Ricordo di Don Giuseppe Melle (1881 – 1973) nel cinquantesimo della morte. Affrescò la Basilica Minore di Santa Maria Ausiliatrice in Roma/Tuscolana.
Nei primi anni Sessanta del Novecento frequentavo la Scuola Media, poi il liceo classico, a Roma presso i Salesiani del Pio XI, luogo di eccellenza per lo studio e la funzione educatrice, luogo di studio e di amicizie, di un vissuto significativo, visto che si era negli anni del boom economico. 1961,1962, 1963, 1964, e oltre, Roma, l’Italia viaggiava verso l’alto, ancor più Roma, la Roma del dopoguerra che conosco palmo palmo; qui al Pio XI, anni di studio, di aule, di lezioni, di giochi, di gite per l’Italia e all’estero, di vacanze estive in montagna a Saint-Jacques/Champoluc in Val d’Aosta. Direttori del Pio XI sono stati in quel tempo Don Amedeo Verdecchia (che ho rivisto a Loreto in ospedale nei primi anni Duemila) e Don Marco Saba, un galantuomo d’una umanità introvabile. Annesso all’Istituto la Basilica Minore di Santa Maria Ausiliatrice dov’era parroco Don Giuseppe Piemontese. E i ricordi lasciano affiorare anche i nomi di salesiani, per me preziosi, come Don Giovanni Canu, Don Giacomo Duranti, Don Michele Gillone, e altri ancora. E in quegli anni negli intervalli settimanali andavo spesso a trovare mia cugina Maria Franza che lavorava presso la Direzione Generale dei Monopoli di Stato in Piazza Mastai. Ebbene, nelle pause di studio e di gioco, non dimentico le visite che facevo nella Basilica di Santa Maria Ausiliatrice -scendevo dalle scale interne al cortile del Pio XI, passando poi dalla sacrestia- per ammirare i lavori di affresco dell’intera chiesa che andava facendo Don Giuseppe Melle. Ero stupito dal vedere muoversi su e giù per le impalcature quel piccolo prete che riusciva ad affrescare da solo, mirabilmente, la storia sacra antica e moderna, ad onorare l’Ausiliatrice, e ad affrescare spazi così vasti, direi infiniti. Affreschi che facevo contemplare anche a mia madre Ada Damiani, la quale era ancor più meravigliata per così tali bellezze in esecuzione.
Don Giuseppe Melle, salesiano, è nato a Saluggia (Torino) l’8 aprile 1881 ed è morto a Bari il 29 maggio 1973. Segretario del Cappellano Militare di un ospedale di campo, per l’Ufficio Notizie, nella prima guerra mondiale, Cappellano Militare nella guerra etiopica e Cappellano Militare nella seconda guerra mondiale, dimostrò sempre un grande spirito di sacrificio e un forte attaccamento al dovere. Nel corso della sua vita fu un validissimo insegnante di materie teologiche, per le cui discipline era particolarmente inclinato. Le sue opere più valide e più impegnative: gli affreschi dipinti per tutta la chiesa del Redentore a Bari (1941 termine delle pitture), la chiesa Basilica di Maria Ausiliatrice in Roma (1965 termine delle pitture) e quelli della chiesa di san Giuseppe a Molfetta (1968 termine delle pitture).
Melle in gioventù non poté seguire corsi accademici per cui fu costretto a diventare autodidatta, cercando sempre artisti competenti che lo guidassero nel suo percorso artistico. Esaurito in età giovanile un primo corso di studi sopra una raccolta di 600 e più disegni graduati di figura umana, di natura morta, di paesaggio e di ornati, regalatigli da un padre Cappuccino pittore, Melle passò allo studio su un testo di anatomia pittorica applicata. In seguito si dedicò a metodici studi dal vero che coltivò per tutta la vita. Conobbe presto la prospettiva e per capire a fondo il chiaroscuro si esercitò nella plastica.
Era particolarmente innamorato della scuola Veneta del secolo di Tiziano, Paolo Veronese, Piazzetta e Tiepolo. I suoi principali maestri artistici furono padre Sacchetti pittore cappuccino, Reffo di Torino, Rosario Spagnoli di Cefalù, Onofrio Tomaselli di Palermo che lo seguì per 5 anni, Moro di Udine, Pericoli di Gualdo, Vincenzo Irolli, ecc. Eseguì parecchie pale dell’altare, qualche piccolo monumento all’Immacolata, a san Giovanni Bosco a Catania, a Messina (dalle Suore), a Saluggia. Affrescò la cappella dei salesiani di Venosa e quella dell’ospedale dei bambini a Bari.
