OTRANTO – I cosiddetti “Martiri di Otranto” sono gli 813 abitanti della città salentina uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi guidati dal comandante Gedik Ahmet Pascià. Il tragico evento accaduto quel giorno è stato raccontato dettagliatamente da Galateo, cronista salentino vissuto a quel tempo. Secondo la versione storica più comune della vicenda, i Martiri rifiutarono la conversione all’Islam dopo la caduta della loro città, invasa qualche giorno prima (il 28 luglio) dall’Impero Ottomano.

La chiesa di Santa Maria dei Martiri è una chiesa di Otranto. Sorge sul Colle della Minerva, teatro del martirio di ottocento otrantini avvenuto il 14 agosto  1480.   L’edificio fu riedificato nel 1614 in sostituzione di uno preesistente voluto da  Alfonso d’Aragona,  in ricordo del massacro che qui ebbe luogo. È adiacente al convento dei minimi, risalente al 1542.

Il 14 agosto 1480, tre giorni dopo l’occupazione della città,  Gedik Ahmet Pascià comandante della flotta turca, ordinò che venissero condotti sul colle gli abitanti di sesso maschile con un’età superiore ai quindici anni. Ai prigionieri Ahmet propose di rinnegare la fede cristiana e ottenere in cambio la vita. Ottocento uomini si opposero venendo decapitati, uno ad uno, su un grande masso. La tradizione narra che il primo ad essere giustiziato, Antonio Primaldo, rimase miracolosamente in piedi, senza testa, sino alla fine della macabra esecuzione.

Il 5 ottobre 1980, nel quinto centenario dei Martiri otrantini, la Chiesa fu visitata da Giovanni Paolo II durante la sua visita alla Chiesa di Otranto. Fu elevata a Santuario Diocesano nel  1992.

I Martiri furono beatificati il 14 dicembre 1771 dal pontefice Clemente XIV, sono stati – poi – canonizzati il 12 maggio 2013 da papa Francesco.

Il fatto storico. Il racconto giunto fino al giorno d’oggi è stato riportato da un autorevole cronista dell’epoca, Antonio De Ferraris detto anche Galateo (Galatone, 1444 – Lecce, 22 novembre 1517): un medico, filosofo ed astronomo italiano, appartenente alla minoranza greca del Salento. Le affermazioni sono state estratte da “Otranto 1480 – L’assedio”, una puntata andata in onda su Rai Storia.

“Gli uomini che scamparono alla strage furono condotti fuori la città e trucidati sotto gli occhi del crudelissimo capo barbaro” affermava De Ferraris.  “Nessuno, in un così gran numero di persone, abiurò alla fede di Cristo per paura della morte, anzi si incoraggiavano a morire l’un l’altro” proseguiva.

Galateo è l’unico cronista contemporaneo ad aver fatto riferimento esplicito al movente religioso per il compimento della strage. Nelle altre cronache – infatti – non c’è spazio per la proposta della salvezza in cambio della conversione.

A quel tempo, per i popoli dell’Asia centrale, era usuale offrire la possibilità di conversione ai propri nemici. A volte però, questi, per continuare a professare la loro religione erano obbligati al pagamento di una tassa speciale chiamata Jiziya.

Proprio per ciò, il movente della stage otrantina – per molti studiosi – non è solo religioso. Esso può essere associato anche alla combinazione di più fattori: tra questi la punizione verso chi ha rifiutato di arrendersi, la vendetta per l’uccisione dell’ambasciatore turco durante la lotta; non per ultime vanno considerate le motivazioni militari, ovvero l’intento di seminare il panico per indebolire la resistenza dell’esercito locale.

Carlo Franza

 

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