Così nacque lo Stemma della Repubblica Italiana. Lo realizzò il massone e valdese Paolo Paschetto.
Ieri 2 giugno era la Festa della Repubblica. Voglio oggi ricordarla così. Nella scheda per il referendum del 2 giugno del 1946 la Repubblica era stata rappresentata da due fronde di alloro e quercia con al centro la testa dell’Italia turrita e sullo sfondo il profilo della penisola. Dopo quella storica data, la Presidenza del Consiglio dei Ministri nominò una Commissione incaricata di studiare il nuovo emblema dello Stato che indisse un concorso tra gli artisti italiani. La gara non fu facile e solo nel 1948 l’Italia ebbe il suo stemma, così ufficialmente descritto: composto di una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota di acciaio dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro di rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale “Repubblica Italiana”. Dal 5 maggio 1948 l’Italia repubblicana ha il suo emblema, al termine di un tortuoso percorso creativo durato ventiquattro mesi, due concorsi pubblici e un totale di 800 bozzetti, presentati da circa 500 cittadini, fra artisti e dilettanti.
Tutto iniziò nell’ottobre del 1946, quando il Governo di De Gasperi istituì una Commissione, presieduta da Ivanoe Bonomi, per la realizzazione dell’emblema della neonata Repubblica italiana. Appena uscita dal referendun istituzionale, l’Italia aveva necessità di un simbolo che sostituisse lo stemma del Regno d’Italia, e quello temporaneo stampato sulle schede del referendum –un’Italia circondata da una cinta di torri tra due rami di alloro – non era soddisfacente.
Si decise allora di bandire un concorso nazionale aperto a tutti, in modo che il futuro emblema veniva percepito dallo stesso Bonomi come il frutto di un impegno corale, il più ampio possibile. A leggerlo si osserva che il brief era scarno ma rigoroso, con esclusione dei simboli di partito, inserimento della Stella d’Italia (una stella bianca a cinque punte che da molti secoli rappresenta la terra italiana) e “ispirazione dal senso della terra e dei comuni”. Ai primi cinque classificati sarebbe andato un premio di 10.000 lire (circa mezzo milione di oggi). Ecco il primo concorso. Al concorso arrivano 341 domande di candidatura e 637 bozzetti in bianco e nero. Solo cinque vennero selezionati. Ai cinque vincitori la Commissione chiede di fare nuove proposte basate su un brief più preciso: “una cinta turrita che abbia forma di corona”, come simbolo della resistenza contro il nazifascismo, racchiusa da una ghirlanda di fronde della flora italiana, con la rappresentazione del mare in basso, la stella d’Italia in alto e le parole “unità” e “libertà”. La scelta cadde sul bozzetto di Paolo Paschetto, al quale andarono ulteriori 50.000 lire e l’incarico di preparare il disegno definitivo. Il disegno venne trasmesso dalla Commissione al Governo per l’approvazione, e fu esposto insieme con gli altri finalisti in una mostra in Via Margutta, nel febbraio 1947.L’emblema, però, non piacque, qualcuno lo definì addirittura una “tinozza”, mentre ognuno diceva la sua, non solo, e voleva uno dei suoi simboli all’interno: i cattolici avrebbero voluto al centro la croce, i comunisti la falce e il martello, ecc. E anche Alcide de Gasperi in una lettera a Umberto Terracini lo definì “un simbolo non molto ben riuscito e rappresentativo”. Il secondo concorso. Fu nominata una nuova Commissione, presieduta da Giovanni Conti, che bandì attraverso la radio un secondo concorso. Del nuovo bando non rimane alcuna traccia negli archivi, ma secondo l’esame di alcune lettere, risulta che l’indicazione – quindi il nuovo brief – fosse quella di privilegiare un simbolo legato all’idea del lavoro, a richiamo del primo articolo della Costituzione Italiana. Anche questa volta, su 197 disegni risultò vincitore Paolo Paschetto, il cui elaborato grafico fu sottoposto a ulteriori ritocchi da parte dei membri della Commissione. Finalmente la proposta approdò all’Assemblea Costituente dove, con non pochi contrasti, fu approvata nella seduta del 31 gennaio 1948. Ultimati altri adempimenti e stabiliti i colori definitivi, il 5 maggio il presidente della Repubblica Enrico De Nicola ratificò la scelta firmando il decreto legislativo n. 535, che consegnò all’Italia il suo simbolo.
L’autore del bozzetto che era stato selezionato e che poi venne sottoposto all’approvazione dell’Assemblea Costituente era Paolo Paschetto, massone e valdese. Nato il 12 febbraio 1885 a Torre Pellice (TO) dove è morto il 9 marzo 1963, Paolo Paschetto, ha vissuto per un lungo periodo a Roma (sue sono le vetrate della chiesa valdese di Piazza Cavour e della chiesa metodista di via XX Settembre), è stato attivo nel campo della decorazione d’interni e delle arti applicate, dell’illustrazione e della grafica editoriale, dell’incisione e della pittura di paesaggio. Professore di Ornato all’Istituto di Belle Arti di Roma dal 1914 al 1948, fu artista polivalente, passando dalla xilografia alla grafica, dall’olio all’affresco, dalla pittura religiosa al paesaggio. Fu autore, tra l’altro, di numerosi francobolli, compresa “la rondine” della prima emissione italiana di posta aerea. Il Comune di Roma gli ha intitolato il viale sito all’interno di Villa Torlonia dove gli era stata dedicata nel 2016 anche una mostra e dove, presso la Casa delle civette, sono conservate alcune sue opere e bozzetti.
Carlo Franza