Nel sessantacinquesimo della morte di Gustavo Urro (Alessano 12 marzo 1894 – Lecce 12 agosto 1958) mi è caro parlare di un artista nato ad Alessano e negli ultimi anni qui vissuto in Via Postergola, dopo aver avuto residenza per molti anni a Napoli e in altre città italiane. Non si è scritto molto su questo artista italiano e salentino, nonostante un libretto -povero di critica- a cura della Pro Loco di Alessano, cittadina che gli ha anche dedicata una via, e qualche articolo come quello di Dino Levante su “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 12 marzo 2014 per ricordare un anniversario, i 120 anni dalla nascita, con il titolo “I paesaggi folgoranti di Gustavo Urro”. Gustavo Urro era figlio di artigiano, nipote di Carmelo Urro, applicato dell’Ufficio di Registro poi divenuto aiuto-ricevitore e consigliere comunale; l’artista nacque ad Alessano il 12 marzo 1894. Pittore di Terra d’Otranto, o meglio del capo di Leuca, che apprese molto da quella che è stata la scuola napoletana, quella beninteso svecchiata da Vincenzo Ciardo all’Accademia di Belle Arti di Napoli, proprio guardando ai francesi, e a quell’uso picchiettante del colore e della materia, cui Ciardo per l’appunto ne divenne protagonista esemplare. Nel 1912 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Urbino diretta dal conterraneo Luigi Scorrano. Viene ben presto apprezzato dagli artisti Ciardo, Bortone, Casciaro e Scorrano, che lo incoraggiano e ne segnalano le capacità. Da Urbino si sposta a Napoli dove segue un corso di pittura. Il conflitto mondiale lo allontana per qualche tempo dall’ambiente artistico. Congedatosi, affetto da malaria, riprende gli studi e si trasferisce a Napoli dove consegue, nel 1922, il diploma di pittura. Studente di pittura all’Accademia di Napoli fu subito apprezzato e talune sue opere furono esposte nella Mostra d’Arte Giovanile, nel gennaio del 1921, ottenendo “l’ammirazione del pubblico per la sobria, poderosa genialità delle sue opere”. Giovanissimo, come datano le cronache del tempo, ebbe la simpatia e l’amicizia di artisti di chiara fama come il commendatore Vincenzo Volpe dell’Accademia di Belle Arti di Napoli della quale fu direttore, dello scultore Filippo Cifariello (Molfetta 1864- Napoli 1936) e del pittore Giuseppe Casciaro.  A Napoli nello studio del Giuseppe Casciaro ebbe modo di frequentare l’ambiente intellettuale che ruotava attorno alla figura della scrittrice Matilde Serao. Né va dimenticato che Gustavo Urro fu fra i 124 artisti che parteciparono alla VIII mostra d’Arte del Sindacato interprovinciale Fascista delle Belle Arti della Venezia Giulia, sotto l’Alto Patronato di S. A. R. Il Duca d’Aosta, mostra che si tenne a Trieste nel Padiglione Municipale al Giardino Pubblico nel Giugno-Luglio del 1934. E’ proprio in questa occasione che la pittura di Gustavo Urro venne notata, iniziando ad avere una particolare attenzione della critica che ne esaltò  non solo l’impianto scenografico, ma anche l’uso del colore, l’attenzione alla mediterraneità, la lettura scenografica di un sud amato fino allo spasimo, una sorta di piccolo mondo antico, quale si registrò in tanti dipinti  che colgono non solo Alessano (vedi “La fontana”)  ma anche tanti angoli del Capo di Leuca.

