Porta Flavia, grande impresa del Fascismo. Un capolavoro dell’ingegneria sarda nell’Iglesiente a cent’anni dalla costruzione.
“Porto Flavia” è una delle meraviglie della Sardegna. Questo monumento di archeologia industriale straordinario domina una costa incantevole, regalando ai visitatori una vista mozzafiato sulle mille tonalità di blu del mare di Masua e sul suggestivo faraglione di Pan di Zucchero, monumento naturale di 133 metri. “Porto Flavia”, un capolavoro dell’ingegneria sarda costruito tra il 1922 e il 1924 a Masua in provincia di Iglesias nel Sud Sardegna. Un tunnel lungo 600 metri che si affaccia sul mare di fronte a Pan di Zucchero. Qui sotto (nel punto dello scatto) si fermavano le navi per caricare i minerali destinati alle fonderie del nord Europa riducendo i costi di trasporto e i tempi. Il sistema era ed è costituito da 2 gallerie sovrapposte separate verticalmente da 9 silos. Nella galleria superiore si caricavano i silos, in quella inferiore dotata di un nastro trasportatore si imbarcavano sulle navi grazie ad un braccio mobile piombo e zinco. Flavia è il nome della figlia di Cesare Vercelli, progettista e direttore dei lavori per la costruzione dell’opera.”
Nel 1882, un giovanissimo Gabriele D’Annunzio visitò il sito, con il compito di scrivere un articolo per conto della rivista Cronaca bizantina. Descrisse la triste condizione dei minatori, denutriti e sottoposti a ritmi di lavoro massacranti, non senza dedicare spazio a un’interessante descrizione del territorio. All’epoca della visita di D’Annunzio non era ancora presente la struttura progettata successivamente dall’ingegner Vecelli e il materiale veniva trasportato manualmente sulle imbarcazioni.
L’intera installazione portuale fu realizzata scavando all’interno della montagna a picco sul mare due gallerie sovrapposte: quella superiore, dove i materiali estratti dopo essere giunti sul luogo tramite una ferrovia Decauville venivano scaricati e quella inferiore da dove, per mezzo di un nastro trasportatore estraibile, il materiale veniva stivato direttamente sulle navi alla fonda. Tra le due gallerie erano sistemati nove enormi sili per lo stivaggio del materiale capaci di contenerne fino a 10 000 tonnellate. La realizzazione di Porto Flavia permise alla società mineraria belga Veille Montagne, proprietaria delle miniere della zona, di abbattere i costi di imbarco dei materiali che, fino ad allora, venivano caricati a mano nelle bilancelle (piccole imbarcazioni a vela latina) carlofortine per essere trasportate nei magazzini dell’ isola di San Pietro, dalla quale venivano poi imbarcate per le località di destinazione.
L’impianto fu dismesso negli anni Sessanta con il progressivo abbandono dell’attività estrattiva della zona. A partire dal secondo dopoguerra, l’industria estrattiva (per motivi che qui sarebbe troppo lungo affrontare) declinò in maniera inesorabile. Di conseguenza, anche Porto Flavia smise progressivamente di funzionare, fino a cadere in completo disuso. Appena abbandonate, simili strutture decadono, si ripiegano su se stesse: perso lo scopo primario per cui erano state ideate e costruite, avvizziscono e si corrompono. Così è successo anche per Porto Flavia: la stagione mineraria della ragione è stata finalmente storicizzata a sufficienza, e si è pensato che l’impianto potesse esserne un monumento tanto affascinante quanto eloquente. Dopo anni di diligente restauro, oggi Porto Flavia è di nuovo visitabile e si presenta come luogo storico e soprattutto luogo della memoria e del lavoro minerario di una memorabile stagione; vive glorioso per l’esorbitante paesaggio in cui è integrato, per l’eco storica che non smette ancora di percorrere e percuotere quelle mura, per la solennità che ora ci trasmette ciò che un tempo era il ventre stesso di un proletariato abituato a soffrire e a morire. Vedendolo dal mare, potrebbe a tutta prima apparirvi come la stravagante abitazione di un qualche romantico ottocentesco in cerca di sublimità a picco sul mare. A mano a mano che vi avvicinerete, verrà invece sempre più precisandosi il senso di una reliquia industriale, di una architettura inscritta nel profondo della grande storia sarda.
Carlo Franza