E’ arrivato in libreria il  “Nuovo dizionario sentimentale” (Marsilio)  di Giampiero Mughini,  un giornalista  di lucida intellettualità, che si racconta e racconta di Pannella, Aron, Resistenza, Israele, ecc. con ben 282 pagine. Compreso il racconto del grande amore per i cani. Poi il breve capitolo dedicato alla vita, alla malattia e alla morte della madre  che ne segnano un  vertice drammatico fuor dal comune. E il rimorso per la morte solitaria della madre è una  pagina che lascia vivere un’accorata memoria,  mi ha riportato al romanzo “Un altare per la madre” di Ferdinando Camon uscito nel 1978 : “Il lunedì all’ora di pranzo una voce femminile mi chiamò a dirmi che “mia madre non ce l’aveva fatta”. Ho il ricordo di quella telefonata e di quella voce come la più grande vergogna della mia vita. Ho lasciato che mia madre se ne morisse in una stanzetta in cui non c’era nulla di suo, in cui non ravvedeva nulla che le fosse familiare, in cui non le era accanto nessuno o meglio non le ero accanto io, la sola persona al mondo che per lei contasse. Ero stato talmente vigliacco da lasciare che questo accadesse. E anche se non so esattamente che coscienza mia madre avesse di tutto questo in quegli ultimi mesi del suo vivere senza parole e senza alcuna comunicazione possibile. Sono passati vent’anni da quella telefonata del 2001, e non riesco a darmene pace, a non provare vergogna di me stesso. Madre, madre mia, che avrei dovuto fare per te, che avrei potuto fare per te che non parlavi più? Quali gesti avrei potuto compiere ad alleviare la tua agonia?” Il libro  e i capitoli sono un mosaico di storie, Mughini  in parte racconta se stesso,  in parte  racconta i grandi eventi in cui si è ritrovato. Pagine scritte con una scrittura formidabile, catturante, umana, capace di coinvolgere in modo totale il lettore che si immerge  nella  narrazione  in  cui  storia, cronaca, politica, letteratura e tutte le arti del mondo  sono svelati in modo completo.  Ci si trova davanti a un susseguirsi  di eventi e personaggi dello spettacolo e della politica,  dove privato e pubblico  si intrecciano, zoomando su  fatti  che appartengono già alla memoria collettiva del Paese, o su altri che incorniciano  figure di chiara fama; ecco raccontare Marco Pannella nei suoi ultimi giorni di vita quando tutta la sua casa di via della Panetteria “sapeva di morte”, il lato politico di Clint Eastwood, i protagonisti della Resistenza italiana, la sapiente voce di Leonardo Sciascia, la cronaca del conflitto tra Israele e Palestina. Giampiero Mughini ci racconta i fatidici  anni Sessanta e Settanta della storia italiana, ricco com’è di cultura e del vero vivere, essendo  “un uomo – come si definisce lui stesso – con i capelli completamente bianchi”. Tutto appare  in un procedere silenzioso e avvincente, caldo e partecipe, dove memoria, ricordi e puntelli morali e sentimentali  corrono di pari passo con furori  e disillusioni. E’ l’Italia che esce allo scoperto,  assolutamente senza censure, nei suoi momenti più drammatici e nei suoi  più partecipi momenti di gloria. Politica, partiti, ideologia  avvolgono il racconto. E non solo,  a ben conoscere in che modo è entrato nella sua quotidianità il nuovo cane Clint, Mughini lo affianca subito con l’immagine dell’altro cane di famiglia, che si chiama Bibi come Brigitte Bardot, e come la Bardot “non è più una ragazza. I suoi anni di cane corrispondono più o meno ai miei anni di uomo… Per l’età che abbiamo io e Bibi, forse sì e forse no mi toccherà il dolore insopportabile di vederla morire, un dolore il cui solo pensiero mi annienta e dopo il dolore lancinante provocato dalla morte di mio padre, poi di mia madre, e infine dei due miei fratelli che erano parecchio più grandi di me”. Pesante e amaro l’addio ai giornali, in cui Mughini ha trascorso una vita;  avvince non poco  il paragrafo in cui rievoca la sua rottura con il settimanale “Panorama” («per quella nota spese da centottanta euro», e per un anonimo vicedirettore). Nel capitolo sul “Sessantotto della destra”, dedicato alla rivolta contro la Terza Repubblica che sconvolse Parigi nel 1934, è messa in scena la morte di Raymond Aron, fulminato da un infarto mentre lascia il Palazzo di Giustizia dopo aver preso le difese, quasi cinquant’anni dopo, di uno dei protagonisti di quella remota stagione, Bertrand de Jouvenel.  Belle le partole su Sergio Tofano, l’inventore del signor Bonaventura, “lui che era un figlio del Novecento lo sapeva che se Leonardo fosse nato in questo secolo avrebbe girato degli spot pubblicitari o dei videoclip”. Mentre Sciascia — cui si deve la distinzione dei tre gradi dello stendhalismo: quello in cui si crede che il più bel libro di Stendhal sia Il rosso e il nero, quello in cui ci si convince che sia La certosa di Parma, e il grado finale in cui si realizza che il vero capolavoro di Stendhal è la Vita di Henry Brulard — ammonisce che si comincia a morire quando si cominciare a dare via i libri. Che pagine quelle su Sciascia,  che lezione quell’intervista, un modo di fare giornalismo unico,  con quel modo di porgere le domande.  Grande Mughini,  giornalista di spessore, dentro ogni pagina del libro ci sono gli cchi di Mughini che hanno visto e vissuto, amato  e  “sentimentalmente” ricostruito  donne, uomini, libri, fumetti, film, partite di calcio, case, cani, oggetti, amori. Tutto pare ripartire dall’altro Dizionario  uscito da Rizzoli nel 1992. E  prima ancora mi sovviene quel suo “Compagni, addio” del 1987, ove gli sussurrava  quel verso di Modugno“ ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso”. In questo libro tutto pare vivo ancora, un libro, una cena, una fotografia, un dolore, una persona che non c’è più, tutto appare, alla soglia dei suoi ottanta letti bene sul  viso, con una riflessione disincantata.  Ecco perché questo nuovo dizionario sentimentale recita  come sottotitolo “delusioni, sconfitte e passioni di una vita”. Eccolo Mughini, una persona viva e coraggiosa, un grande giornalista,  un combattente del pensiero e del sapore della libertà.

Giampiero Mughini (Catania 1941), narratore delle vicende politiche e sociali del nostro paese (Addio compagni, 1987; Gli anni della peggio gioventù, 2009; Addio gran secolo dei nostri vent’anni, 2012). Giornalista  è stato tra i fondatori del “Manifesto”, ha collaborato con “L’Europeo”, “Panorama”, “il Giornale” di Montanelli, “Libero”, “Il Foglio”. Dalla fine degli anni Ottanta si è distinto come opinionista sul piccolo schermo. Per Marsilio ha pubblicato Era di maggio. Cronache di uno psicodramma (2018) e A via della Mercede c’era un razzista. Lo strano di caso di Telesio Interlandi (2019).

Carlo Franza

 

Tag: , , , , , ,