Ma il suo capolavoro furono senz’altro gli affreschi dipinti per la chiesa Basilica di S. Maria Ausiliatrice in Roma al Tuscolano.
Alla metà degli anni Venti l’Istituto Salesiano di via Marsala, in Roma, costruito da don Bosco, si dimostrava insufficiente per i ragazzi dei due indirizzi scolastici (Ginnasio e scuole professionali). I Salesiani decisero quindi di costruire sulla via Tuscolana una nuova sede. Il giorno 11 maggio del 1928, l’Economo Generale dei Salesiani, don Fedele Giraudi, presentò al Papa Pio XI i disegni delle nuove scuole che a Lui si volevano intitolare. Il Papa dopo aver osservato attentamente i disegni, domandò: “E non pensate di costruire una Chiesa a fianco di queste nuove scuole?” L’Economo Generale rispose: “Santità, sì, ma in un secondo tempo”. Il Papa allora soggiunse: “No, no, non in un secondo tempo, ma contemporaneamente, ed io vi darò la prima pietra per la chiesa che dedicheremo a Santa Maria Ausiliatrice”.
Il desiderio del Papa fu sempre un comando per don Bosco e così anche per i suoi figli. Per assecondare il desiderio del Papa si stabilì che il giorno 4 giugno 1929, subito dopo la beatificazione di don Bosco, si ponesse accanto all’istituto Pio XI la prima pietra della nuova chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice.
Lo stile è quello delle grandi chiese romane del Rinascimento, e come le chiese romane del Rinascimento viene affrescata. Don Giuseppe Melle è il pittore chiamato a decorare il tempio di S. Maria Ausiliatrice. Lavora per otto anni senza tregua, come un novello Michelangelo, e nel 1964 l’opera è completata, come lo stesso pittore dichiara nell’affresco del transetto. Nella grande volta della navata centrale Melle esprime la potenza della Madre di Dio. Al centro la Madonna, e la prima chiesa di Maria Ausiliatrice a Torino. Tutto attorno il grande racconto delle vittorie della Cristianità con l’aiuto di Maria, contro i tentativi di invasione dei Turchi.
Il Tempio di Maria Ausiliatrice in Roma è una chiesa a croce latina che misura m. 72 nel braccio maggiore e m. 42 nel braccio minore.
La chiesa a Roma-Tuscolano, iniziata nel 1930, fu terminata nel 1936. Gli architetti sono stati Nicola GROSSO e Giulio VALOTTI, coadiutore salesiano. L’interno è stato quasi interamente affrescato negli anni 1956-1964 dal salesiano don Giuseppe MELLE (1881-1973)
Il pittore don Giuseppe MELLE, oltre che un artista di valore, era un buon teologo. In basilica ha rappresentato numerosi temi nei seguenti cicli pittorici: mariano, ecclesiale, eucaristico e salesiano.
I cicli pittorici: le Cappelle del Transetto
a sinistra del transetto: Cappella di S. Giovanni Bosco. Vi è rappresentato un singolare commento alla “Salve Regina”: don Bosco prega Maria di mostrarci suo Figlio Gesù dopo questa vita, che è una valle di pianto. Infatti sotto la cupola a trompe l’oeil don MELLE raffigura malattie, sofferenze e scene della Ia Guerra Mondiale
a destra del transetto: Cappella di S. Giuseppe. Il Patrono della Chiesa Cattolica si appoggia al capo di Gesù (di cui è padre putativo) e benedice i fedeli. La Vergine inginocchiata ci spinge – così recita il cartiglio sottostante: “Andate a Giuseppe” – ad affidarci alla protezione di lui. Sotto la cupola a trompe l’oeil don MELLE rappresenta alcune scene contemporanee della vita della Chiesa: l’abbraccio ecumenico tra Paolo VI ed Atenagora e il Concilio Vaticano II, che era ancora in corso.
Nella cupola sono rappresentati gli angeli con la Vergine Assunta.
Nel tamburo sono rappresentati gli episodi narrati nella S. Scrittura e i dogmi mariani.
