruppi islamici che nel 2006 ha assunto il controllo di Mogadiscio. Si è cercato nell’autunno 2006 da parte delle truppe etiopi di intervenire in supporto del debole Governo transitorio somalo, determinando la sconfitta e la conseguente dissoluzione dell’Unione.
Al-Shabaab, che in arabo vuol dire “gioventù”, iniziò a svilupparsi proprio in questo periodo, emergendo come la fazione islamica più giovane, disciplinata e radicale delle Corti. E con l’uscita di scena di queste ultime, al-Shabaab ha acquisito maggiore immagine, configurandosi ben presto come il gruppo jihadista somalo più strutturato e autorevole. Via via la cellula terroristica ha esteso la sua influenza su vari territori, imponendo alle popolazioni locali una versione molto dura della sharia – la legge coranica. Per quanto concerne l’aspetto ideologico, al-Shabaab ha lasciato leggere la sua duplice anima: una più radicale, influenzata dalla dottrina wahabita tipica dei Paesi del Golfo e un’altra più ‘autoctona’ e nazionalista, che mira alla costituzione di un Emirato nel Corno d’Africa.
Nel tempo al-Shabaab ha tentato l’affiliazione con al-Qaeda per acquisire nuove risorse e denaro e per espandere ulteriormente il suo network; gli estremisti terroristi somali hanno dunque intrapreso una stretta collaborazione con il gruppo qaedista guidato da Osama Bin Laden, ma il leader di al-Qaeda preferì non ufficializzare i rapporti con al-Shabaab, sicchè il legame si concretizzò solamente nel 2012 -dopo la sua morte- con Al-Zawahiri al comando. Dopo la sua affiliazione con al-Qaeda, il gruppo somalo si è chiaramente rafforzato e le azioni offensive dei suoi militanti si sono estese anche nel vicino Kenya, paese dove è stata rapita Silvia Romano. Nel 2014, dopo la morte del suo storico leader Abdi aw-Mohamed Godane (ucciso da un raid areo statunitense), al-Shabaab ha vissuto una fase involutiva, di profonda instabilità e le faide interne hanno rischiato di minarne la solidità e la capacità organizzativa. L’ascesa al vertice di Abu Ubaidah ha invece riconsegnato una certa coesione e vitalità al gruppo jihadista. Attualmente, al-Shabaab esercita un forte controllo sull’entroterra somalo, dove dispone di numerose basi operative. E’ proprio da qui che vengono sistematicamente pianificati gli attacchi contro i suoi principali bersagli/obiettivi: le forze dell’Amisom (Missione dell’Unione Africana attiva in Somalia), le rappresentanze diplomatiche e i luoghi frequentati principalmente dagli stranieri. Ecco il teatro di guerra di al-Shabaab.
La Somalia rappresenta innegabilmente il principale teatro operativo di al-Shabaab. Negli ultimi anni, i jihadisti hanno perpetrato un ingente numero di attacchi contro una serie di obiettivi specifici a Mogadiscio, tra cui alberghi che ospitano stranieri, posti di blocco militari ed aree adiacenti ai palazzi governativi. L’azione terroristica più cruenta è quella condotta, tramite un auto bomba, davanti ad un hotel non distante dal Ministero degli esteri a Mogadiscio (il 14 ottobre 2017). Il devastante attentato ha provocato la morte di oltre 320 persone (e centinaia di feriti) ed è stato definito il più grave atto terroristico nella storia della Somalia – da alcuni considerato “l’11 settembre somalo”. La capacità operativa/offensiva di al-Shabaab trascende i confini nazionali e trova la propria manifestazione anche in altri stati confinanti. Dopo l’affiliazione con al-Qaeda, il gruppo somalo ha iniziato ad estendere il suo raggio d’azione, compiendo attentati in Kenya. Nel settembre 2013, i fondamentalisti somali hanno rivendicato l’attacco armato al centro commerciale Westgate di Nairobi, che ha cagionato la morte di oltre 60 persone (tra cui diversi turisti stranieri). Un anno e mezzo dopo, nell’aprile 2015, un commando di terroristi di al-Shabaab ha fatto irruzione all’interno della North Eastern Garissa University, università kenyiota situata a soli 150 km dal confine con la Somalia. Il bilancio dell’offensiva è di 150 vittime, tutti cristiani. Un dramma immane, questo di chi ha perso la vita per la sua fede. Poi, esattamente il 15 gennaio 2019 , il Kenya ha vissuto l’ennesimo e ultimo attentato in ordine temporale: alcuni militanti della cellula jihadista hanno preso d’assalto l’hotel Dusit di Nairobi, provocando 15 morti. Tragedie immense perché al-Shabaab mira a destabilizzare l’attività economica kenyota, colpendo i luoghi turistici e le attività commerciali del Paese che costituiscono degli introiti essenziali per le casse statali. Tanti attacchi in Kenia, e l’ostilità degli estremisti somali verso questo paese sono da ricercare nel contributo che il Kenia fornisce (in termini di truppe) alla missione dell’Unione Africana Amisom. A ciò va ricondotto l’attacco perpetrato dai miliziani di al-Shabaab (nel gennaio 2016) contro una base militare dell’Amisom a conduzione kenyota nella località somala di El Adde – circa 150 soldati di Nairobi hanno perso la vita durante l’assalto e si tratta della sconfitta militare più pesante per le Kenyan Defence Forces (KDF). Oltre ai frequenti attacchi in Kenya, al-Shabaab ha rivendicato attentati altresì in Uganda, Etiopia e Gibuti. Negli ultimi anni al-Shabaab si è ritrovato in casa un insidioso concorrente, l’Isis. Nel 2015, uno dei leader spirituali del gruppo jihadista al-Shabaab somalo Abdul Qadir Mumin ( con il suo plotone di una ventina di seguaci) ha giurato fedeltà al Califatto di Abu Bakr al-Baghdadi, provocando una scissione interna al movimento di al-Shabaab. Dopo l’affiliazione a Daesh, Mumim si è rifiugiato nella zona montuosa del Galgala (nella regione del Puntland) e qui sono state allestite le prime basi operative della branca somala dell’Isis. La nuova cellula jihadista, seppur di dimensioni ridotte, è riuscita ad incorporare al suo interno alcuni clan locali esclusi dalle politiche nazionali di Mogadiscio. In più, fanno parte del network terroristico di Mumim anche ex miliziani di al-Shabaab e combattenti dell’Isis provenienti dalla Siria, Iraq e Libia. Lo sviluppo e il consolidamento dello Stato Islamico in Somalia ha destato non poche preoccupazioni tanto che gli Usa hanno intrapreso una serie di raid aerei (con droni partiti dall’Etiopia) contro i membri dell’Isis. Per quanto concerne i rapporti tra i due gruppi fondamentalisti, questi sono chiaramente conflittuali. La leadership di al-Shabaab ha annunciato una ferrea presa di posizione contro Mumim e suoi seguaci, minacciando di morte chi sceglieva di unirsi all’organizzazione rivale, minaccia poi messa in pratica, e facendo si che l’Isis rispondesse con ritorsioni e rappresaglie agli avversari.
Ma nonostante queste divisioni interne, la presenza dello Stato islamico, la capacità militare di al-Shabaab non è stata alterata. Lo si vede dagli attentati, dai rapimenti – ultimo quello di Silvia Romano- le truculente violenze portate avanti negli ultimi anni, così estreme, così impressionanti, tali da attribuirgli il primato di essere il gruppo jihadista più letale in Africa. Ora tocca alle nazioni del mondo, ad iniziare dagli Stati Uniti, colpire a morte questo serpente velenosissimo.
Carlo Franza