L’arte di Bruno Marcucci ( Cagli 1948) misurata tra scultura e pittura  e installazioni varie, racconta da sempre il suo intrigante lavoro. Oggi trova  a campionare un capitolo eccellente nel progetto  “Scenari”, da me diretto a Firenze al Plus Florence,  con una mostra che ha per titolo “La pittura persistente”. Oltre trenta dipinti, taluni di grandi dimensioni, che vivono  la via della graduale  liberazione dalla forma e dal colore, ricerca  della pittura con la sua identità fisica e mentale, rifacendosi  e avvolgendosi nel clima  storico dell’astrattismo, andando da Albers  alle texture dinamico-luminose di Dorazio, fino a certe riprese di liricizzazioni  di superfici  che troviamo in Licini e Klee, ed anche  a certo monocromatismo  che sconfina infinitamente   e spazialmente  a Fontana  e a tutta una serie di analitici, per giungere infine alle ricerche sullo spazio luce di Lo Savio.  Non dispiace che Bruno Marcucci non abbandoni la pittura, ne esalta ancora oggi  la sua profondità storica, utilizza il mezzo pittorico  con risultati interessanti per tensione e concentrazione. Anche Bruno Marcucci,  come Brice Marden  esponente di rilievo della pittura opaca,  vive la materialità della pittura, la conoscenza fisica  dei suoi processi,  l’esigenza di dipingere  in modo impersonale, per giungere  a una nuova dimensione della superfice e concentrare  così il problema  di un’immagine pura  e immediata di sé. L’azione pittorica vive dentro uno spazio controllato,  come fosse disposta da un ”mistico della pittura”,  onde viverla come fenomeno più che come struttura. Il suo lavoro è un fatto fisico concreto,  e questi accadimenti di  colore-luce, di finestre dove  la luce diventa lacerto, lascia notare come  esplorando  un nuovo modo di vedere,  allargando e aumentando il campo della percezione,  la pittura comunica emozioni  e riflessioni diversamente improponibili.  E’ un flusso di energia luminosa  che sommuove le forme , infrange le simmetrie, lascia transitare i colori,  monocromi o bifocali, in continui slittamenti  tra un segno e l’altro. Marcucci depone  frammenti di spazio  lasciando zone anche non dipinte, o addirittura raschiate, minime tracce  di totalità  in cui sono puntellati  i tempi elementari che fissano la vita, l’esistenza, l’energia, la luce. Il suo è uno spazio dinamico  che determina slittamenti percettivi, campi dilatati, momenti dialettici, disgregazioni luminose, flussi istantanei. E ci pare, infine,   un lavorare, il suo,  anche lateralmente,   verso un’amplificazione del mondo analitico,  per via della materia che irrompe come  sostanza  che sensibilizza la superfice,  e la tensione va oltre la forma, con impercettibili alterazioni e pulsazioni cromatiche.

E’ con gli anni della maturità che la storia più autentica di Bruno Marcucci  prende il via  o comunque diventa innegabile per la straordinaria struggente intensità del fare pittura. Qui non è questione del trascorrere di un’emozione visiva che, anche se viene restituita  dentro una griglia costruttiva  si percepisce come parte di un tutto, con lucidità inversamente proporzionale  all’allontanamento della larva figurale;  è un estrarre i termini di una edificazione del quadro come luogo separato, ossia sufficiente a se stesso,  di restituzione oggettiva non del reale, certo, ma delle potenzialità della pittura. Siamo alla pittura persistente. E’ così che le immagini di Marcucci a garanzia della loro non gratuità, posseggono  un punto d’equilibrio, un perno di sostegno, estrinsecazione  di un rigore mentale che non tollera facili abbandoni.  Il suo fare pittura diviene ancora segnale di strumento di trasmissione  neo-informale, canale di collegamento tra la sfera quotidiana o delle apparenze e un’altra, diversa, più sensibile ai turbamenti dello spirito. Una volta stabilita la misura del colore di Marcucci, si ponga mente all’affermarsi del segni scrittura in un crescendo che arriva ad una sorta di insistita allitterazione.

Bruno Marcucci è nato nel 1948 a Cagli, dove vive e lavora. Nel 1967 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Urbino, dove segue le lezioni di Raffaello Scianca, Concetto Pozzati e Pierpaolo Calzolari. Fa parte di un gruppo molto attivo nell’ambito dell’Accademia e fuori di essa, assieme al quale nel 1970 è presente alla Rassegna del centro culturale San Fedele di Milano. Alterna alla frequenza dell’Accademia numerosi viaggi e soggiorni all’estero, in particolare a Parigi e a Dusseldorf, dove frequenta il corso di scultura di Joseph Beuys.  Nel 1971 compie un lungo viaggio in Africa con Paolo Paolucci raggiungendo il Senegal. Nel 1977 soggiorna a lungo negli Stati Uniti. Tra il 1977 e il 1978 collabora con il pittore Emilio Vedova, come assistente nel suo atelier, per la realizzazione di un ciclo di opere. Nel frattempo intensifica la sua partecipazione a mostre collettive (fra cui: 2013 “Correnti Alternate”, a cura di B. Corà, San Donato (FR); 2018 “TechnoMedioevo”, a cura di M. Pecchioli, Londra; 2019 “Polytechne, Arte e scienza”, a cura di V. Dehò, Ancona), alternate a mostre personali (fra cui: 1977 Galleria La Guzzina, a cura di L. Cerioli, Milano; 2008 “Linea d’orizzonte”, Galleria del Carbone, Ferrara; 2018 “Iceberg e palinsegni”, Galleria Arte e Pensieri, a cura di C. Terenzi, Roma). Una sua opera selezionata dal critico Bruno Corà figura nella collezione permanente del Museo CAMUSAC di Cassino (FR).  Su invito del poeta Eugenio De Signoribus collabora con opere grafiche alla rivista letteraria “Istmi” e ai “Quaderni di Poesia dell’Associazione Culturale La Luna. Bruno Marcucci si è sempre dedicato sia alla pittura sia alla scultura, realizzando anche grandi installazioni per interni ed esterni. Negli anni più recenti si è concentrato soprattutto sul tema dell’iceberg, spazio duplice, fisico e metafisico, unito e diviso dalla linea d’orizzonte, e sull’idea di incessante scrittura/riscrittura dei palinsegni, che nel fitto lavorio di stesure materiche e sovrapposizioni segniche sembrano rimandare alle antiche pergamene.  La sua esplorazione artistica, orientata essenzialmente sulla materia – terre, fumo, silicone, metalli – viene a collocarsi tra il mitico e il virtuale. Di lui hanno scritto, fra gli altri: F. Abbate, G. Angelucci, M. Apa, C. Bruscia, B.Ceci, B. Corà, Carlo Franza, E. De Signoribus, P. Greene, A. Iori, A. Mazzacchera, R. Olivieri, G. Paganucci, P. Paolucci, M. Pecchioli, S. Sannipoli, P. Serra, M. Sguanci, E. Sordini, C.Terenzi, G. Tinti e A. Verga.

Carlo Franza        

 

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