Il papa Pio VII rientra in Roma il 24 maggio 1814, al termine della prigionia subita da parte di Napoleone. Da allora si celebra la Festa di Santa Maria Ausiliatrice
Parte fondale. Il papa Pio VII e Napoleone
I cicli pittorici: ecclesiale- eucaristico
Nel catino è rappresentata la sovranità di Maria SS. sugli angeli e sull’umanità. Più in basso trovano posto in primo piano gli apostoli e gli evangelisti, quindi i martiri e in fondo i confessori (santi non martiri) e i vescovi. Don MELLE, insomma, ha potuto rappresentare meglio il pensiero di don Bosco come non vi era riuscito invece il Lorenzone nel quadro di Torino. Si noti poi come il nostro artista si sia anche ispirato a La disputa del SS.mo Sacramento e a La scuola di Atene, affreschi delle Stanze di Raffaello in Vaticano
Sulla volta del presbiterio – che un felice caso ha voluto cadesse proprio sull’attuale rinnovato altare maggiore – è rappresentato il sacrificio che si celebra in ogni santa Messa, così come recita il Canone Romano: “Fa’ che questa offerta per le mani del tuo angelo santo sia portata sull’altare del cielo davanti alla Tua Maestà divina”
I cicli pittorici: mariano – salesiano
“Il Signore esercitò la Potenza col braccio di Maria”. Questa frase del Magnificat qui felicemente modificata è posta nel cartiglio sulla basilica di Torino edificata da don Bosco e che gli angeli sollevano in alto. In questa, che è la volta principale della chiesa, sono rappresentate anche le vittorie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683) contro gli infedeli, attribuite dal papa all’aiuto di Maria. Lungo i lati c’è l’illustrazione dell’ opera dei salesiani (scuole e missioni) e le immagini e gli episodi dei più famosi santuari mariani.
La statua di Maria Ausiliatrice domina al centro del catino. Corone e scettro furono benedetti dal papa Paolo VI il 5 dicembre 1965 al termine del Concilio Vaticano II.
I cicli pittorici: il ciclo eucaristico
Sui sei altari delle cappelle laterali don MELLE rappresenta un Ciclo Eucaristico. Le lunette mostrano l’azione delle tre Persone della SS. Trinità unite nel sacrificio del Figlio rievocato in quello della Messa. Le vele dei voltini invece mostrano scene dell’Antico Testamento che lo prefigurano: le Anime del Purgatorio; il sangue dell’Agnello pasquale; il sacrificio di Isacco; il pane di Elia; il sacrificio di Melchisedech; la manna nel deserto.
Ricordando Don Melle, poeta dell’affresco.
Il Salesiano Don Giuseppe Melle è ricordato anche a Molfetta (qui è stato vescovo l’amico Don Tonino Bello) per aver affrescato la Chiesa di S. Giuseppe. Era già quasi ottantenne, quando quotidianamente si inerpicava tra scalette e impalcature per terminare gli affreschi in S. Giuseppe, per dare il colore alle maestose scene in cui figurano Santi e Papi, parabole ed eventi della Chiesa: sempre in fervore di opere e di attività, gli occhi azzurri incontaminati dalla vecchiaia e addosso la febbre che gli derivava dalla passione di creare e terminare l’opera intrapresa.
Poi si ritirò in solitaria meditazione ad attendere la fine della sua giornata terrena a Bari, presso l’Istituto Salesiano del Redentore.
La sua stanza era diventata la materiale rappresentazione di chi dal vivere cristiano aveva appreso l’essenza e la vera sostanza delle cose: l’inutilità degli agi terreni, l’umiltà e la povertà resa pratica quotidiana: un misero lettino di ferro, una vecchia valigia sgangherata, una sedia e nessun mobile. Ma non era una stanza nuda, né Don Melle, che con affettuosa affabilità ci accolse, si sentiva minimamente a disagio. Sulle vaste pareti o tese a cordicelle che attraversavano la stanza, grossi disegni e cartoni riempivano lo spazio: erano volti di soldati conosciuti o caduti in guerra, ritratti dei genitori e poi santi e chiese, archi e madonne, progetti e briciole di arte scaturita da una passione profonda, nata ed esercitata per glorificare la fede.
Visse così Don Melle, amico e maestro sublime del colore, pittore di santi e di cieli immensi, umile e grande sacerdote di Cristo.