La Galleria Bianconi presenta “Travels With Herodotus: Ajourney Through African Cultures”, una mostra (aperta  fino al 16 luglio  2021)  che, come il titolo stesso suggerisce, intende dare vita ad un ideale viaggio di esplorazione nell’arte contemporanea africana. Attraverso il confronto fra le opere di sei artisti di differente generazione e geolocalizzazione Gerald Chukwuma (Nigeria1973), Jeremy Demester (Francia1988), Ameh Egwuh (Nigeria1996),Troy Makaza (Zimbabwe1994), Boris Nzebo (Gabon1979), Monsieur Zohore (Usa1993), la mostra delinea, per mezzo di una “esposizione della ricerca” nel senso erodotiano del temine, un ritratto articolato, ma al contempo armonico, della scena artistica di matrice africana. “Orchestra visiva” è la definizione che Gerald Chukwuma dà del suo lavoro: assi di legno assemblate, intagliate, annerite, cesellate, arricchite di colori sgargianti, illuminate dai pezzi delle lattine di alluminio e delle schede telefoniche trovate per strada dall’artista, danno vita ad una melodia visiva  sorprendente che intreccia simboli antichi, riferimenti storici e contemporanei. Nell’opera After (2020), esposta in mostra, Gerald Chukwuma rappresenta elementi della danza Ikwokirikwo del popolo Igbo della Nigeria, dando così voce alla storia e ai valori di una cultura che il potere costituito cerca di cancellare. Il lavoro di Chukwuma vuole sottolineare l’importanza vitale dell’espressione libera e creativa come forma di resistenza all’indottrinamento quotidiano, alla manipolazione dei, non solo della storia, ma anche del momento presente. Un altro elemento fondante della cultura e della tradizione africana, il voodoo, è al centro della ricerca artistica di Jeremy Demester. Demester vive e lavora tra la Francia e il Benin, dove a Ouidah, la città dei revenants secondo la tradizione voodoo, Demester crea opere ispirate al mondo degli spiriti. A questa ispirazione appartengono anche le due opere inedite, qui esposte per la prima volta, Timesofgrace VI(2021)e Djemy (2021), in cui egli abbraccia le infinite metamorfosi di questa religione: dagli oggetti del culto all’intenso colorismo ricco di energie primordiali. Come scrive Annabele Gugnon (2018) “la pittura di Jeremy Demester è azione,visione e prosa. Alla ricerca di nuove possibilità nel mondo, il pittore sonda l’esperienza attraverso l’intuizione. È la sua guida. Di fronte all’opera l’intuizione privilegia lo stupore rispetto alla certezza e spinge il pittore ad avvicinarsi all’impossibile”. Nelle due opere Quick Pic (2021) e Mycat,abookandmy imaginations (2020) del giovane artista nigeriano Ameh Egwuh, due solitarie figure femminili si stagliano su un paesaggio domestico popolato da lineee patterns geometrici che si ispirano alle pratiche di scarificazione cioè di incisione e decorazione della pelle nei riti di passaggio all’età adulta dell’antica arte Ife. È così che Egwuh, attraverso un procedimento espressivo basato sulla stratificazione, costringe il fruitore a riflettere sui concetti di responsabilità familiare, solitudine ed identità. L’opera Visceral part2 (2019) di Troy Makaza, proveniente da un’importante collezione privata, è realizzata intrecciando corde di silicone intrise di pittura dai colori intensi e profondi. I fili di silicone che costituiscono la struttura dell’opera si trasformano metaforicamente nei fili chetessono le complesse ragnatele delle relazioni e dei flussi tra i sessi nell’odierno Zimbabwe. Gli intrecci e i legami che danno vita al lavoro di Makaza divengono potenti metafore di spazi sociali e intimi, dove i ruoli tradizionali non sono più assicurati. Boris Nzebo è fermamente convinto che “l’arte possa contribuire allo sviluppo e all’economia del Paese”. Nato in Gabon, Nzebo è cresciuto e vive nella città di Douala in Camerun, ambiente in cui, come lui stesso dichiara, icapelli giocano un ruolo di primo piano nella definizione di identità personale e collettiva: le acconciature divengono lo specchio delle abitudini morali, della condotta e del comportamento tanto degli individui che del contesto sociale in cui operano. Nell’opera Business Street(2020) Boris Nzebo esplora l’acconciatura nello spazio urbano: la capigliatura della grande testa in primo piano diviene il cannocchiale attraverso cui l’artista indaga e denuncia gli aspetti negativi della società urbana contemporanea e del suo sistema economico. Ancora più marcato appare il carattere di denuncia nell’opera “Enfants Soldats” (2018): troppa violenza, troppi corpi, troppi cadaveri, troppe tombe. Attraverso le sue grandi teste Nzebo pone l’accento sulla barbarie dei “soldati bambini”, sequestrati, abusati, addestrati per essere bombe umane, per garantire al potere il proprio status quo. Monsieur Zohore, nato in America da genitori ivoriani, usa la propria storia, la propria identità come mezzo: “Essere uomo di colore queer fa parte della mia pratica. Penso che sia il mio rapporto con l’umorismo e la tristezza e la capacità di comprendere queste due idee, il mio rapporto con la mia Blacknesse Frenchness, la mia Africanness, sia veramente il materiale da cui ho iniziato a costruire la mia pratica”. Monsieur Zohore esplora la condizione umana in modo accresciuto e disordinato, per lui, africano di prima generazione, c’è sempre un disallineamento fra le culture e questo è al centro del suo interesse. L’operaWhite Boy Summer (2021),appositamente realizzata dall’artista per questa mostra, appartiene al ciclo dei PaperTowel Works in cui Zohore utilizza materiali non convenzionali di uso domestico, come la carta da cucina Bounty, per esplorare le disugualianze interpersonali e socio-economiche. Il dramma intrinseco della carta da cucina dell’essere un materiale resistente ma al contempo scartabile,usa e getta, diviene immediata trasfigurazione del dramma quotidiano che vivono i lavoratori emarginati. In particolar modo in White Boy Summer, Monsieur Zohore utilizza, come lui stesso dichiara, “l’attuale fenomeno culturale per esplorare il precedente culturale storico e pop degli uomini bianchi che godono del mondo a spese degli altri”.

Carlo Franza

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