L’immagine che Marco Goldin ha scelto come simbolo della grandiosa mostra padovana su Van Gogh (Centro San Gaetano, dal 10 ottobre 2020 all’11 aprile 2021) è il celeberrimo “Autoritratto con cappello di feltro grigio”, prestito che definire “eccezionale” non è affatto fuor di luogo, concesso dal Van Gogh Museum di Amsterdam. Ad Amsterdam questa figura è tra i simboli del Museo Van Gogh e riproduzioni di questa magnifica opera si trovano in case, uffici, luoghi pubblici di tutto il mondo. Perciò parlare di questo autoritratto come di icona dell’Olandese è appropriato. Questa mostra in cui gli autoritratti sono il  motore visivo dell’evento, mostra  come   gli autoritratti siano per Van Gogh  un’occasione per sperimentare la prospettiva e la rappresentazione del proprio riflesso allo specchio, infatti, ciò che appare come la parte destra del suo volto è, in realtà, il lato sinistro come si presenta guardandosi allo specchio. Questi quadri non gli servirono soltanto come esercizio pittorico ma,  svelano chiaramente  tutto il proprio malessere, cogliendo ogni volta diversi lati di sé e della propria personalità. Quindi, il celebrare la propria immagine e il proprio corpo non è più un modo per elevare la propria figura, ma è un esercizio terapeutico ed è proprio questa la migliore spiegazione per comprendere il perché di una serie così fitta di autorappresentazioni.

Il famosissimo dipinto “Autoritratto con cappello di feltro”, realizzato nell’estate 1887, è uno dei venti autoritratti che Van Gogh dipinse nel suo breve soggiorno parigino, avvenuto tra il 1886 e il 1887. Sembra che proprio durante questo periodo l’artista abbia affrontato questo tema per la prima volta, data la mancanza di autoritratti precedenti. In questo dipinto Van Gogh si ritrae con gli abiti di un tipico parigino: cappello, giacca e cravatta e con u

profondo di introspezione sono quelli dipinti a Saint-Rémy, durante il suo periodo di reclusione, quando l’artista sceglie di rappresentare se stesso in mancanza di altri modelli. In questi dipinti Van Gogh pone al centro il suo sguardo intento a cercare quello dell’osservatore, sono gli occhi che rispecchiano l’anima di un uomo al quale è stata apposta l’etichetta di folle. Nell’Autoritratto del 1889 si percepisce chiaramente lo sforzo di Van Gogh di apparire controllato e calmo. Il colore blu tenue che attraversa l’intero dipinto sottolinea questa calma, fredda ma percorsa da perturbazioni rese

attraverso le pennellate. C’è una continuità tra la figura e lo sfondo in cui sembra immersa. L’andamento turbinoso della pennellata vuole forse comunicare la perdita di orientamento successiva a numerose crisi nervose. “Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali”. Con queste parole Van Gogh spiega la sua ossessione per le figure umane e la sua incessante ricerca delle innumerevoli sfaccettature dell’umanità non solo negli altri ma soprattutto in se stesso.

Marco Goldin, il collega curatore della mostra,  non nasconde la soddisfazione per essere riuscito a strappare per sei mesi al Van Gogh Museum questa particolare tela. Un’opera non solo straordinariamente intensa e potente, ma che segna anche un preciso momento di svolta nella storia artistica di Van Gogh. Questo capolavoro venne dipinto nel 1887, a Parigi. Nella capitale francese egli era arrivato dall’Olanda l’ultimo giorno di febbraio del 1886, iniziando così un’avventura che durerà esattamente due anni. Vincent infatti lascerà la città nel primo pomeriggio del 19 febbraio 1888. Tra l’altro, dopo una visita fatta, assieme a Theo, a Georges Seurat, nella mattina dello stesso giorno. Era il rendere omaggio, prima di partire per la Provenza e verso la luce del Sud, al pittore che più di ogni altro aveva scosso dalle fondamenta l’arte impressionista. Ad attrarlo a Parigi aveva contribuito anche l’interesse che il fratello Theo gli manifestava a proposito degli impressionisti e adesso egli aveva finalmente l’opportunità di entrare in contatto diretto con il nuovo dell’arte del suo tempo. Gli iniziali mesi parigini furono dunque per lui di ambientamento. Poi la fondamentale visita all’ottava e ultima mostra impressionista, nel maggio del 1886. Una esposizione particolare, perché tre rappresentanti storici dell’impressionismo come Monet, Sisley e Renoir, avevano deciso di non partecipare. A questo faceva da contraltare il ruolo assunto da Degas, assieme a un gruppo di pittori amici, soprattutto rivolti al tema della figura. “La rassegna di Padova -annota Goldin- presenta, per tale tempo fondamentale in questa storia, opere a confronto di Seurat e Signac, e proprio alcune tra quelle che Van Gogh vide direttamente nelle esposizioni tra 1886 e 1887 a Parigi. Vale di certo almeno la menzione il capolavoro di Seurat del 1887, la Spiaggia di Bas-Boutin a Honfleur”.
“Ad Anversa non sapevo neppure cosa fossero gli impressionisti, mentre ora li ho visti, e anche se non sono uno di loro ho molto ammirato alcuni quadri, un nudo di Degas, un paesaggio di Monet”, scrisse Van Gogh a un amico. Ricordando, alla fine della stessa lettera, il suo desiderio di armonizzare gli estremi del colore, “cercando di rendere dei colori intensi e non una grigia armonia”. Affascinato da tempo dalle teorie sul colore di Delacroix, poco per volta Van Gogh comprese la forza di una gamma cromatica più chiara, a contatto specialmente con l’opera di Seurat. In questo senso, l’insieme di autoritratti che realizza nei due anni a Parigi è una delle espressioni più piene e vere della sua rapidissima evoluzione nell’ambito di un colore nuovo. Modificando anche la percezione che Vincent aveva di sé. Realizzato negli ultimi mesi della sua permanenza lì, il celeberrimo “Autoritratto con cappello di feltro grigio” i visitatori lo potranno appunto ammirare a Padova. “Si tratta della ripresa – scrive Marco Goldin – di un altro autoritratto con lo stesso cappello, realizzato all’inizio della primavera 1887. Proprio nell’accostare queste due immagini si comprende perfettamente quanto Van Gogh fosse progredito nel volgere di poco tempo. A una stesura ancora quasi piatta, succede un ritmo percussivo del colore, radiante nella sua manifestazione. Agiva sì la lezione di Seurat, ma in una misura che si allontanava dal senso perfino matematico di quella pittura. E invece si esprimeva nella forza di presentazione dei tratti accostati di blu e arancio, secondo lo studio sui colori complementari. Questo effetto radiante di fondo fa emergere con veemenza il volto di Van Gogh, che pare accendersi entro un grumo disteso di luce. Non quindi il modificare quella luce, quanto farla convergere verso il punto della rivelazione. E quel punto è il volto. Ancor di più, lo sguardo allarmato. Van Gogh è pronto per prendere un treno. La sua destinazione, Arles. A respirare il giallo del grano e del sole”. “Autoritratto con cappello di feltro grigio” è  al San Gaetano di Padova,  è  nella mostra “Van Gogh. I colori della vita”, promossa da Linea d’ombra e dal Comune di Padova, main sponsor Gruppo Baccini, con la curatela di Marco Goldin.

Carlo Franza

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