Tra un’esposizione e l’altra Gustavo Urro ama viaggiare e si reca in numerose città europee volendo approfondire le sue conoscenze artistiche e confrontarsi con realtà più stimolanti; e in questi anni è stato autore di paesaggi e ritratti “ricchi di timbri coloristici che sono totalmente personali e che sembrano postulare conoscenze romane”, come ha scritto l’amico Antonio Cassiano.  L’incalzare della malattia lo frena ed egli è costretto a interrompere i suoi viaggi rimanendo stabilmente a Lecce dove, nel 1939, allestisce la sua ultima mostra personale, l’unica in terra salentina. Sue opere furono esposte a Napoli, Parigi (dove soggiorno per un breve periodo agli inizi degli anni Trenta), Monaco, Berlino, Trieste e Lecce. Tornato ad Alessano visse appartato, lontano dai grandi fermenti culturali del suo tempo, continuando a dipingere scorci folgoranti del paesaggio salentino come in “Leuca bimare, Capo Horn pugliese”. Mi preme anche segnalare il suo intervento sul restauro delle tele del Convento dei Padri Cappuccini di Alessano. Siamo a cavallo degli anni Trenta/Quaranta del Novecento. La manutenzione e la salvaguardia della macchina d’altare fu una delle prime preoccupazioni dei frati una volta tornati a Alessano. Già padre Giulio Gadaleta da Molfetta – io ragazzo che ricordo amico in  quegli anni Cinquanta ad Alessano- tra il 1929 e il 1931 realizzò il primo restauro dell’altare storicamente registrato. Nulla però viene detto nella cronaca conventuale sullo stato dell’altare e neppure sui lavori di restauro realizzati. Solo al 14 aprile 1936 si

legge: “si sono restituite 2.000 lire al signor Germano Torsello, prese in prestito dal padre Giulio da Molfetta per il restauro dell’altare maggiore”. Il primo restauro documentato, che risale agli anni 1941-42, fu effettuato dalla Soprintendenza di Bari. La cronaca conventuale al 12 maggio 1941 per la parte lignea, annota: “Iniziano i lavori di restauro all’altare maggiore ad opera di Alberico Russo di Scorrano”, per le tele fu incaricato dalla Soprintendenza un pittore di Alessano, Gustavo Urro. I lavori si conclusero, dopo varie ispezioni della Soprintendenza, il 28 marzo 1942. La cronaca conventuale dice lapidariamente: “il maestro Alberico Russo finisce i lavori di restauro dell’altare maggiore”. Le operazioni eseguite consistettero nello smontaggio e rimontaggio di alcuni pezzi, nel ripristino di alcune decorazioni intarsiate e, per le tele, nel ritocco pittorico di vaste zone “a tutto effetto”, come allora si usava. Nella cronaca conventuale si legge ancora di un altro intervento: “Il 28 settembre 1948, oggi sono terminati i lavori di restauro dell’altare maggiore per opera di distruzione compiuta dal tarlo”, è solo un’annotazione secca senza nessuna documentazione. E tutto ciò per documentare non solo il coinvolgimento di un artista come Gustavo Urro già molto conosciuto ai tempi, ma soprattutto in quanto professionalmente preparato nell’uso dei colori e della materia. Col peggiorare delle condizioni di salute Gustavo Urro si isola dall’ambiente ma prosegue nella sua ricerca. Accanto alla produzione ritrattistica, Gustavo Urro ha sviluppato un filone vedutista di notevole interesse, sia  in chiave  di paesaggio domestico che di paesaggio riguardante quel filone di “geografia dell’arte” (come ho avuto modo di parlarne in un corso da me tenuto in Facoltà  nell’Università La Sapienza di Roma) non meno interessante.  E difatti basti pensare al dipinto “I gerani della mamma”, un olio su tela  datato 1929,  che fortemente impressionò il collega critico Ugo Ojetti  del Corriere della Sera,    il quale scrisse : “mi ricorda la prima comunione” ; per significare  la poesia  di quel piccolo mondo antico fermato dall’artista alessanese.  E alcune tra le più belle opere di Gustavo Urro furono acquistate dal Giudice e collezionista Michele Paone, e attualmente ammirabili nella Pinacoteca a lui ora intestata nel Monastero dei Padri Cistercensi a Martano, terra di grecìa salentina.

Carlo Franza

 

 

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