La francese Annie Laurent e “L’islam. Ne parliamo ma lo conosciamo davvero?” La discepola di Papa Benedetto XVI spiega “perché è il Corano a ispirare gli attacchi islamici”.
Nella sua ampia diffusione storico-geografica, l’islam ha ispirato molte culture e scuole di pensiero e ha assunto forme a volte in profondo contrasto, anche violento, persino tra loro. E difficile dunque darne una prima descrizione che superi l’eccessiva generalità senza cadere già nella specializzazione. Con chiarezza e precisione, Annie Laurent in Francia, ha pubblicato nel 2017 L’Islam. Pour tous ceux qui veulent en parler (mais ne le connaissent pas) edito a Perpignano da Artége, offre delle risposte alle numerose e legittime domande che l’islam suscita, sia per la sua onnipresenza in una realtà sempre più inquietante, in Francia e nel mondo; sia per il suo progetto antropologico, giuridico, sociale e politico i cui fondamenti contrastano con quelli della civiltà europea. E quindi una sfida decisiva che l’Europa deve affrontare nel momento in cui è costretta a fare i conti con una grave crisi identitaria senza precedenti. In un tempo in cui dominano relativismo e confusione, dove l’emozione ha soppiantato la ragione, il rapporto con l’islam e i musulmani affronta due gravi insidie: il rifiuto e la passione. E tempo quindi di abbandonare ogni superficialità nell’approccio con realtà ancora troppo poco conosciute o distorte, focalizzando sull’islam uno sguardo più lucido e oggettivo, senza preconcetti e nel rispetto dei musulmani. E questo lo scopo di questo libro, che si ispira anche all’esperienza dei cristiani d’Oriente. Prefazione di Rémi Brague.
Dinanzi ai recenti attentati di Nizza e Vienna abbiamo notato tre atteggiamenti: tralasciare il movente religioso delle stragi, come purtroppo -dico purtroppo- hanno fatto esponenti politici; in secondo luogo considerare i terroristi dei folli, invasati, malati di mente, da sottoporre a visita psichiatrica; infini come terzo atteggiamento riscontrato quello di sottolineare il carattere “islamista” delle azioni di terrore, asserendo che l’islamismo sia una falsificazione del vero islam, arrivando a dire che questi terroristi sono correligionari che sbagliano. Senza giri di parole bisogna riconoscere la matrice islamica di questi attentati, uccisioni e decapitazioni, identificando il Corano – nella sua interpretazione letterale – come fonte stessa della violenza. Senza perdersi in inutili discorsi, tutti, dico tutti, devono sfogliare e leggere l’interessantissimo saggio L’Islam. Ne parliamo ma lo conosciamo davvero? (Cantagalli, pp. 264, 2020, euro 22) della francese Annie Laurent, una delle massime studiose di islam, nonché discepola di Papa Benedetto XVI che nel 2010 la nominò esperta del Sinodo speciale dei vescovi per il Medio Oriente. La Laurent mostra come non vi sia nessuna differenza sostanziale tra islam e islamismo, ossia tra una presunta religione autentica e pacifica e una sua perversione ideologica e violenta; in realtà l’islam stesso, fin dagli inizi, si presenta come un’«ideologia religiosa» «portatrice di un progetto sociale e politico, che legittima il ricorso alla guerra». Attingendo direttamente al Corano, l’autrice rileva quanto il legame tra violenza e sacro, o tra Libro e Spada, nell’islam non sia scindibile: il jihad qua non viene mai inteso a mo’ di una lotta interiore e spirituale ma nel “suo solo senso guerresco”. Cioè come un combattimento funzionale a esportare ovunque la religione di Allah. Non è un caso che nel Corano i verbi «uccidere» e «combattere» si trovino rispettivamente 62 e 51 volte. E badate bene, spessissimo, nella forma di un’esplicita esortazione divina alla conversione violenta degli infedeli. Alcuni versetti risultano proprio, a tal proposito, illuminanti: «Uccidete gli idolatri (anche i cristiani, che credono nella Trinità, nda) dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate» (9,5, il cosiddetto «versetto della spada»); «Combattete coloro che non credono in Dio e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura (ebrei e cristiani, nda), che non s’ attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati» (9, 29)». E ancora: «La ricompensa di coloro che combattono Iddio e il Suo Messaggero è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra» (5, 33)». E’ chiaro, sia chiaro a tutti, che anche le azioni terroristiche possono essere ricondotte a un’influenza diretta del testo sacro: «È evidente», avverte la scrittrice Annie Laurent, «che i terroristi si riferiscono anche al Corano per giustificare