Che l’arte contemporanea, attraverso biennali, neo-istituzioni museali e mercati finanziari, sia diventata oggi un fenomeno globale, è un dato certo. Un libro dal titolo “ Utopian Display. Geopolitiche curatoriali” a cura di Marco Scotini( Quodlibet Naba Insights, 2019, pp. 224, euro 20,00) raccoglie idee, progetti, aperture e lavoro curatoriale.  Molto meno certo è che il paradigma “Arte”, per come si è istituito nella sua eredità modernista, appartenga a una moltiplicazione di visioni, a una latitudine di storie diverse e incrociate, a contesti trasversali e differenti. Nella scena artistica contemporanea si ha l’impressione che “essere uguali” non significhi altro che appartenere alla stessa istituzione Arte. Emanciparsi vorrebbe dire allora appartenere all’Arte come a uno stesso mondo, condividere un mondo già istituito che, come tale, non può che riprodurre all’infinito ciò che è già implicito in esso. Nonostante tutto, il nostro modello di arte continua ad essere molto simile a quello di una istituzione in grado di determinare l’integrazione delle minoranze nella misura maggioritaria (nell’identità, nell’unità) oppure la loro esclusione. E’  una raccolta di scritti molto interessanti che cerca di interrogarsi sul ruolo dell’arte contemporanea nella società. Questa antologia di scritti raccoglie esperienze curatoriali maturate negli ultimi trent’anni in differenti contesti geopolitici, sia per gli effetti della globalizzazione -pur con molti scetticismi-  che per le più recenti premesse della cosiddetta de-globalizzazione, dall’Africa alla Cina, dall’India all’America Latina, dal Medio Oriente fino allo spazio post-sovietico. L’antologia Utopian Display cerca di raccogliere esperienze curatoriali maturate negli ultimi anni portate avanti da autori, tutte appartenenti a differenti generazioni, e  tra le voci più importanti e sperimentali della ricerca curatoriale contemporanea.  

Questo l’Indice: Guido Tattoni, Direttore NABA, Nuova Accademia di Belle Arti; Italo Rota, NABA Scientific Advisor; Marco Scotini, Arte e curatela nella geografia del potere.

  • Pratiche istituenti e critica istituzionale. (Fare e disfare istituzioni)
    • Anselm Franke, Musei auto-espropriati
    • Ute Meta Bauer, The Making of an Institution
    • Hou Hanru, Da Open Museum a Open City
    • Vasif Kortun, Istituzioni d’arte nell’epoca della crisi della dimensione pubblica
    • Pierre Bal-Blanc, La logica culturale della fondazione d’arte contemporanea nell’era del tardo capitalismo
  • The International Art English. Procedure di inclusione/esclusione
    • Geeta Kapur, La curatela in mondi agonistici
    • Gerardo Mosquera, Good-bye identità, benvenuta differenza. Dall’arte latino-americana all’arte dell’America Latina
    • Tina Sherwell, Considerazioni geopolitiche sull’arte contemporanea palestinese
    • What, How & For Whom/WHW, Cosa vuoi sapere?
    • Charles Esche, Un Picasso in cerca di contesto
  • Disimparare la storia e riscrittura della memoria
    • Simon Njami, La città nel giorno azzurro
    • Rasha Salti, Sulla postcolonia e il museo. Pratica curatoriale e decolonizzazione della storia delle esposizioni
    • Andrea Giunta, La svolta iconografica. La denormalizzazione dei corpi e delle sensibilità nell’opera delle artiste latino-americane
    • Miguel A. López, Il Museo Travestito
    • Carol Yinghua Lu, L’esposizione come esposizione
  • Biografie

E’ stato chiesto a Scotini in un’intervista   di spiegare cosa intendesse  per geopolitiche curatoriali. Ecco cosa ha detto: “Il libro è il primo di una collana editoriale, pubblicata da Quodlibet e promossa da NABA, che vedrà a breve la stampa di altri volumi dedicati a diverse discipline, tutte interne all’Accademia. Per questo il titolo “Utopian Display” fa riferimento a quanto abbiamo fatto nella scuola di curatela a partire dal 2003: è una sorta di password che abbiamo utilizzato in più occasioni per seminari internazionali con curatori e artisti, declinandolo di volta in volta in rapporto all’exhibition making, alle biennali d’arte, all’allestimento espositivo. Ora il format è quello di un libro con un contenuto totalmente nuovo e che mette a confronto l’attuale esplosione policentrica dell’arte contemporanea con il nuovo ordine mondiale. Se pensiamo che le biennali nel mondo erano quattro e fino agli anni ’90 (la Biennale di Venezia, quella di San Paolo, dell’Avana e documenta a Kassel) mentre ora sono oltre trecento, ci dobbiamo chiedere quale ruolo abbia avuto il fenomeno della globalizzazione degli ultimi venti anni all’interno del sistema dell’arte. Viceversa: in che modo l’estensione a tutte le latitudini del sistema dell’arte occidentale abbia accompagnato, promosso e legittimato culturalmente, la globalizzazione. Dunque, “geopolitiche curatoriali” ha questo significato. Ricorrere al termine “geopolitica” (nell’accezione del primo Yves Lacoste) ha senso di fronte alla proliferazione delle identità nazionali contemporanee e alla tensione e competizione dinamica tra loro (“i mondi agonistici”, come li chiama Geeta Kapur nel libro). Mi viene in mente, tanto per fare un esempio, l’emersione dal 2015 del Padiglione Catalano alla Biennale di Venezia. Di fatto se l’assetto territoriale della guerra fredda è entrato in crisi non si deve tanto al tentativo della cancellazione dei confini nazionali da parte del capitale quanto alla loro moltiplicazione”. Non è poco tutto questo. E soprattutto lo trovo di un rigore analitico profondo, sapientemente profondo, capace di segnare in modo significativo il progettare l’arte contemporanea oggi, e soprattutto domani.

Carlo Franza

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