L’Almach Art Gallery (Via Gaudenzio Ferrari- Milano) è una  delle gallerie di riferimento del recente lavoro di Anna Spagna, artista italiana singolare, che fin dagli anni Ottanta del Novecento ha saputo muoversi nell’arte contemporanea con vivace creatività e poliedrica  visione del formarsi dell’arte quotidiana,    misurandosi poi sulla storia delle arti visive alla luce di capitoli fortemente innovativi quali l’attenzione al nouveau- realisme, alla pop-art  italiana  e alla poesia visiva. Affermo subito che il lavoro di Anna Spagna l’ho seguito fin dagli inizi, insieme a Tommaso Trini, nello studio che l’artista aveva in Via Maroncelli a Milano. E più volte ne ho scritto sul Il Giornale con articoli che hanno incorniciato il suo lavoro iniziale quasi fosse un recupero del superfluo e del caduco, ovvero di quel materiale che dopo l’uso  la massa, ovvero il popolo del benessere,   accontona o getta. Lo fu allora con i sacchi della spazzatura o della spesa, e non solo, lo è ancora oggi con i  catarifrangenti alla luce dell’invito ad  usare meno automobili e più bici, per via di tutta la disamina sull’’ambiente.  E’ pur vero che nel  lungo periodo di quarantena vissuto in Italia nella primavera del 2020, dovuto alla pandemia mondiale di Covid-19, Anna Spagna ha colto l’opportunità  di accendere un nuovo capitolo della sua  ricerca artistica, ovvero tutta  una serie di opere inedite, esposte presso l’Almach Art Gallery  con la  mostra “Rifrazioni plastiche” a cura di Luca Temolo Dall’Igna, animatore illuminato dell’arte contemporanea.

In questa scelta mirata che si coglie nella mostra in corso a Milano fino al 31 ottobre 2020, vivono opere di sorprendente visualità che attingono anzitutto dalle sperimentazioni artistiche e letterarie del movimento della poesia visiva e visuale, attive  soprattutto negli anni ‘60 nel clima delle Nuove Avanguardie. Anna Spagna ebbe modo di conoscere tutto il sistema e i membri che nelle avanguardie gravitavano attorno ai new-media, e ai transiti tra parola e immagini; e  non solo i promotori del gruppo  che si muoveva a Firenze -e non solo- con  Eugenio Miccini, Luciano Ori  e soprattutto l’artista Lamberto Pignotti. Anna Spagna ebbe modo di vivere tutto ciò attraverso il marito, quel nobile gallerista e intellettuale  che è stato Gianfranco Bellora -amico mio come pochi- , che tra gli anni ‘70 e ‘80 sostenne le ricerche verbovisuali di molti artisti italiani con l’attività prima dello Studio Santandrea e  poi del Centro Culturale d’Arte Bellora o Studio Bellora a Milano in Via Borgonuovo. Ho subito il ricordo che quando Bellora decise di chiudere la galleria di Via Borgonuovo, per l’ultima mostra dello spazio che fu di Giorgio Milani, desiderò che fosse mia la presentazione in catalogo. Un gesto che mi fece capire quanto apprezzasse la mia preparazione e la mia appartenenza alla Scuola di Giulio Carlo Argan, mio maestro e mio mentore.

Entriamo nel clima aristocratico della mostra, sulle bianche pareti  spiccano preziose teche dove l’artista ha raccolti accartocciati sacchi -diversamente da Burri- e buste della spesa con serigrafate scritte pubblicitarie.  Badate bene che questi lavori di Anna Spagna sono andati oltre il pensiero di Mario Schifano che si attivò sulla Pop Art Italiana con le scritte tipo “Esso”, “mare”, “Coca Cola”; Anna  Spagna diversamente che dalle scritte pubblicitarie messe in evidenza pittoricamente, ha nelle teche veicolato queste “reliquie” del quotidiano, del vissuto.  Preziose testimonianze del contemporaneo, sulle quali noi storici universitari dovremmo in futuro scrivere intere pagine. Un capitolo che già in quegli anni Ottanta e ancor più oggi trovo sensazionali perché segmentano la storia dei nostri tempi. E pensate che proprio negli anni Ottanta  quando si parlava della “liberazione delle donne” e della “parità uomo-donna”    l’immagine femminile entrava nell’arte di Anna Spagna anche attraverso certi sex symbol  come l’immagine della diva del cinema hollywoodiano; stupende le teche con   “Donna in nero” e “Donna in bianco”, realizzate nel 1989.

Il capitolo nuovo e sperimentale  oggi pure in mostra con una serie di opere denominate   “Catarifrangenti”, cui l’artista si è dedicata poco prima dell’inizio della quarantena in Italia, non è una ricerca a sé ma vive quel linguaggio del Nouveau Rèalisme, ovvero quel linguaggio aperto da illustrissimi nomi come Arman l’artista delle “accumulazioni” e Daniel Spoerri  autore della “Eat-Art” ovvero arte commestibile. Questi oggetti, estratti da bici in disuso, tra luci, bagliori e riflessi, occupano il punto di fuga principale delle tele, dal quale si dipartono e nel quale convergono tutte le linee prospettiche immaginarie.

La mostra di Anna Spagna poggia tutta sulla storia, sul quotidiano e sulla contemporaneità, tre momenti e tre finestre che certificano a pieno titolo l’arte come bisogno esistenziale e diario insostituibile per ogni persona.

Carlo Franza

 

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