il rifiuto dell’altro e il ricorso alla violenza». Ciò nonostante taluni potrebbe obiettare che nel Corano esistono vari passaggi che predicano la misericordia, la tolleranza, il divieto di uccidere e la libertà di coscienza e di religione; ad esempio «chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un’altra è come se avesse ucciso l’umanità intera» (5, 32), a «Non vi sia costrizione nella Fede!» (2, 256) o a «Potresti tu costringere gli uomini ad esser credenti a loro dispetto? No, nessun’anima può credere se non col permesso di Dio» (10, 99-100)». C’è da chiedersi, e allora com’è da spiegare tale contraddizione? Proprio con il principio della cosiddetta «abrogazione» fissato da Allah nel Corano e poi fatto proprio da studiosi e giuristi musulmani. In base a questo criterio i passi più antichi del Corano devono essere considerati abrogati da quelli più recenti. I primi risalgono al periodo di Maometto alla Mecca (dall’anno 610 al 622), quando il Profeta era debole e rifiutato dai connazionali: in quest’ epoca le sure coraniche risultano spirituali e concilianti. I secondi fanno capo invece al periodo di Maometto a Medina (dal 622 al 632), quando l’islam comincia a essere trionfante e a imporsi con le armi nella penisola arabica: i versetti coranici, in questa fase, appaiono aggressivi e bellicosi verso i non musulmani. Tale principio è stato ricordato di recente anche da un altro studioso francese di islam, il professore emerito alla Pantheon-Sorbona Rémi Brague, in un’intervista a Famille chrétienne, ripresa da Il Foglio: «Se due versetti contengono dei comandamenti che sono in contraddizione tra di loro, il più recente mette tra parentesi il precedente»; anzi, «abroga i precedenti, in particolare quelli che parlano di pace e di tolleranza». Ed allora dice la scrittrice Annie Laurent, facendo fede a questo principio, i terroristi islamici possono sentirsi in diritto di abrogare i versetti più concilianti e di provare ad abrogare la nostra civiltà europea.
Intervistato da Juan Pedro Quiñonero di Abc, il famoso specialista in filosofia medievale (musulmana, ebraica, cristiana), professore emerito a Parigi e Monaco Rémi Brague (nella foto), ha spiegato che “tutta la terra non soggetta all’islam è minacciata. Non è solo l’Europa a essere minacciata, ma tutto il mondo non musulmano. Anche nei paesi sottoposti all’islam da secoli si trovano uomini barbuti che spiegano che la società non è ancora abbastanza islamizzata. La Francia è percepita dagli attivisti musulmani come un ventre molle dell’Europa, per via di un gran numero di uomini e donne provenienti da paesi musulmani. Non tutti sono violenti, certamente! Ma costituiscono un terreno fertile per le persone suscettibili alla radicalizzazione, bombardate da una propaganda che cerca di far loro credere di trovarsi su terra nemica”.
L’islamista Brague non sa cosa riserverà il futuro ma non esclude che le cose andranno verso il peggio. “Tutte le cause continueranno ad esserci. L’assassino di Nizza è arrivato in Francia come `rifugiato’. Come i genitori dell’assassino di Conflans-Sainte-Honorine. Anni fa, lo Stato islamico si vantava di sfruttare ondate di immigrati per portare i suoi guerrieri in Europa. Sorridevamo davanti a tanta spavalderia. Forse avremmo dovuto prendere sul serio quella minaccia e prestare maggiore attenzione a chi abbiamo accolto”. Per il Professor Rémi Brague lo jihadismo “è l’aspetto `rumoroso’ e spettacolare di un piano molto più ampio: il progetto dell’islam, quello delle sue origini: conquistare il mondo per imporre la sua Legge, come è descritto nel Corano”.
Per i musulmani questa conquista “può essere fatta con mezzi militari, ma non necessariamente. Un’infiltrazione discreta, paziente, metodica, come quella dei Fratelli musulmani, è senza dubbio molto più efficace nel lungo periodo”, secondo il professor Brague che offre anche la sua ricetta per affrontare il problema: “applicare rigorosamente le leggi già in vigore”, “espellere i predicatori dell’odio, sciogliere le loro associazioni, chiudere le moschee dove predicano, chiudere i loro account Facebook”. Inoltre il professore spiega che bisogna rispondere ai bugiardi che dicono che “tutto questo non ha nulla a che fare con l’islam”, e a chi dice che parlando delle violenze islamiche si faccia “il gioco dell’estrema destra”. A lungo termine secondo Rémi Brague è urgente controllare l’immigrazione, non tollerare le persone in situazione irregolare. Ma ciò suppone “il comportamento di uno stato convinto della propria legittimità”.
Carlo Franza